A chi serve la Cantina in agonia?
Ancora un bilancio imbellettato (dice la Vigilanza) eppur disastroso (-27 milioni nei quattro anni dell’Ad Zanoni); i contadini sempre sottopagati (-30%); dure sentenze dal Tribunale; il buco che si allarga nella società (banche e melicoltori). Chi ci guadagna con questa Cantina? Una società di Verona, cui il veronese Zanoni svende i beni della LaVis.
All’assemblea della Cantina LaVis del 30 dicembre, per la prima volta si è registrata una robusta opposizione all’imperante amministratore delegato Marco Zanoni. I contadini lavisani, dopo anni di sudditanza prima alla triade Giacomoni, Peratoner, Andermarcher, poi a Zanoni, anni di imbarazzante credulità, di clientelare ottusa fiducia nei miracoli degli uomini contigui ai politici, hanno dato chiari segni di insofferenza verso una situazione che li vede, da anni, sottopagati.
Bene, meglio tardi che mai. Comunque è certo che oggi è già tardi, e domani - quando l’insofferenza potrà tradursi in effetti concreti - rischia di essere troppo tardi.
Il perché lo vediamo dai dati e fatti di questo servizio.
Il bilancio 2012-2013
Il primo numero che salta agli occhi è la perdita: 6.743.669 euro; che aggiunti a quelli degli esercizi scorsi fanno, nei quattro anni della gestione Zanoni, 27,4 milioni. Altro che “il rilancio è in atto”, “segno più” eccetera, come hanno recitato per tutto l’anno le veline di Zanoni, prontamente riprese nelle pagine economiche dei quotidiani (che magari riescono a leggere come positivo - vedi l’incredibile Trentino del 20 dicembre - anche questo bilancio! Miracoloso poi il caso del Corriere del Trentino che, esplicitamente minacciato di querela in assemblea dal burbanzoso Zanoni per un articolo vagamente critico, il giorno dopo scrive un pezzo in cui il bilancio è tutta una serie di successi e di segni più. Anzi, a dire il vero a leggere i quotidiani non riusciamo a capire da dove provengano i numeri riportati, a volte sembra si parli di un’altra azienda).
I nostri numeri invece - che provengono da Zanoni ma sono quelli ufficiali depositati in Camera di Commercio e da noi integrati con i rilievi della Vigilanza cooperativa, portano il segno meno generalizzato. Anche nel fatturato, sceso da 91,7 milioni a 84,7, sette milioni in meno, non sono tutti imputabili alla dipartita dei melicoltori, che hanno pensato bene di abbandonare la Cantina.
La posizione finanziaria netta (i debiti, depurati dai crediti) è migliorata di pochissimo, i debiti scendono da 75,8 milioni a 74,9.
Queste dunque le cifre del bilancio. Che però vengono contestate dalla Vigilanza cooperativa diretta da Enrico Cozzio. Che anche quest’anno, come negli scorsi esercizi, avanza fortissimi dubbi: il patrimonio netto, secondo Cozzio, causa scorrette scritture contabili, è sovrastimato di 1,8 milioni per quanto riguarda la società Ethica, 4,8 milioni Basilica Cafaggio, 800.000 euro nella voce “altre”; è iscritto a bilancio un acconto di 3 milioni versato dal Cla (Consorzio Lavoro Ambiente) per l’area di viale Verona dove sorge Casa Girelli, acconto che dovrà venir restituito, perché non sembra proprio che sia in programma il trasferimento di Girelli né, con questi chiari di luna, il nuovo studentato che con i soldi dell’Opera Universitaria il Cla avrebbe dovuto costruirvi. Insomma il bilancio della LaVis, secondo Cozzio, è molto, troppo ottimista: al punto da configurare una “deviazione dalle norme che disciplinano il bilancio d’esercizio, anche alla luce dei principi contabili emessi dall’Organismo Italiano di Contabilità”, modo elegante per dire che è inaffidabile e dovrebbero essere presi provvedimenti; dall’altro canto si è in presenza di “una significativa incertezza sulla continuità aziendale”, si è cioè a un passo dal fallimento.
