L’industria dello sci sovietizzata
In Trentino non esiste area che non viva di contributi pubblici.
L’economia turistica trentina ha fame. Fame di territori liberi e di soldi pubblici. Specialmente quella legata allo sci. Sembra che gli operatori economici del settore vivano in un mondo alieno. Non riflettono un attimo sulla attuale crisi economica, su un bilancio della Provincia sempre più risicato, su denaro pubblico che viene tolto ad altre esigenze, primarie, della società: uno sviluppo integrato, politiche a favore dei giovani, il sociale e la formazione scolastica. Vivono una esasperazione egoistica preoccupante, credendo di essere il centro del mondo e l’unica categoria che produca reddito e lavoro.
Senza sminuire l’importanza del settore, lo sguardo che getteremo sulle loro richieste allarma: sono richieste che trovano alimento diffuso in tutte le Comunità di Valle e come alleati i politici di tutti gli schieramenti.
Trentino Sviluppo S.p.a. é lo strumento inventato dalla politica per superare le normative europee che impongono un tetto ai contributi pubblici nella gestione e ristrutturazione delle aree sciabili, nella costruzione di nuovi impianti. Trentino Sviluppo, ma anche la cooperazione delle Casse Rurali si assumono perfino l’onere di intervenire massicciamente con aumenti di capitale in società decotte, arrivando a cancellare l’enormità di debiti accumulati. In qualunque altra situazione italiana più della metà delle aree sciistiche trentine sarebbe stata dichiarata fallita. Da tempo.
La delegificazione della Valutazione di Impatto Ambientale (V.I.A.) e di altre leggi di tutela permettono agli impiantisti minori controlli e minori doveri verso le esigenze di conservazione dei territori e quasi impediscono il controllo della società civile sui procedimenti amministrativi. Ma il chiavistello più incisivo che è stato inventato si chiama “mobilità alternativa”, in nome della quale viene scardinata ogni etica e norma nell’imporre nuove cabinovie che partono dai paesi per raggiungere le aree sciabili. Vedremo come ogni area turistica pretenda di costruire nuovi impianti con una contribuzione pubblica che va dall’80% al 100% dei costi, anche quando è a tutti evidente come si tratti di un inganno e di una prevaricazione delle norme europee. Ci si chiede, in più ambienti e specialmente nelle regioni confinanti, fino a quando durerà questa situazione di grave ingerenza pubblica nella gestione di imprese private. E fino a quando sarà ancora possibile intervenire con una dispersione incredibile di risorse pubbliche. Solo questo settore sembra evitare investimenti basati sulla sobrietà e rispetto dell’ambiente, senza assumersi responsabilità verso le esigenze della società, e questo perché da decenni ci si è abituati ad ottenere autorizzazioni anche in presenza di vere e proprie follie economiche e ambientali.
Il mondo scientifico ed economisti indipendenti ci dicono che è molto probabile che in meno di dieci anni diverse stazioni sciistiche delle Alpi spariscano a causa del cannibalismo che si sta scatenando per catturare il patrimonio degli sciatori europei in continuo calo. Le famiglie non hanno più soldi da spendere nel superfluo, e lo sci è uno sport estremamente costoso. Solo pochi giorni fa a Bolzano, durante il convegno di CIPRA (Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi) sul tema dell’acqua, si è previsto, sulla base di documentazioni scientifiche, la scomparsa entro il 2030 di quasi tutti i ghiacciai delle Alpi; il fatto è che ad ogni grado di aumento medio della temperatura il livello delle nevi che rimangono al suolo sale di 170 metri.
In tema di turismo si stanno consolidando nuove tendenze e si rafforzano sempre più, esigenze culturali, ricreative, investimenti sul tempo, ricerca di naturalità e di paesaggio. A queste evidenze la risposta dell’ANEF (Associazione Nazionale Esercenti Funiviari) trentina è sconcertante: in provincia le aree sciabili occupano solo lo 0,25% del territorio. Evitando di dire che sempre, si tratta di territori fragili e pregiati.
