La guerra delle croci
Il centenario della Grande Guerra non poteva passare esente da polemiche di stampo nazionalistico. Sono stati gli Schùtzen ad accendere un nuovo conflitto. A loro avviso le montagne devono ricordare i morti di parte austriaca, i Kaiserschùtzen e gli Alpenjäger. Ed hanno utilizzato un simbolo di pacificazione per rimarcare confini: la croce. Così hanno preparato 70 croci, tutte uguali, alte poco più di un metro e mezzo, che durante l’estate saranno messe in vetta alle montagne che sono state teatro dei combattimenti. Le croci sono state benedette nei giorni scorsi in una cerimonia ufficiale tenutasi in piazza Walter a Bolzano, e portano una scritta: “In ricordo dei nostri Standschützen Tirolesi”.
A parte il discutibile uso che viene fatto delle montagne per imporre agli escursionisti una singola appartenenza religiosa e culturale, la proliferazione del fenomeno e la sfrontatezza delle dimensioni di alcuni di questi segni, con questa iniziativa si ritorna a dividere i morti della guerra. Con delicatezza il presidente degli alpini trentini Maurizio Pinamonti ricorda che le divise venivano imposte a chi doveva indossarla e che i soldati delle due parti sono comunque stati vittime di una guerra feroce, che ovunque ha portato sofferenza.
Si tratta di una iniziativa che divide fra caduti dalla parte giusta e da quella sbagliata, della riproposizione di uno sterile nazionalismo pantirolese inserito in un contesto storico nemmeno confrontabile con il periodo di quella guerra.
In tutte le iniziative promosse nelle Dolomiti nel ricordo del centenario, piccole e grandi, vi è stata la massima attenzione nel portare rispetto verso chi ha subito la guerra e ha perso la vita, nel ricordare anche i dimenticati della guerra, ad esempio quanto accaduto in Galizia. Gli Schützen invece vivono ancora del loro passato e consolidano la loro incapacità di guardare al futuro e di superare confini, che prima ancora di dividere uno stato dall’altro, sono presenti nel loro vissuto.