A dire il vero, anche lo scorso anno Cozzio aveva adombrato la chiusura. Quest’anno lo ribadisce, di fronte ad una situazione che valuta ancora più grave. Il fatto è che il patrimonio netto del gruppo non c’è più. Lo scorso anno (vedi “LaVis, verso il baratro” del marzo 2013) Zanoni presentava a bilancio un patrimonio netto di 18 milioni (di cui 8 erano fasulli, in quanto patrimonio del comparto mele, andatosene per i fatti suoi a formare un’altra cooperativa il giorno dopo la chiusura del bilancio; ed altri 23 erano giudicati dubbi dalla Vigilanza). Quest’anno il patrimonio netto si è ridotto nella stessa versione Zanoni, a 3,4 milioni. Ai quali peraltro Cozzio fa le pulci; oltre a quelli giudicati ballerini, ce ne sono altri che coinvolgono direttamente i soci: tre milioni costituiti dal capitale dei soci sovventori ed altri 3,5 contabilizzati come riserve, cioè trattenute sulle future liquidazioni ai soci.
Ci scusiamo per la terminologia tecnica, il fatto è che la cosa è indicativa dei metodi zanoniani: queste trattenute erano state inventate per rivalersi sui soci che abbandonavano la cooperativa; per loro sono state rese effettive (l’uva gli è stata pagata una miseria, 25 euro a quintale) mentre per i soci rimasti le trattenute sono state solo teoriche, mai effettivamente richieste. È la strategia del divide et impera; però ora Zanoni si ritrova quei 3,5 milioni artificiosamente contabilizzati, ma non può richiederli, pena la rivolta anche dei suoi fedelissimi.
Conclusione? Il patrimonio della LaVis in realtà è negativo.
La bestia nera
Enrico Cozzio, che sia pur in linguaggio tecnico osa, come è suo dovere, tirare tali conclusioni, per Zanoni è la bestia nera. L’arrogante amministratore delegato non concepisce che un organo di vigilanza faccia il suo mestiere: “Non sopporto chi mi fa i conticini sul patrimonio” ebbe a dire in pubblico, rivolto allo stesso Cozzio, nell’assemblea di approvazione del bilancio dello scorso anno. E per confutare i suddetti conticini, aveva ingaggiato società private che gli rilasciassero certificazioni positive.
Non sembra però che tali confutazioni abbiano trovato molto credito, a parte qualche titolo nelle pagine economiche. Ce lo confessano gli stessi Zanoni e Paolazzi (un uomo di paglia, dipendente della Cooperativa insediato da Zanoni alla presidenza): in una serie di comunicazioni ufficiali, scrivono come “per le dismissioni sopracitate (di Cafaggio e Poggio Morino, ndr) il Gruppo provvederà a registrare le inevitabili svalutazioni patrimoniali”, cioè ha ragione Cozzio, i nostri valori sono gonfiati, quando vendiamo quei soldi non li prendiamo. Non solo: Zanoni e Paolazzi, in diversi passaggi dei documenti della Cantina, compreso lo stesso bilancio, nonché in interviste sulla stampa, lamentano come “con la relazione dei revisori dello scorso anno le banche hanno voluto rivedere il tasso (di interesse, ndr) con un aggravio che può essere stimato in 8-10 euro a quintale d’uva”: cioè le banche credono a Cozzio, non ai nostri consulenti. E ci mancherebbe.
Ma quest’ultima affermazione svela come l’Ad intenda l’economia: per lui è un sopruso che l’autorità di controllo voglia i bilanci in ordine, sveli la spazzatura nascosta sotto il tappeto, un inaccettabile ostacolo al procedere dei rapporti economici che gli impedisce di raccontare favole alle banche. E questo si ritorce, secondo Zanoni, sui contadini, che si trovano con il loro prodotto sottovalutato non perché lui non sa fare il suo mestiere, ma perché i controllori vigilano sui suoi conti gonfiati.
A dire il vero, su una cosa Zanoni ha ragione: i contadini della LaVis ci rimettono. Continuano a rimetterci. Nello scorso anno, ci dice il bilancio, la remunerazione media è stata di 74,06 euro a quintale, mentre la vicina Mezzacorona ha liquidato 100 euro, e alcune cantine di nicchia valori decisamente sopra i 100 euro. La LaVis è un debito: non serve a remunerare i contadini, ma a impoverirli.
