La “marcia della libertà”
La sfilata degli Schützen e la freddezza di Bolzano
Avevano promesso di filmare i “provocatori fascisti” e di metterne le immagini sul web, per rendere palese la condizione di oppressione della minoranza tedesca nello stato italiano (sic!). Il questore aveva ordinato una strettissima sorveglianza per impedire che la manifestazione degli Schützen a Bolzano fosse disturbata. Loro avevano preparato un “manifesto per l’indipendenza” da consegnare al prefetto, davanti alla cui sede passava il percorso della marcia, dirigendosi poi al monumento e al centro storico, per poi finire in piazza Silvius Magnago (che si sarà rigirato nella tomba, lui combattente per l’autonomia sudtirolese, a sentire tutti quei discorsi sullo “stato libero del Sudtirolo”).
La sera del 14 aprile, però, alla prefettura non li aspettava nessuno, il prefetto aveva già detto che non li avrebbe ricevuti. Il manifesto è stato consegnato invece ai rappresentanti politici dei più piccoli partiti dell’estrema destra. Gli altri mancavano alla sfilata: i principali partiti di lingua tedesca, Svp e Freiheitlichen, come anche numerose compagnie di Schützen, come quella di Bolzano, erano assenti, perché non condividevano la vera ragione della marcia, indetta per protesta contro la riunione festosa degli alpini di metà maggio.
La riunione degli alpini doveva aver luogo nel 2009, ed era stata spostata in avanti, perché considerata pericolosa nell’anno dedicato ad Andreas Hofer, che come ogni 25 anni, nonostante gli sforzi profusi questa volta, si contraddistingue purtroppo per il suo dare fiato ai gruppetti estremisti del nazionalismo tirolese. A Bolzano oggi in tanti temono l’invasione degli alpini, ma piuttosto per il disordine e l’affollamento, che per il timore, che pure si è tentato di diffondere da parte di diversi politici, di strumentalizzazioni da parte dei nazionalisti italiani.
Alle 7 della sera, 2500 o 3000 Schützen, ben agghindati nei costosi costumi pagati dalla Provincia, si sono radunati in piazza Gries, scendendo da decine di pullman venuti dalla Pusteria e dalla Venosta, e hanno formato il corteo in via Fago.
Il quartiere di Gries, residenza della borghesia italiana e tedesca, era deserto. Hanno atteso fermi fino alle 20, perché facesse buio, e poi, accese le fiaccole, avanti! Il palazzo ducale, sede della prefettura, era buio e chiuso. Lungo il viale, qualche coppia e qualche persona con il cane che facevano la passeggiata serale. Verso il ponte Talvera, davanti al monumento alla vittoria, non c’erano solamente esponenti delle forze dell’ordine.
Nel centro, via Museo e i Portici, la poca gente non si è fermata a guardare. Nei bar, nelle piazzette e sotto i Portici, i primi protagonisti della movida bolzanina del sabato sera, che inizia più tardi, non hanno alzato gli occhi dai loro bicchieri. In piazza Sernesi, davanti all’università, gruppetti di studenti si intrattenevano fra di loro e in piazza Walther i clienti dei bar attardati ai tavolini esterni non hanno interrotto le loro chiacchiere, nonostante il minaccioso rullare dei tamburi che transitavano al di là dei palazzi verso via Grappoli.
La freddezza della città ha sorpreso molti. E ha determinato la sconfitta dell’attuale dirigenza degli Schützen, che a distanza di tre anni e mezzo hanno cercato di nuovo di portare inquietudine nel capoluogo, che cerca di uscire dall’inverno dello scontro etnico.
Quale risposta migliore a questi capi pseudomilitari che hanno scelto una linea aggressiva e che fanno politica anziché cultura, pur incassando ricchissime sovvenzioni provinciali? Capi che sono in conflitto con i colleghi del Tirolo, seccati dalle loro posizioni estremiste, e che per nascondere i propri fini portano con sé in marcia uno sparuto e inconsapevole gruppetto di trentini e di “Veneti/Tiroler”, come si leggeva su un divertente volantino in dialetto veneziano e in tedesco distribuito dagli esponenti della Liga Veneta, ognuno dei quali portava una enorme bandiera della Serenissima.
La città della (pur difficile) convivenza aveva altro a cui pensare. Ad esempio al colpo di mano della Svp in Senato, che ha cancellato l’IMU ai contadini delle Lamborghini e delle Ferrari (come li chiamano qui; una volta erano “i contadini delle Mercedes”). L’esclusione dal pagamento delle nuove tasse dei masi situati sopra i 1000 metri era già prevista, ma l’estensione del privilegio anche ai ricchissimi contadini di fondovalle (quelli dei vigneti milionari e del lusso esibito), ha scatenato la protesta di tutti gli altri ceti, anche nel partito di raccolta. E soprattutto ha indignato i percettori di redditi fissi, i pensionati e i lavoratori dipendenti, e anche gli artigiani e i piccoli negozianti, che pagheranno di più, per sopperire al mancato contributo proprio da parte dei più ricchi fra i loro concittadini e già sentono il morso dell’ingiustizia con cui l’Italia è governata.
Gli slogan
Nelle settimane precedenti c’era chi voleva vietare la marcia. Ha vinto la libera espressione di opinioni anche non condivise. Un buon segno di maturità. Gli Schützen, come altri gruppi nazionalisti in Europa, tentano di sfruttare il sentimento di incertezza e timore causato dalla crisi economica, per invocare - a salvamento - l’indipendenza del Sudtirolo. Nella marcia, uno degli slogan era: “Italien steht am Abgrund, springen wir nach?” (L’Italia è sull’orlo dell’abisso, le saltiamo dietro?). Il Dolomiten ha concluso con un sospiro di sollievo: la marcia “della libertà” è storia.
Alla fine del percorso della sfilata, a lato della piazza dei palazzi provinciali, che conteneva coloro che avevano marciato e i comizi dei loro capi, sul marciapiede davanti ai giardini della stazione, una decina di ragazze giovanissime, guardate a vista da uno schieramento imponente ma rilassato di forze dell’ordine, reggevano in silenzio striscioni scritti con il pennarello, mentre quelli portati nella marcia erano stampati e frutto di studi grafici. Erano venute apposta dalla Val Gardena e si meravigliavano che “gli italiani non abbiano niente da dire”.
Le loro scritte dicevano: “Gemeinsam in die Zukunft, statt einsam hinter den Grenzen” (Insieme nel futuro piuttosto che soli dietro le frontiere); “Los von der Vergangenheit” (Via dal passato). E un ironico: “Für den Anschluß an die Osterinsel” (Per l’annessione all’Isola di Pasqua).
Una fragile e insieme forte voce della speranza di pace e convivenza della gioventù, e insieme risposta civile e profonda al rullare dei tamburi.
Gli slogan degli Schützen erano: “Colonie Abessinien frei 1941 (Colonia Abissinia libera 1941)- Colonie Libyen frei 1951 (Colonia Libia libera 1951)- Colonie Südtirol frei 2012 (Colonia Sudtirolo libero 2012)”; “Braucht ihr Mussolini?” (Avete bisogno di Mussolini?); “Los von Rom” (Via da Roma); “Freiheit für Südtirol” (Libertà per il Sudtirolo).