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QT n. 11, novembre 2020 L’editoriale

I meriti del Covid-19

Quando tutti i nodi vengono al pettine, messa alla prova della pandemia ha messo a nudo tutti i limiti della nostra società

Ha forse un merito il CoronaVirus, aver posto sul tavolo, con grande evidenza, problemi decisivi.

Anzitutto il primato dell’economia, diventata da diversi anni economicismo, ossia riduzione di tutto al dato economico. Così dopo la contrapposizione economia-ambiente, abbiamo avuto quella economia-salute. Entrambe due grandissime sciocchezze, ma oggi la seconda in maniera più evidente, grazie – si fa per dire – al virus.

Ragioniamo. Era stato Boris Johnson a difendere, con brutale sincerità, il primato dell’economia: per non intralciare industria e commerci, “ognuno di noi dovrà rassegnarsi a perdere qualche parente”. Il discorso forse non era etico, di sicuro non era stupido: così succede in natura, le epidemie tolgono di mezzo i più deboli. Lasciamolo quindi correre il virus, che infetti pure la popolazione, in fondo ha una bassa letalità, attorno allo 0,5%. Però poi bisogna fare i conti con i numeri: se in Italia ci infettiamo in 50 milioni, lo 0,5% vuol dire 250.000: siamo disposti a perdere così tante persone? Non solo: lo 0,5 si ottiene curando gli anmmalati, ma se questi sono milioni, semplicemente non sono curabili, come ci raccontano oggi le cronache dagli ospedali, già intasati da un numero infinitamente minore di pazienti bisognosi di cure. Senza cure sarebbe deceduto lo stesso Johnson, e Berlusconi, Briatore, Giannini, per rimanere ai personaggi noti, e quello 0,5%, schizzerebbe in alto, avremmo più di un milione di morti... Sarebbe sostenibile? E con quali contraccolpi per la stessa economia, la nostra vacca sacra? No, la salute non può non venire prima dell’economia.

Secondo punto: i processi decisionali. Il contagio ha un’ulteriore caratteristica: ne vedi gli effetti troppo tardi. Tra l’infezione, il periodo di latenza e di sviluppo del virus, l’eventuale insorgenza dei sintomi, la ritrasmissione del virus e la sua individuazione, passano 10-15 giorni o anche più. Quindi oggi viviamo in una situazione che abbiamo determinato 15 giorni-un mese fa; e conseguentemente, quello che facciamo oggi avrà effetti tra 15 o più giorni. Di qui il ragionamento fasullo: perché dobbiamo prendere provvedimenti se oggi la situazione non è allarmante? Ci sono cascati dentro in tanti: politici senza visione, scienziati cialtroni, la gente comune. Di qui l’orgia della stupidità estiva: aperto il calcio (i circenses sono sempre prioritari), spalancate le discoteche, il Comitato Tecnico Scientifico prima fissa tre metri tra gli ombrelloni e poi accetta le resse in spiaggia e il 50% di occupazione sui mezzi pubblici, che poi diventa l’80% in teoria e il 120 nei fatti. Ne è seguita una grave perdita di credibilità generale. Ma come mai non siamo capaci di ragionare sul’immediato futuro? Come se in guerra vedessimo gli aerei nemici sorvolare la città e dicessimo: perché affollarci in un rifugio, non stanno cadendo bombe. Probabilmente qualcosa si è rotto nel rapporto tra i (non)decisori e la comunità: i primi, debolissimi, troppo temono l’impopolarità, la seconda non si fida, e si fa guidare dai propri interessi di brevissimo respiro. Non occorrerebbe un Churchill che sappia promettere “lacrime o sangue” ma una persona che avesse la credibilità per dire: “Ognuno deve fare qualche sacrificio”. Come ho sentito rispondere in tv da Roberto Vecchioni all’intervistatore che gli suggeriva la solita litania di lamentazioni: “Sì, mi manca il teatro, il rapporto con il mio pubblico. Ma dobbiamo ognuno rinunciare a qualcosa”.

Terzo: macchina statale e decentramento. Quanto detto porta a colpirci nel nostro ventre molle. Il virus ci impone di muoverci per tempo e rapidamente, mentre noi siamo lenti e confusi nel decidere, e quando alla fine abbiamo la decisione non ce la facciamo ad attuarla in tempi ragionevoli. Mai come in queste settimane la burocrazia è un nemico. E lo è pure l’incapacità di raccordare settori diversi. La scuola, per riconoscimenti unanimi, ha fatto un lavoro stupendo nel limitare al massimo le possibilità di contagio al suo interno. Ma non si è riusciti a coordinare\scaglionare gli orari tra scuola e scuola e col resto delle attività: tutti sugli autobus alle 8 di mattina. È una mancanza di pensiero che sappia andare oltre il proprio settore. È il compito della politica, ma non solo. Infine il decentramento. Non è il caso di scrivere molto: l’indegno pollaio allestito dalle Regioni è sotto gli occhi di tutti; il problema è la grottesca incapacità di giungere a decisioni condivise. Perché mai si deve decidere tutti assieme? Perchè il governo deve convincere De Luca e Bonaccini e Toti...? Questa vicenda ci sembra una poderosa – perché giustificata – picconata al federalismo. E di conseguenza alla nostra Autonomia. Che con Fugatti non ha certo brillato. Ma questo è un argomento da trattare a parte.