I nuovi soci: vinificatori veneti
Questo dato di fatto, che ormai si ripete da diversi anni, non poteva non avere ripercussioni. Il sistema cooperativo trentino, di fronte a tutta una serie di difficoltà, si è chiuso a riccio, cercando di impedire i passaggi da una struttura all’altra. Così è stato per i viticoltori della LaVis. Ma l’esodo c’è stato ugualmente, senza clamori, alla spicciolata, con conferimenti ad altre cantine sociali o addirittura al settore privato: i contadini che prima conferivano alla LaVis 200.000 quintali d’uva, oggi ne conferiscono la metà, 100.000.
Di fronte a questa emorragia di base sociale, come ha reagito Zanoni? Cambiando la base. Leggiamo nel bilancio: “Il conferimento 2012 è stato pari a circa 150.864 quintali equivalenti da parte dei soci”. Quintali equivalenti, cosa vuol dire? Vuol dire che ci sono soci che non conferiscono uva, ma vino. Non sono agricoltori, ma vinificatori. Non sono trentini, ma veneti. Zanoni ha cioè sostituito i contadini trentini con vinificatori veneti, che vendono vino low cost a Casa Girelli, e che l’Ad ha fatto entrare nella cooperativa. Cambia quindi la base sociale, cambiano gli interessi, cambiano le finalità della cooperativa.
Il buco nero si allarga
Ma i guasti creati dalla LaVis si estendono oltre il settore del vino. Nel 2008, quando la LaVis, ancora saldamente in mano alla triade Peratoner, Giacomoni, Andermarcher e augustamente supportata da Dellai, sembrava dover passare di successo in successo, i melicoltori del Consorzio Cinque Comuni si lasciarono abbagliare e confluirono anch’essi nella Cantina. Quattro anni dopo, vista la mala parata, pensarono bene di separarsi. Zanoni però gli appioppava una fregatura.
I frutticoltori avevano due magazzini da 60.000 e 80.000 quintali: quando erano in LaVis, fu deciso che il più grande avrebbe ospitato Casa Girelli, trasferita da Trento sud dove si doveva vendere il terreno; l’altro capannone invece doveva essere ampliato grazie a parte della plusvalenza della suddetta vendita. In quest’ottica fu acquistato un terreno contiguo per permettere l’ampliamento, e ora la Cinque Comuni, andata per la sua strada è debitrice alla Lavis dei soldi (1,3 milioni) spesi per quel terreno, più 200.000 euro di acquisti vari. Fin qui ci rimette Zanoni. Naturalmente la storia non finisce così. Quando la Provincia, per lenire le sofferenze di LaVis, le aveva munificamente acquistato Maso Franch, impresa scombiccherata, perfetta icona della gestione pazzoide della triade, questo era gravato da un’ipoteca (6,8 milioni) che dall’allora commissario Zanoni fu trasferita sull’immobile della Cinque Comuni, con la promessa che al bisogno sarebbe stata tolta. Promessa mai mantenuta.
Ora i melicoltori si sono svegliati: il 12 dicembre, in un’animata assemblea, hanno destituito il presidente nominato a suo tempo da Zanoni, hanno eletto un cda combattivo e avviato una dura trattativa con la LaVis. A Zanoni, che pretende il pagamento del milione e mezzo in effetti dovutogli, è stato risposto picche: il pagamento ci sarà solo se vengono tolti i 6,8 milioni di ipoteca.
Zanoni non ci sta. E non ci stanno nemmeno le banche, che di LaVis si fidano poco o punto e tendono quindi a coinvolgere altre realtà. Ma per la Cinque Comuni quei 6,8 milioni sono un macigno sopra la testa: non riescono a fare investimenti e tornano a trovarsi, loro malgrado, legati al destino di LaVis. Il buco nero creato dalla Cantina si allarga.
La svendita ai veronesi
C’è un dato ancor più allarmante, che riguarda le dismissioni. È un capitolo centrale nel tentativo di rimettere LaVis in carreggiata. La Cantina, a metà del decennio scorso, era andata fuori strada, oltre che per una serie di operazioni di spogliazione (i milioni regalati alla finanziaria del vescovo e quelli spariti in America, per esempio), anche per alcune acquisizioni spensierate: Maso Franch, Casa Girelli, Poggio Morino e Basilica Cafaggio in Toscana, Cesarini Sforza. Vendere questi asset per risanare e concentrarsi sulla LaVis è stato uno degli obiettivi del percorso di salvataggio. Dopo il generoso acquisto da parte della Provincia dell’altrimenti invendibile Maso Franch e dopo mille annunci di vendite più o meno miracolose mai effettuate, ora una vendita c’è stata: la tenuta toscana di Poggio Morino, che dopo una serie di lavori di miglioria oggi consta di 33 ettari di vigneto pregiato, 7 di oliveto, un’altra trentina di bosco, e in più masseria, caseggiati e strutture varie.
