LaVis, verso il baratro
Otto milioni di ulteriori perdite, niente dismissioni, patrimonio azzerato, a rischio il portafoglio degli stessi consiglieri d’amministrazione. I padrini politici non ci sono più e comunque non basterebbero. È un modello di impresa troppo protetta dalla politica giunto al capolinea.
Il bilancio “consolidato” è quello che mette insieme i conti di un gruppo, cancellando le partite di giro: io ti do questo, tu presti quest’altro, ripartiamo queste spese, ecc. Insomma, quando si tratta di un gruppo articolato in più società, come LaVis con Casa Girelli, Ethica, Cesarini Sforza, Fine Wine, ecc, è il consolidato a fornire il quadro reale. Nel nostro caso, sconfortante, se non drammatico.
Vediamo le cifre, peraltro già fornite dai quotidiani; ma che qui noi leggiamo mettendole in fila, e spiegandone il significato e soprattutto le conseguenze.
Primo punto: il patrimonio netto è sceso, da 25 milioni a 18. Questo alla data cui è riferito il bilancio, 30 giugno 2012. Ma con il giorno successivo (una furbata dell’amministratore delegato Marco Zanoni) decorrono gli effetti dello scorporo dalla LaVis del reparto frutticoltura, che comporta - scrivono i revisori cooperativi - una perdita di patrimonio di 8,5 milioni. Quindi dal primo luglio, e pertanto anche ora, il patrimonio è meno di 10 milioni.
Questi però sono i conti come li presenta Zanoni. E che non hanno per niente convinto i revisori, per i quali tutta una serie di valori delle controllate (Casa Girelli, Poggio Morino, ecc) iscritti a bilancio sono gonfiati, o perlomeno immotivati. Di 23 milioni, scriveva il capo dei revisori Enrico Cozzio l’11 dicembre scorso, valutando il bilancio ordinario della LaVis, “non ci sono stati forniti adeguati elementi atti a giustificarne il valore”. Insomma, il patrimonio netto è meno di 10 milioni, con altri 23 ballerini. La LaVis non c’è più.
Il “rilancio” di Zanoni
Prima di vederne le conseguenze, guardiamo gli altri conti. I debiti sono tantissimi, 124 milioni, di cui una parte può essere ritenuta fisiologica (i fornitori), una parte sperare che non crei problemi (i soci) ma un’altra è pesante come un macigno: i debiti verso banche e verso terzi assommano a 77 milioni.
D’accordo, dice Zanoni, ma questo è il pregresso che ci tiriamo indietro, ora che ci sono io le cose vanno meglio, produciamo di più, vendiamo di più, “è in atto il rilancio”. Non è vero. Perché se in effetti nell’anno 2011-2012, i ricavi sono aumentati, da 86 a 94 milioni (questo il dato sbandierato in assemblea e ripreso dalla stampa giuliva) ma comunque meno dei costi, si è sì venduto di più, ma con margini minori (come sempre succede quando si firmano contratti con catene come Eurospin), subito erosi dagli oneri finanziari e da non ben specificati (la trasparenza è sempre un optional) oneri straordinari. E così l’anno si è chiuso con una perdita pesante, 8.183.956 euro.
In sintesi: patrimonio azzerato, debiti tanti, attività in rosso profondo.
Consiglieri a rischio
Rimangono poi dei punti oscuri. A iniziare dalla mitica Fine Wine International, la società americana di importazione vini, di proprietà della LaVis, che da anni le fornisce ettolitri di vino, però perdendo milioni su milioni. In questi anni su FWI abbiamo visto di tutto: LaVis la compra, la rivende, ha 6 milioni di crediti e vi rinuncia, ricompra ancora la società, non si sa da chi né per quanto; e ogni volta la Cantina ci perde (eppure nel cda di FWI ci sono gli stessi personaggi della LaVis). Anche quest’anno la commedia va avanti: di FWI non vengono presentati i conti, in quanto - si scrive - “le quote sono detenute allo scopo della successiva alienazione”. Traduzione: non vi diciamo come va perché l’abbiamo solo perché intendiamo venderla: una giustificazione che non ha capo né coda, e che per di più cozza contro quanto scritto nel precedente bilancio: “È in corso la riorganizzazione e razionalizzazione di FWI sul mercato americano, considerato strategico”. (Qui i revisori allentano la loro attenzione. La ha allentata anche la Procura e il Tribunale. Forse per indagini finanziarie internazionali non sono attrezzati? Non sarebbe positivo, nell’era della globalizzazione).
Lasciamo perdere l’America e torniamo a Lavis. Finora Zanoni ha risposto alle critiche e ai rilievi, contrattaccando. QT scrive il falso, Cozzio, con i suoi “insopportabili conticini”, è prevenuto (o peggio, come scrivono i zanoniani sul nostro blog, è al servizio della concorrente Cantina di Mezzocorona).
