Intellettuali e potere
La sedicente “grande manifestazione per l’Autonomia” e relativo flop (ne parliamo in La carica dei 600) ha avuto almeno un merito: porre all’attenzione il tema dei rapporti tra intellettualità e potere. La manifestazione infatti, sostenuta da Dellai, è stata promossa soprattutto dal Patt e da un intellettuale pattino: Lorenzo Baratter, giovane studioso di storia elevato per meriti partitici alla presidenza del Museo degli Usi e Costumi di San Michele. Il giovane neo-presidente ha evidentemente fatto il passo più lungo della gamba inventandosi capopopolo; anzi, è andato fuori dal seminato, trascinandosi dietro gente navigata come l’assessore alla cultura Panizza e persino il volpone principe Lorenzo Dellai. Fin qui un incidente di percorso: reso però troppo stridente dai toni e slogan austriacanti di qualcuno degli oratori e di una parte, molto minoritaria ma altrettanto chiassosa, della piazza. E allora sorge la domanda: un assessore pattino e austriacante come Panizza, che diritto ha di conformare alla propria ideologia un Museo, facendolo presiedere da un altro pattino e austriacante?
Dopo le sviolinate agli Schutzen, le santificazioni di Andreas Hofer, si va ora verso l’agiografia di Francesco Giuseppe?
Questi eccessi hanno, dicevamo, un merito. Proprio perché fanno riferimento a una cultura (una grossolana mitizzazione dell’Impero asburgico) del tutto minoritaria tra la popolazione, anzi, francamente ridicola (da Innsbruck il nostro corrispondente Gerhard Fritz ha più volte messo in chiaro come l’Austria attuale sia le mille miglia distante da tali nostalgie, vedi ad esempio la Lettera da Innsbruck del 1 gennaio 2009), questi eccessi dicevamo meglio evidenziano il rapporto troppo stretto tra assessore e figure apicali delle istituzioni culturali da lui nominate. Se negli anni ‘70 un democristiano nominava un altro Dc, si vedeva e non si vedeva, se oggi un austriacante nomina un altro austriacante, la cosa stride, la credibilità dell’istituzione è messa in discussione.
Il tema quindi è più di fondo e radicale. Perché oltre al povero Baratter, ci sono - come peraltro evidenziato da tutti gli intervenuti, nel dibattito su “Trento, quale storia?” pubblicato nel numero di marzo di Qt - altre nomine, altre pressioni, altri servilismi. Che dire di un Museo storico di Trento, diventato senza urla, senza proclami, in maniera felpata, perfettamente allineato al pensiero dellaiano? Che dire delle mostre storiche, attentissime a non pestare i piedi a nessuna parte politica, anche a costo di essere insipide?
Ha ragione il filosofo Franco Rella, che fustiga “la tendenza dell’intellettuale trentino al servilismo”?
Su questo ci ripromettiamo di tornare.