PATT: una miserevole vicenda
In politica gli avvenimenti non accadono mai per caso. Dietro ci sono sempre varie ragioni che spesso non coincidono con quelle dichiarate apertamente. Come nella vita, non ci sono mai i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. La realtà è grigia e opaca, piena di sfumature. Certamente si possono individuare atteggiamenti più o meno accorti, azioni più o meno incisive. Le capacità variano, ma non è detto che determinino il successo politico. Anzi. Questa sembra essere l’epoca del trionfo dell’irrazionalità. Le cose non avvengono per caso, ma sovente non sono dominate dalla razionalità, non seguono una strategia coerente. A volte si naviga semplicemente a vista, si maturano scelte derivate da rancori personali, ci si logora in ripicche che nulla hanno a che spartire con una genuina dialettica politica. E poi c’è la spiegazione più semplice e immediata: la poltrona, cioè il simbolo del denaro e del potere. Le frasi di circostanza si ripetono: “L’ho fatto per il bene del partito”. “Penso all’interesse della comunità”. “Io avrei tutto da perderci ma per spirito di servizio…”. “Ho sacrificato la mia famiglia e la mia professione”. “Ho dato la mia vita al partito”...
Queste parole sono rimbalzate ovunque a seguito dell’ultima miserevole vicenda occorsa in casa PATT, ossia l’espulsione del consigliere provinciale Walter Kaswalder. 44 anni di militanza nelle Stelle Alpine (ormai sappiamo questo numero ripetuto allo sfinimento dall’interessato) non sono valsi a fermare il duo Panizza – Rossi, incontrastati leader del partito che esprime il presidente della Provincia.
La cacciata di Kaswalder era nell’aria da tempo: l’ex sindaco di Vigolo Vattaro, esponente dell’area autonomista tutta Schützen e “braghe de coram”, era in rotta di collisione con la dirigenza fin dalla questione della nomina a presidente del Consiglio regionale, dopo l’improvvisa morte di Diego Moltrer. A Kaswalder fu preferita Chiara Avanzo, poi anche lei finita in una polemica con il duo. Da allora i voti in dissenso dal gruppo provinciale, anche su provvedimenti importanti per la Giunta, non si contano. A ciò si aggiunge un deterioramento pesante sul piano dei rapporti personali tra i vari esponenti autonomisti. I retroscena raccontano di riunioni infuocate, di urla che oltrepassavano le mura della sede, di minacce, di risse sfiorate… Nulla ovviamente di confermato, ogni cosa smentita, ma tutto molto credibile.
Dal punto di vista politico, era chiaro che Rossi e Panizza si volessero liberare di Kaswalder, il quale non ha fatto nulla per ricucire. Il motivo è evidente: dopo “44 anni di militanza” con tutta probabilità non sarebbe stato ricandidato alle elezioni del 2018, in nome del rinnovamento e del PATT 2.0. La tempistica per uscire dal partito e fare qualcosa di nuovo (naturalmente che prenda il testimone del “vero spirito autonomista, tradito dal duo”) è perfetta. Mancano circa 20 mesi al voto e Kaswalder può costruire la sua lista, magari con Paolo Primon – che ha già fatto comparire i suoi cartelli indipendentisti -, con la consigliera Manuela Bottamedi – sempre più accalorata sostenitrice dell’autodeterminazione del popolo trentino e tirolese – e infine con l’onorevole Mauro Ottobre, per ora alla finestra in attesa di una sua ricandidatura per Roma: se il partito non lo facesse, lui è pronto a lasciarlo.
Esistono però motivazioni più profonde per capire gli ultimi avvenimenti. Rossi e Panizza da tempo si sono accorti di non poter governare con la zavorra della componente PATT vecchio stampo.