E ora, con l’azzeramento del patrimonio netto, il gioco si fa ancora più pesante. Il patrimonio netto, recita il codice civile, non può essere inferiore al capitale sociale che nel caso di LaVis è di 2.350.000 euro. Urge ricapitalizzare. In caso contrario gli amministratori, tutti, una volta che sono a conoscenza della situazione (cioè da quando è arrivata la lettera di Cozzio), rispondono con il loro patrimonio personale; ed è una responsabilità illimitata (ti portano via anche tutto quello che hai) e solidale (se gli altri amministratori sono nullatenenti rispondi tu anche per loro). Non basta: si possono raccogliere finanziamenti da soci (LaVis ne ha per 5.435.000 euro) solo fino a tre volte il patrimonio netto; se si supera tale importo scatta, sempre per gli amministratori, un reato penale.
Insomma il cda, invece di fare lo gnorri cercando di ignorare la revisione, dovrebbe meditare sullo stato reale dei conti, come pure sulle proprie, anche personali, convenienze: si trova nell’assoluta, imprescindibile necessità di ricapitalizzare la cooperativa. Ma come? Con quali soldi?
Le illusioni e la realtà
Quella che viene al pettine è l’avventurosità della gestione Zanoni. Il quale, insediato come commissario, aveva rifiutato la via maestra di ogni commissariamento: rivoltare l’azienda come un calzino. Cioè recuperare parte dei soldi dissipati dalla precedente amministrazione attraverso un’azione di responsabilità; ridiscutere lo scandaloso prestito della finanziaria della Curia Isa, oggi definito dalla magistratura come usurario (e di come la cosa fosse possibile, e anche auspicabile per la stessa pur vorace finanziaria, lo si capisce oggi: Isa ha subito una ferita devastante alla propria immagine, ha in corso un procedimento giudiziario, e degli 8 milioni prestati lievitati a 12, non ha ricevuto praticamente niente); alleggerire l’azienda dalle troppe assunzioni clientelari.
Zanoni invece, probabilmente su input di Dellai, lord protettore che lo aveva nominato commissario, non faceva nulla di tutto questo, si muoveva in perfetta continuità con i rovinosi amministratori che anzi manteneva ai vertici e teneva gli scheletri ben chiusi nell’armadio, confidando nella copertura del potente presidente della Provincia.
Sul piano economico si muoveva su due direzioni: aumentare il fatturato spingendo le vendite di vino a basso costo di Casa Girelli e diminuire il debito dismettendo tutta una serie di beni ritenuti non strategici.
Oggi il bilancio certifica il fallimento di entrambe le operazioni. Su Casa Girelli abbiamo già detto: si è venduto tanto vino da hard discount, ma rimettendoci.
Sulle dismissioni possiamo oggi confrontare i progetti con la realtà. Nell’immagine a lato riproduciamo una tabella proiettata da Zanoni nell’assemblea di approvazione del bilancio 2010-2011, tenutasi nel dicembre 2011. Come si vede, il piano prevedeva dismissioni per un totale di 43,47 milioni: di queste ne erano già state realizzate per 13,47 milioni (grazie alla munificenza di mamma Provincia, generosa acquirente di asset scombiccherati come Maso Franch), mentre altre, per un totale di circa 30 milioni, erano “in corso”, da concretizzarsi a giorni (lo stesso dicembre 2011) o in ogni caso già decise (“al 95%”).
Oggi vediamo che nessuna di quelle dismissioni è stata attuata. Perché fantasiose (l’”azienda toscana” Poggio Morino o Basilica Cafaggio che sia, è in realtà fuori mercato) o perché presupponevano un ulteriore sconsiderato intervento dell’ente pubblico (la cessione del magazzino 5 Comuni all’Itea, o il terreno di Casa Girelli in viale Verona per realizzarvi uno studentato universitario), che anche il pur potentissimo Lorenzo Dellai, nella fase ormai terminale del suo mandato, non era in grado di assicurare.
E così le soluzioni individuate da Zanoni sono finite nel nulla.
Anche i padrini hanno dei limiti
La vicenda di Casa Girelli va comunque aggiornata, perché illuminante delle torsioni cui la logica, le regole, l’interesse pubblico vengono sottoposti, quando preme un potere politico\economico.
Dunque Zanoni ottiene che sul terreno di Casa Girelli venga costruito, naturalmente a spese della Provincia, un nuovo studentato universitario (di cui non si sentiva un gran bisogno) e stipula un preliminare di compravendita per 13,5 milioni. Deve però ottenere il cambiamento di destinazione urbanistica dell’area, da zona produttiva a servizi. La commissione urbanistica del Comune di Trento fa sapere che non ha nessuna intenzione di far mandare a casa i lavoratori della Girelli, e quindi pretende lo spostamento dell’attività in altra zona. Zanoni non si scoraggia e si mette a lavorare per trasferire Casa Girelli a Lavis, in un’area vitata adiacente alla Cantina, che prende in affitto (!) e che subito libera dalle fastidiose viti, prontamente espiantate (!).