Oggi non si scia più solo sulle piste. Ma si esce, sempre più frequentemente, allargando i confini delle aree. I passaggi fuori pista, che hanno un significato positivo quando si tratta di persone che con i propri mezzi fisici si avventurano nella natura, diventano invece invasivi quando si tratta di sciatori che salgono con gli impianti e scendono invadendo spazi aperti e liberi per ettari, sconvolgendo ogni equilibrio di vita della fauna selvatica. Per di più, ad ogni nuovo impianto o pista, in breve tempo corrispondono ulteriori potenziamenti e la costruzione o ristrutturazione di nuovi locali, rifugi, bar, che divengono discoteche, sempre più grandi. Come bene ha scritto Franco de Battaglia, “finirà con un turismo sempre più povero di motivazioni e fascino interiore...per drogarlo con dosi sempre eccessive di sfregi e soldi pubblici”.
Per cercare di rendere meno pesanti i deficit di troppe società, l’ANEF è arrivata a disdire unilateralmente l’accordo sindacale di secondo livello. Questo significa privare migliaia di dipendenti di circa 3-4 mila euro all’anno. Siamo in presenza di una categoria imprenditoriale aggressiva, che pensa solo ai propri interessi, priva di senso della comunità.
Anche perché il turismo sta in realtà andando in altra direzione. Nel 2012 c’è stato - ci dicono le statistiche della Provincia, un incremento sia di arrivi (+ 2,8%) che di presenze (+ 1,3%); e un parallelo crollo (- 13%!) di passaggi sugli impianti a fune. Insomma, i turisti che vengono in Trentino aumentano, ma ancor di più cresce la quota di quelli che gli impianti di risalita non li usano. Anzi, gli danno fastidio, perché evidentemente cercano altro, una naturalità che dai tralicci viene compromessa. A questo punto, con questi dati, che senso ha continuare ad investire pesantemente in un ampliamento di un’offerta vetusta, di per sé in costante declino, e che invece compromette le alternative già premiate dai risultati?
Ski area di Pinzolo-Campiglio
La ski area di Madonna di Campiglio è la più importante e vasta della provincia: 150 chilometri di piste, 63 impianti, 560.000 presenze, 400 dipendenti ed un fatturato annuo di 50 milioni di euro.
Qui si sta vivendo il conflitto più aspro. Dopo aver ottenuto attraverso mille prevaricazioni e una valanga di denaro pubblico (30 milioni di euro) e il collegamento Pinzolo-Campiglio, ora si pretendono le piste, come era ovvio accadesse, nonostante le promesse in senso contrario di Dellai e Gilmozzi.
Ad oggi il collegamento verso Campiglio è un fallimento. La società in estate vorrebbe tenerlo chiuso, nonostante sia stato interamente pagato con soldi pubblici con la scusa che fosse mobilità alternativa. In inverno non si arriva ai mille passaggi al giorno, 70.000 nella stagione, in estate si arriva, quando va bene, a 100 passaggi giornalieri. Una bufala.
La nuova proposta, quella di realizzare, attraverso Serodoli, un collegamento sciistico con la valle di Sole e Folgarida, è solo un ulteriore tentativo per mettere una toppa finanziaria alle disastrate finanze di Folgarida-Marilleva. Gli impiantisti dicono che stanno rispondendo alle esigenze dello sciatore del terzo millennio: varietà, lunghi collegamenti fra aree diverse...
Altre piste sono in programma: da Colarin a Plaza attraverso Fogaiard, tutte esposte a sud, e la pista da Poza dei Fò a Plaza, che cinque anni fa venne vietata per l’alto valore paesaggistico rappresentato dalla area e che oggi viene riproposta.
Il parco naturale Adamello-Brenta ha bocciato all’unanimità il progetto perché l’area di Serodoli è di alto pregio ambientale, paesaggistico e morfologico. Sono insufficienti ed inadeguati gli studi e gli approfondimenti di natura socio-economica sugli effetti di un possibile collegamento dell’area sciabile. Tutto avverrebbe nel cuore della riserva integrale di Malga Darè e Monte Vigo.
La Comunità di Valle delle Giudicarie sembra diventata il partito delle piste. Anche Legambiente è intervenuta, regalando, fra mille polemiche, la bandiera nera alla Comunità di valle. La presidente della Comunità, Patrizia Ballardini, chiede che la bandiera venga ammainata e minaccia: “In caso contrario valuteremo autonomamente modalità e tempi di azioni conseguenti”. Ma Legambiente non si è scomposta, confermando il giudizio negativo. Confortata dall’azione di tutto l’ambientalismo trentino e della SAT.
Il Parco, avendo ben presente come i dirigenti politico-amministrativi della Provincia siano corresponsabili nella intera vicenda, teme che la PAT intervenga nuovamente con ingenti finanziamenti e semplificazioni degli iter burocratici.