Zanoni nel bilancio 2012 aveva valutato Poggio Morino 12,2 milioni. Cozzio aveva abbassato il valore di 1,5 milioni, fissandolo quindi a 10,7. A quanto vende ora Zanoni? A 4,2 milioni, non prima di aver eseguito ulteriori, onerosi lavori di miglioria, del valore di diverse centinaia di migliaia di euro: ipotizziamo 400.000; secondo le sue valutazioni, Poggio Morino valeva 12,6 milioni (12,2 + 0,4 di migliorie) e la vende per 4,2, un terzo del valore, rimettendoci 8,4 milioni. Secondo le valutazioni di Cozzio, il valore della tenuta era 11,1 (10,7 + 0,4) e LaVis ci ha rimesso 6,9 milioni. Una vendita? No, una svendita. E a chi ha chiesto in assemblea perché, ad un prezzo così basso, Poggio Morino non sia stata offerta prima di tutto ai soci, Zanoni ha risposto d’aver tentato di farlo ma inutilmente. Una colossale bugia, dal momento che ai soci non è mai pervenuta proposta alcuna.
E a chi viceversa si svende? All’Azienda Tommasi, un operatore agricolo e finanziario di Verona. E guarda caso di Verona è appunto Zanoni, come di Verona sono lo stuolo di avvocati di cui si circonda, i consulenti, ecc. La LaVis sta svendendo i suoi gioielli ai veronesi? I contadini lavisani stanno per essere spogliati dei (pochi) beni rimasti a favore di operatori contigui a Zanoni?
Sì, perché voci insistenti dicono che la svendita di Poggio Morino non è l’unica. A entrare nel mirino è ora Cesarini Sforza, un’eccellenza della spumantistica trentina, il fiore all’occhiello del gruppo LaVis.
Quale è la situazione di Cesarini? Nella relazione al bilancio Zanoni scrive: “Il livello d’eccellenza dello spumantificio di Ravina è ancora una volta confermato anche dal forte interesse, da parte di operatori del settore e non, finalizzato ad un’acquisizione dell’azienda”. Chi sono questi “operatori del settore”? Ancora la Tommasi, come si vocifera? È già entrata nella compagine di Cesarini? Le sono state cedute delle azioni? Magari a prezzi di svendita, se non addirittura simbolici?
Ai contadini lavisani diciamo: state attenti, molto attenti. Non limitatevi ai (tardivi) mugugni in assemblea. Vi hanno depredato dando i vostri soldi a Isa (la finanziaria del vescovo); disperdendoli in strane società americane; imbastendo operazioni tanto megalomani quanto strampalate. Sarebbe il colmo se ora quel poco che vi è rimasto finisse graziosamente regalato a Verona.
E la Giunta Rossi che fa?
È arrivato il momento di chiedersi: a cosa serve la Cantina LaVis? A sottopagare i contadini per stornare altrove il frutto del loro lavoro, sembrerebbe.
Attorno a questa vicenda sono fiorite le vicende giudiziarie: tutte finite, fino ad ora, con la Cantina ed i suoi amministratori soccombenti. Forse non è un caso, e ne riferiamo nel box sotto.
Ma la storia della LaVis non si comprende se non se ne considera un altro versante: il rapporto con la politica. La Cantina ha potuto crescere come un pallone gonfiato, al di là delle logiche economiche, solo grazie alle protezioni, in particolare quelle dell’allora presidente Dellai (Fausto Peratoner era un suo referente e Marco Zanoni lo aveva nominato lui, arrivando a cambiare la legge sui commissariamenti per prolungarne la carica).
Ancora oggi continua a lavorare il veleno della contiguità politica: i lavisani confidano ancora in un management discutibile, ma che pensano protetto dal Palazzo. “Prima o poi la Provincia ci salverà” scrivono sul nostro blog.