Gran parte della base del partito è nostalgica quando non austriacante (cioè, oggi, semplicemente fuori dalla storia), fedele a uno stereotipo del valligiano uomo duro e puro, propugnatrice di una contrapposizione città-valli che rende difficilissimo il governo provinciale. Retrograda, conservatrice, vittima di se stessa come nel caso Baratter (il consigliere del PATT che – ricordiamolo – ha barattato (nomen est omen) parte del suo compenso con i voti degli Schützen). [Aggiornamento redazionale del luglio 2020: La vicenda politica giudiziaria qui accennata, che ha coinvolto Carlo Pedergnana, Lorenzo Baratter e Giuseppe Corona, ha avuto in seguito un esito giudiziario a loro favorevole. Ne rendiamo conto in dettaglio a questo link].
È insomma inadeguata culturalmente per spingere il Trentino verso la novità.
A questa base con la testa rivolta all’indietro, Rossi-Panizza non hanno saputo offrire una nuova incisiva prospettiva. Alle pulsioni filo-germaniche del partito hanno sì risposto con il – difficoltoso – trilinguismo nelle scuole (un audace by-pass del rifiuto dei genitori verso il tedesco lingua straniera, voluto a suo tempo dall’assessore Passerini e naufragato, ed ora riapparso come terza lingua obbligatoria); ma non hanno saputo e voluto dare alcun vero slancio, alcuna prospettiva strategica, all’Euregio, che Innsbruck (se non Bolzano) avrebbe molto volentieri condiviso. Ma soprattutto è mancata una strategia politica che voltasse pagina rispetto al quindicennio di Dellai. Sostanzialmente si è preferito continuare nella stessa direzione, anche se con meno soldi, con esiti insoddisfacenti.
Si è pensato poi che la spartizione delle poltrone avrebbe addomesticato la fronda interna, ma i posti sono sempre troppo pochi per accontentare tutti. Così, alla prova di governo, il partito si è trovato di nuovo nei guai, come ai tempi di Carlo Andreotti. A volte stare all’opposizione fa litigare di meno.
“Almeno Dellai era carismatico”. “Almeno con Grisenti le cose si facevano”: questo si sente dire nei corridoi provinciali. Nessuno però vorrebbe tornare indietro, pochissimi rivoterebbero Dellai, ma il giudizio sul presente è netto. Il PATT, alla sua seconda esperienza di guida del Trentino, sta fallendo ancora.
All’orizzonte non ci sono alternative ed è davvero probabile che, al di là dei distinguo che vengono dagli esponenti di altri partiti della coalizione (movimenti fisiologici e identici all’inizio di ogni campagna elettorale), il prossimo candidato del centro sinistra autonomista sarà ancora Rossi. L’opzione Daldoss non sembra al momento credibile. Certo, l’assessore tecnico – quindi percepito come lontano dalle “beghe di partito”, ritenuto a torto o ragione il più efficiente esponente della Giunta, vicino alle liste civiche - potrebbe allargare la base elettorale rimpiazzando i pezzi che si stanno staccando, e dare una riverniciata a una coalizione che non ha molto convinto.
Ricordiamoci però che il sistema elettorale provinciale è un Italicum ante litteram senza ballottaggio: la coalizione che prende un voto in più delle altre vince e prende il premio di maggioranza. Per ora l’attuale compagine – se rimarrà unita – sembra non avere concorrenti. Ma i risultati delle ultime consultazioni elettorali segnalano una debolezza intrinseca e il bisogno di qualche nuovo apporto. E la lista Daldoss sarebbe la soluzione ottimale anche per evitare drastici cambiamenti negli assetti.
Non è una grande novità, ma questo è quanto passa il convento.
Abbiamo già descritto sul numero precedente l’avvitamento della politica trentina. Le sirene della demagogia più pericolosa non sembrano essere ancora ascoltate da noi, anche a causa di una società immobile nel bene e nel male (in questo caso nel bene). Tuttavia viviamo un’epoca di mutamenti repentini. Sarebbe deleterio stare a guardare.