I perché sono chiari. Nonostante il recente massiccio intervento di Trentino Sviluppo S.p.a., la società Funivie Pinzolo ha un deficit di 11 milioni e 700 mila euro, consolida perdite annue di 2 milioni di euro ed ha tagliato gli stipendi dei dipendenti di 500.000 euro l’anno.
La partecipazione complessiva degli enti pubblici nella società è di 21 milioni, ai quali vanno sommati i 25 che Trentino Sviluppo ha scommesso sul collegamento Pinzolo-Campiglio, altri 5,6 milioni versati su piste e altri impianti e le quote azionarie di altri enti pubblici, per arrivare ad un totale di 60 milioni di euro. Il patrimonio netto è inferiore al capitale investito e il disavanzo al 2012 è di 9,4 milioni.
Ma non ci si accontenta. Si vuole collegare Patacoss a Campiglio per il Doss dei Sabbioni; due piste sono già state realizzate in zona 5 laghi Pancugolo-Patacoss. Trentino Sviluppo interviene con il 100% di contribuzione e nel suo consiglio di amministrazione è presente la presidente della Comunità di valle Patrizia Ballardini. 60 sono i milioni di euro di investimenti previsti.
Anche le regole di Spinale e Manez si ritrovano protagoniste: hanno autorizzato fino al 2052 la società a prelevare acqua dal previsto nuovo bacino di Montagnoli, che sarà vasto come sei campi di calcio; si prevedono oltre 100.000 mc. di scavi per una capacità di 190.000 mc. d’acqua, capaci di permettere in pochi giorni l’innevamento di 60 chilometri di piste. Dieci milioni il costo dell’intervento, che ha avuto anche il voto del rappresentate del Museo di Scienze Naturali.
Pressata da ogni dove, la presidente della Comunità finge tolleranza ed ha affidato alla società Agenda 21 una valutazione degli impatti delle opere. Dopo gennaio si deciderà definitivamente, ma come si è visto, tutti i rappresentanti territoriali della Comunità sono favorevoli, compreso il PD che nel passato aveva avanzato flebili perplessità.
I debiti di Folgarida-Marilleva
Anche quest’area è interessata da nuovi sviluppi. La società di Folgarida ha un bilancio di 22 milioni annui, ma nella sola stagione 2012-2013 ha avuto un deficit di 1,1 milioni di euro. Il debito complessivo è di 20,1 milioni, sostenuto da interventi finanziari della Provincia attraverso Trentino Sviluppo, della Cooperazione e delle Casse Rurali. I titoli della società sono stati convertiti in debiti da una cordata di banche, con le Casse Rurali sempre in prima fila, nonostante il rischio di fallimento se si trovassero gestite in un territorio ad economia non assistita. Il tutto per contenere gli effetti devastanti della operazione immobiliare in Aeroterminal a Venezia.
Ora si vogliono nuove piste: quella delle Malghette è già stata autorizzata (6.5 milioni) e ne sono previste altre due in alta val Panciera (2 milioni) e la sostituzione della seggiovia del Vigo (5 milioni).
E sul Tonale cosa avviene?
Il passo del Tonale è nelle intere Alpi uno dei passi più devastati dall’industria dello sci e dal suo legame con la speculazione edilizia. Folgarida e Marilleva sono in stretto collegamento con i parenti più poveri del Tonale e di Pejo. Nel 2005 era stata sconvolta, sempre con un imponente intervento economico della Provincia, l’area della valle della Mite portando l’impianto fin nel cuore della zona a rischio valanghivo. Oggi Marilleva ha escluso dallo Ski Area il compendio Pejo 3000: sono beghe locali difficilmente assorbibili,visto l’emergere di egoismi e di difficoltà finanziarie sempre più preoccupanti nell’intera valle.
Parte degli ingenti debiti della holding Valli di Sole, Pejo e Rabbi vengono superati, almeno fittiziamente, dalle decisioni della nuova variante del Piano Regolatore di Dimaro, che ha aumentato la capacità edificiale su terreni di proprietà della società: parte di questi debiti saranno ripianati da un presunto aumento di valore dei terreni stessi.