Appunto, la Provincia, la Giunta Rossi. Che fa? È tempestata da richieste di aiuto da parte di Zanoni e Paolazzi, che un giorno pontificano che tutto va per il meglio ma il giorno dopo inviano missive invocanti sussidi. In particolare chiedono 20 milioni in cambio di un lease back sui capannoni della Cantina.
La Giunta Rossi, ahimè, come in altri casi non sa che pesci pigliare. Un lease back (comperare la sede di un’azienda e poi riaffittargliela: il vantaggio sta nell’avere soldi freschi) è possibile solo per un’azienda sana, come - stando alla Vigilanza cooperativa - non è la Lavis; 20 milioni sono una cifra spropositata, i vetusti capannoni non valgono certo quella cifra, che direbbero le tante aziende, più piccole, costrette a chiudere spesso per difficoltà solo temporanee? Che direbbero tutte le realtà sulle quali si abbattono i tagli dovuti alle robuste restrizioni del bilancio provinciale? E in ogni caso, 20 milioni cosa rappresenterebbero di fronte a un’azienda indebitata per 78-80, e che si troverebbe sì a pagare minori interessi, ma anche un affitto in più? (Non è che i 20 milioni servirebbero soprattutto a pagare Isa, il cui credito di 12 milioni nei confronti della Cantina scade proprio nel 2014?) E inoltre: come mai si potrebbero infrangere tutti questi principi per aiutare una compagine testè condannata per aver ingiustamente licenziato una dipendente? E soprattutto condannata per aver celato dati essenziali del proprio bilancio alla Provincia stessa?
Quale immagine di serietà, di correttezza, darebbe un ente pubblico che premia chi lo raggira?
La Giunta Rossi, dicevamo, è confusa. Finora ha preso tempo. È venuta incontro alla LaVis dimezzandole l’affitto di Maso Franch (un altro lease back), cosa che ha già suscitato diverse proteste. Sarebbe veramente il colmo se, dopo l’ultimo bilancio, l’ultima revisione, le ultime sentenze, le ultime svendite veronesi, si proseguisse su questa strada.
La Cantina e il Tribunale
Il tracollo della LaVis ha generato diversi procedimenti giudiziari, risoltesi tutti, finora, in sconfitte della Cantina e dei suoi amministratori. Vediamone un sintetico panorama.
Azioni contro la Triade (Giacomoni, Peratoner, Andermarcher)
Su propria iniziativa e in seguito alle denunce di QT, la Guardia di Finanza prima e la Procura della Repubblica poi, indagano sulle responsabilità degli ex amministratori. In particolare nel febbraio 2012 si registra un esposto dei contadini (pubblicamente definiti da Dellai “gli Schettino della LaVis”) per il reato 2638 cc e cioè: per aver “omesso di indicare nei bilanci societari la fideiussione di euro 12.200.000 rilasciata in data 2.11.2005 dalla Lavis in favore di ISA nell’interesse di Ethica e per aver omesso di informarne, tra gli altri, l’organo di revisione, così omettendo specifici obblighi di legge che determinavano un ostacolo all’esercizio delle funzioni di verifica e controllo degli organi preposti alla vigilanza (PAT) sulla gestione economica della Cooperativa”.
Mentre in Provincia e in Regione diverse interrogazioni (primi firmatari Sara Ferrari e Bruno Firmani) chiedono lumi e gli assessori Mellarini e Panizza assicurano che va tutto bene e non ci sono irregolarità, il 10 ottobre 2012 viene chiusa l’inchiesta della Guardia di Finanza, e parte la richiesta di rinvio a giudizio da parte del Procuratore della Repubblica Amato per Cantina Lavis e per Giacomoni, Peratoner e Andermarcher per il reato ipotizzato nell’esposto dei contadini.
Il 28 febbraio 2013 si tiene l’udienza preliminare sia contro la Cantina LaVis che contro gli ex amministratori, ma la Provincia, individuata dalla Procura quale parte offesa, non si costituisce parte civile nella persona del presidente Pacher.