A questo punto i problemi sorgono a Lavis inteso come paese. Trasferirvi Casa Girelli, che lavora 40-50 milioni di bottiglie, in una Cantina attrezzata per lavorarne 6 milioni, e situata in un’area ormai centrale, implica una serie di problemi. Innanzitutto il depuratore, che già la LaVis scandalosamente non ha e che a questo punto andrebbe costruito; e poi l’accesso ai camion, che Zanoni allegramente prevede nella via Lungo Avisio, strada arginale adibita soprattutto a ciclabile (è un tratto del collegamento cicloturistico Trento-Bolzano, quindi ha valenza sovracomunale, anzi sovraprovinciale) e che si vorrebbe rendere camionabile.
Un progetto raffazzonato, dall’impatto sicuramente negativo, dall’esiguo ritorno economico: cosa pensa Zanoni che gli rimarrebbe dei 13,5 milioni, dopo aver effettuato il trasferimento, costruito nuovi capannoni, costruito il depuratore, sistemato la strada, demolito in viale Verona Casa Girelli (operazione onerosissima, le coperture sono in amianto)?
Ben oltre Zanoni, è il metodo che preoccupa. Quando qualcuno ha un potente padrino, per favorirlo si pretende di fare tutto, contro qualsiasi logica.
Una lezione per tutti
La dura lezione dei conti, e in contemporanea la dipartita del padrino Dellai, dovrebbero riportare tutti con i piedi per terra. Strologare, come ancora si ostinano a fare in diversi, anche sul nostro blog, di ulteriori salvifici interventi provinciali, non ha molto senso.
La Cantina dovrebbe affrontare la realtà. E così dovrebbe fare la Federazione delle Cooperative, che finora ha colpevolmente supportato la malagestione della Cantina e gli intrecci perversi con Isa, fino a prendere le distanze dall’operato della propria revisione. Ora si inizia a interrogarsi su come limitare i danni, ad esempio scorporando Casa Girelli inserendola in Cavit, e riducendo LaVis a una piccola cantina di qualità, sempre nell’orbita Cavit. È un percorso difficile, contro cui ostano elementi soggettivi (La Vis era uscita da Cavit sbattendo la porta, e portandosi dietro il principale cliente, l’americana Gallo, cui aveva offerto condizioni più vantaggiose, in un dannoso gioco al ribasso), ed elementi oggettivi (Casa Girelli ha in pancia autentici veleni, come il trentennale (!) contratto capestro con la svizzera UWI, rescindibile solo con penale di 2,5-3 milioni) e che di sicuro non risolverebbe gli impellenti problemi economici: quanto pagherebbe Cavit per prendersi Girelli? Ogni valore minore rispetto a quello con cui Casa Girelli è iscritta in bilancio - 26 milioni - determinerebbe una perdita in capo ad Ethica che ne causerebbe automaticamente il fallimento; o la ricapitalizzazione, ma con che soldi?
Insomma, LaVis è ormai un pasticciaccio troppo grosso. Ma almeno si comincia a pensarpe a soluzioni, andando oltre l’ormai inutile Zanoni. Ma è tutto il mondo cooperativo e quello agricolo che deve urgentemente ripensarsi. Oltre Dellai, oltre gli assessori al nulla come l’attuale Tiziano Mellarini e il predecessore Pallaoro. E oltre Schelfi.
Con chi solidarizza la Pat?
In data 2 gennaio 2012, ci perveniva dalla Provincia, a firma dell’allora onnipotente presidente Lorenzo Dellai, una minacciosa lettera in merito a un nostro articolo, “LaVis: quello che il Commissario non spiega”. Ci veniva contestato di aver “accusato pesantemente gli uffici provinciali preposti alla vigilanza sulle società cooperative” quando invece, a fronte di nostre “censure generiche, perché formulate senza indicare specifici fatti e precise irregolarità” gli uffici provinciali “non dispongono ad oggi di elementi oggettivi sulla scorta dei quali poter fondatamente dubitare della correttezza...”.
Insomma, gli uffici di vigilanza della Provincia non dormivano, come noi avevamo osato insinuare ledendo “la professionalità e la stessa dignità delle persone”, ma non avevano elementi per fare altrimenti. La lettera del presidente si chiudeva con un minaccioso “la Provincia si riserva comunque ogni valutazione in merito all’opportunità di adire le vie legali”.
Oggi apprendiamo che il Tribunale di Trento, invece di incriminare noi, ha richiesto il rinvio a giudizio di Giacomoni, Peratoner e Andermarcher, i tre amministratori della LaVis da noi accusati. Non basta: il Tribunale individua come “persona offesa” proprio la Provincia, in quanto l’azione dei tre ne ha ostacolato l’azione di vigilanza e controllo.
A questo punto Dellai, neo-onorevole, farebbe ottima cosa a presentarci le scuse. Ma non ci contiamo... Contiamo invece che la Provincia, nella veste del nuovo presidente Pacher, accolga l’invito del Tribunale a costituirsi parte civile contro i vertici della LaVis.
Sarebbe una pessima cosa se l’ente pubblico fosse pronto a denunciare chi grida al ladro, e solidale invece con il ladro pescato con le mani nel sacco.