De Luca e Fugatti, harakiri istituzionale
A Roma la visione complessiva alle Regioni la difesa del proprio buon nome e di singoli interessi locali
“Evitare che con l’alibi dell’emergenza sanitaria lo Stato metta in discussione la nostra potestà di autogoverno” scrive il senatore Panizza, uscendo dai ristretti panni di “geografo” di Vittorio Sgarbi. Concordiamo con Panizza, tranne in un punto tutt’altro che secondario: la gestione dell’emergenza sanitaria non è un alibi, è una motivazione, vera e forte.
Il fatto è che, ad essere in discussione, prima ancora dell’Autonomia trentina è il (semi) federalismo italiano con le svariate competenze delegate alle Regioni, tra cui appunto quella sanitaria. Con il Covid è cascato il palco. E qui non alludiamo tanto alle grottesche sceneggiate in cui si sono esibiti diversi governatori, anche se la mancanza di serietà e financo di decoro di alcuni di questi personaggi può dire qualcosa sulle loro cariche. Vogliamo concentrarci sul ruolo istituzionale che, nella bufera Covid, sembrano aver rivestito i governi regionali. Un ruolo sindacale, quando non lobbysta. Quest’estate a favore delle discoteche e dei bagnini, in autunno a favore dei trasporti pieni non al 50% ma all’80% (diventato 100% e oltre) e ora per le piste da sci, le funivie... Con il sospetto che, per avere più “concessioni” (si noti la parola, che indica una postura non concorrente, ma subalterna) si sia arrivati a manipolare i dati sui letti, sui contagi ecc.
Ma al di là di quest’ultimo sgarro, il punto è il ruolo che le Regioni si sono assunte. Che non è un ruolo di governo: alla salute ci pensa Roma, noi rappresentiamo le istanze particolari. A Roma la visione complessiva, di come superare nel medio periodo la pandemia, alle Regioni la difesa del proprio buon nome (!) e di singoli interessi locali.
È chiaro che con tale impostazione, le Regioni si sono relegate ad un ruolo marginale, quando non negativo. Per di più poco produttivo anche in termini di consenso. Perché tutti i sondaggisti (tutti al soldo di Roma?) indicano un perdurante consenso della maggioranza della popolazione verso le misure più cautelative della salute. Che il tira-molla aprire-chiudere sia anche economicamente rovinoso, è una consapevolezza largamente maggioritaria. Non si capisce quindi il senso delle posizioni regionali, che pur con toni anche molto diversi, sono comunque schierate sempre sul versante della “riapertura”, della “deroga”, del “la nostra regione non merita questo”, insomma della miope protezione bottegaia contro la protezione del bene comune. Che viene lasciata al governo centrale.
È un’involuzione culturale e politica, che diventa istituzionale. Siamo costretti a pensare “per fortuna c’è Conte”, “c’è Speranza” “c’è Franceschini”, oltre i pur evidenti errori romani, anche grossolani, ma a questo punto secondari.
Come mai in tutta Italia c’è stato il solo Kompatscher (un caso?) che ha detto no, noi siamo da zona rossa, per ripartire poi, oggi dobbiamo proteggerci?
Alcuni giorni fa discutevo con un dirigente provinciale del grottesco imboscamento (vedi anche su questo numero) dei dati sui test rapidi: “Noi seguiamo la scienza. Cioè le direttive nazionali, che ci dicono di conteggiare i dati sui test molecolari” diceva.
“Ma perchè non riportate, a parte, i dati sui test rapidi?”.
“Insomma, non siamo mica autolesionisti!”.
Ecco, questa è la visione distorta. Se anche una persona intelligente e preparata come il mio interlocutore ritiene che governare il Trentino voglia dire contrattare con il governo delegandogli la visione d’insieme - non tanto e non solo dell’insieme della nazione, ma dell’insieme della società trentina - bene, allora l’Autonomia non serve a niente, è su un binario morto.
Insomma, Franco Panizza ha ragione: l’Autonomia è in pericolo. Ma a picconarla non sono i biechi centralisti romani, è il nostro stesso governo provinciale, che ridottosi a miope rappresentanza di categoria, rinuncia a guardare l’insieme della realtà, e quindi di fatto rinuncia a governare.