Il 23 maggio 2013, con sentenza del giudice Ancona, viene accolta la richiesta di patteggiamento della Cantina Lavis quale responsabile dell’illecito amministrativo in relazione al reato di cui all’art. 2638 CC per “l’episodio di ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza realizzato con l’occultamento nei bilanci della cooperativa Lavis della fideiussione per l’importo di euro 12.200.000,00 rilasciata in favore di ISA nell’interesse della controllata Ethica”. Per il dott. Ancona “non vi è dubbio infatti sul movente della condotta: impedire l’emersione della grave situazione economica e finanziaria della cooperativa, e quindi evitare il suo commissariamento con esautorazione degli organi dirigenti; movente di interesse degli autori materiali del reato, e che vedeva vittime non solo i creditori, ma anche i soci della cooperativa; tuttavia dal punto di vista oggettivo l’interesse era anche della impresa collettiva, perché con quella condotta veniva realizzata la aspirazione, oggettivamente a lei riconducibile, di poter continuare a svolgere la propria attività di impresa senza le pastoie e i controlli esterni che un commissariamento avrebbe imposto”.
Definite le responsabilità della Cantina, rimangono quelle della Triade. In data 10 dicembre 2013 con sentenza del Tribunale di Trento, il dott. Forlenza condanna Giacomoni, Peratoner e Andermarcher a 8 mesi di reclusione (pena diminuita per le attenuanti generiche e per aver scelto il rito abbreviato).
Zanoni contro QT
L’1 settembre 2010 Lorenzo Dellai nomina commissario alla Cantina LaVis Marco Zanoni per due anni, scaduti i quali cambia la legge per prorogare il commissariamento di un altro anno, al termine del quale Zanoni viene nominato amministratore delegato.
Questotrentino ripetutamente attacca Zanoni per la continuità con la precedente amministrazione: non rinegozia i debiti contratti attraverso il “patto scellerato” con Isa; rinuncia ai milioni volatilizzati in America; non solo non promuove alcuna azione contro la triade, ma anzi nomina Peratoner ed Andermarcher ai vertici del gruppo.
Nel gennaio 2012 una lettera di Dellai minaccia di azioni legali contro “l’intollerabile offensività” di QT, che chiede cosa facciano gli uffici provinciali preposti alla vigilanza sulle cooperative. A querelare QT ci pensa invece Zanoni, per via penale e anche (maggio 2012) attraverso una causa civile in cui chiede al direttore Ettore Paris un risarcimento di 480.000 euro.
Il procedimento civile è ancora in corso, la querela penale viene invece archiviata l’8 gennaio 2013 dal Gup Carlo Ancona che riconosce negli articoli di QT sia “un legittimo esercizio del diritto di critica” sia “la verità storica dei fatti narrati”.
Causa di Lavoro Pomini contro LaVis
(vedi approfondimenti nell’articolo sotto)
Il 21 febbraio 2011 a Casa Girelli viene licenziata in tronco la contabile dott.ssa Tiziana Pomini, che impugna il provvedimento di fronte al Tribunale.
Il 10 dicembre 2013 con sentenza del Tribunale di Trento il dott. Beghini condanna la LaVis a riassumere e risarcire la dott.ssa Pomini in quanto illegittimamente licenziata e trasmette gli atti alla Procura per la possibile falsa testimonianza di un teste citato dalla LaVis, il dott. Andrea Cussigh.
Lo strano licenziamento della dott.ssa Tiziana Pomini
Il 10 dicembre il Tribunale di Trento ha condannato La Vis per illegittimo licenziamento di Tiziana Pomini, già contabile responsabile amministrativo presso Casa Girelli dal 2004, e ne ha ordinato il reintegro nel posto di lavoro, oltre al pagamento degli arretrati. Cosa c’è dietro questo licenziamento? È una questione di rapporti sindacali? Pomini è stata l’unica licenziata in questi anni in LaVis, dove le assunzioni sovrabbondanti e vagamente clientelari sono state la norma. Come mai solo lei (o quasi, c’è stato anche un altro licenziamento) e proprio lei?
Tutto accade il 21 febbraio 2011, in piena era Zanoni, commissario della La Vis da 5 mesi che ben si guarda dal rimuovere i precedenti disastrosi amministratori, e meno che mai di avviare contro di loro un’azione di risarcimento. Anzi, nel CDA di Casa Girelli del 10 febbraio 2011 Zanoni nomina Cesare Andermarcher direttore generale e Fausto Peratoner direttore generale commerciale. Al punto 5 dell’ordine del giorno il CDA discute e delibera il licenziamento di Tiziana Pomini. Motivo? La “gravissima e perdurante crisi finanziaria” per cui “appare non più procrastinabile la messa in atto di una profonda riorganizzazione interna, nell’ottica di massimizzare lo sfruttamento di ogni possibile sinergia con la società controllante LaVis”.
La “profonda riorganizzazione interna” inizia e termina con la dott.ssa Pomini. E come si attua? Ad amministrare Casa Girelli ci penseranno il neo direttore Andermarcher e, per le mansioni d’ordine, la signora Antonela Andreata.
Colpiscono anche le modalità: “Si procede quindi - recita il verbale del CDA - al licenziamento della lavoratrice dando immediata efficacia al provvedimento espulsivo per evidenti ragioni di opportunità e conseguentemente esonerando la stessa dallo svolgimento della prestazione lavorativa durante il preavviso contrattualmente previsto, con pagamento della relativa indennità sostitutiva”.
La Pomini cioè viene letteralmente cacciata dopo più di 6 anni di lavoro, senza lasciarle il tempo di salutare i colleghi; la sua presenza è temuta al punto da lasciarla a casa durante i mesi di preavviso e continuare a pagarla. Tutto questo “per evidenti ragioni di opportunità”. Quali?
Zanoni dice che alla Pomini era stato offerto un altro lavoro. Ma se era una persona valida, perché è stata cacciata dalla sera alla mattina, dopo quasi 7 anni di lavoro? Non è che la si volesse allontanare proprio da quelle carte?
Zanoni secondo noi fa il furbo: non vorremmo che alla Pomini avesse offerto un contratto di lavoro con periodo di prova, che l’avrebbe lasciato libero di licenziarla senza che lei potesse impugnare il provvedimento. La Pomini, saggiamente a nostro avviso, rifiuta il nuovo contratto. Rimane però l’interrogativo: perché l’avete mandata via?
La causa in tribunale ha poi appurato una serie di ulteriori fatti: Antonela Andreata, che con Andermarcher doveva svolgere il lavoro della Pomini, ha ammesso di non sapere cosa sia la partita doppia, né cosa facesse Andermarcher con cui avrebbe dovuto teoricamente lavorare gomito a gomito. In realtà Pomini, dice il giudice, è stata sostituita dal collega dott. Andrea Cussigh, che in teoria doveva invece lavorare a Lavis presso Ethica spa; la sentenza ha previsto anche che il Cussigh dovrà sostenere un’imputazione per falsa testimonianza.
Risultato: la LaVis, a meno di rivincite in appello, si trova a vedere incriminato un proprio dipendente troppo zelante, a dover pagare tre anni di stipendio della Pomini, a pagare le sue e le proprie spese legali, a riassumere Pomini o pagarle un ulteriore risarcimento. Bravo, Zanoni!
Ma rimane la domanda di fondo: perché?
Noi abbiamo qualche indizio, che fa capo a uno dei buchi neri di LaVis e Casa Girelli, la società americana Fine Wine International, su cui la magistratura non ha ancora convintamente indagato.
Il peggior bilancio di Casa Girelli della gestione LaVis è quello che chiude al 30 giugno 2010, con una perdita di oltre 8 milioni. In questo bilancio si rende conto di una strana operazione: il riacquisto del 95% della FWI, società già ceduta nel 2008 ma “senza incasso del corrispettivo”. Questa operazione viene definita “puramente formale” dalla stessa Guardia di Finanza. Nel medesimo bilancio avviene la svalutazione di 6 milioni di crediti che FWI doveva a Casa Girelli. In pratica per anni la Cantina mandava in America milioni di bottiglie, FWI regolarmente non pagava, poi arriva Zanoni e che fa? Rinuncia a tutti i crediti. Questo bilancio viene approvato il 20 gennaio 2011. Nello stesso giorno la Divisione Vigilanza della Cooperazione, nella Relazione di revisione sul Bilancio Consolidato del Gruppo LA VIS al 30/06/10, dichiara di “non poter esprimere un giudizio professionale” su detto bilancio, a causa della rilevanza delle limitazioni alle verifiche.
Il 9 marzo, due settimane dopo il licenziamento della Pomini, la Divisione di Vigilanza dichiara di aver ricevuto dalla LaVis “la documentazione necessaria al completamento delle procedure di revisione dai noi ritenute necessarie per l’espressione del nostro giudizio”. È lecito pensare che eliminata la Pomini, vengono inviate le carte richieste dalla Vigilanza?
Quali carte? Qualche indagine su FWI e su questi passaggi sarebbe quanto mai opportuna.