Non soddisfatti di questo regalo, gli impiantisti chiedono ulteriori investimenti. Il consiglio comunale di Vermiglio ha infatti approvato la variante urbanistica per innalzare sopra quota 3000 la stazione di arrivo a Passo Presena, passando da passo Paradiso fino all’intermedia di Capanna Presena. Si realizzerà anche una terrazza panoramica con vista sull’Adamello. Sono 14 i milioni di spesa previsti per il nuovo impianto. In questi giorni si sta lavorando nel tentativo di superare il conflitto con Marilleva e giungere ad un accordo che riesca a presentare in modo unitario l’offerta sciistica della valle di Sole.
Uno sguardo sulle altre aree sciabili.
Dall’occidente passiamo nella parte orientale del Trentino. Vive una cultura diversa del turismo? Sembra proprio che la visione dell’offerta sia identica.
Partiamo dalla situazione più drammatica dal punto di vista finanziario, S. Martino di Castrozza, che da troppi anni presenta un tessuto sociale spaccato. Quello imprenditoriale vive di ripicche e di invidia, tanto che solo fino a tre anni fa nel paese si combattevano quattro diverse società impiantistiche. Nonostante le sofferenze bancarie e il continuo calo di ospiti, solo un intervento energico della Provincia (o vi unite o non avrete la cremagliera) ha portato ad una relativa semplificazione.
Ma le storiche divisioni hanno prodotto ormai fragilità economiche forse irreversibili, nonostante la condiscendenza nelle scelte urbanistiche del Parco di Paneveggio-Pale di San Martino, che in questo campo sembra aver abdicato al ruolo di conservatore della naturalità offrendo agli impiantisti deroghe e opportunità di ogni tipo.
Le fragilità, dunque: durante l’estate si era ventilata perfino la chiusura della Ski area di Ces, Colverde e Rosetta, perché le società non riuscivano nemmeno più a pagare la bolletta elettrica: per risolvere l’emergenza si è inventata una delle tante scatole societarie, la “Newco”, che trasborda i vecchi proprietari e assorbe i maggiori creditori: la Cassa Rurale del Primiero e Vanoi, l’Azienda municipalizzata elettrica, l’Azienda consorziale dei servizi municipalizzati e ovviamente Trentino Sviluppo.
La società San Martino Primiero Dolomiti trasporti a fune S.p.a. ha assorbito la Nuova Rosaplina e la Siati (Colverde e Rosetta), avviando una ricapitalizzazione di 19 milioni e mezzo di euro. Oggi la società produce quasi un milione di di indebitamento l’anno, la quota azionaria maggioritaria è dei Comuni, oltre il 50% del capitale. Il debito complessivo è di 10,53 milioni.
In Primiero si è convinti che la nuova cremagliera che dovrebbe portare gli sciatori da San Martino a passo Rolle risolverebbe tutti i problemi del turismo locale. La cremagliera si chiamerà TPL (Trasporto Pubblico Locale), un’altra idea che serve unicamente per fare passare l’opera come mobilità sostenibile, con la statale di passo Rolle che ovviamente continuerà a rimanere aperta. L’idea della cremagliera, frutto della fantasia dei dirigenti della Provincia, costerà 43 milioni di euro, più altri 17-20 milioni per collegare fra loro le diverse aree sciabili, opere accessorie e la pista di rientro. Dati dell’ANEF, confermati dalla presidente, Valeria Ghezzi, ci dicono che i costi di gestione dell’opera saranno di almeno 800.000 euro l’anno, mentre i ricavi si fermeranno a 300.000. Per appaltare la cremagliera la Provincia ha dovuto rinviare quattro volte la gara e oggi si sta valutando un’unica offerta, quella di una ditta appositamente costituita in valle. Si chiamerà “Rolle società consortile” e vede cooptati più attori: il Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna, il Btd di Primiero, il Consorzio Lavoro e Ambiente, le imprese Collini, Sws Engineering di Mattarello e la Laitner.
Le imprese intervengono non solo perché ottengono le commesse dei lavori, ma perché in seguito dovranno provvedere alla manutenzione e gestione. Per loro e solo per loro si tratta di un investimento nel medio e lungo periodo sicuro. Infatti anche qui entra da protagonista Trentino Sviluppo, che si sobbarcherà sia l’onere dell’impianto che di gran parte del debito pregresso, anche se ad oggi la sua presenza è minima, il 2% del capitale. In questi giorni ha versato a titolo d’acconto 100.000 euro.
Per ora in Primiero si vive nell’angoscia: sono 11 milioni le esposizioni, la Cassa Rurale locale è esposta per 3,5 milioni a breve termine e 5,63 a medio termine. Cifre da far tremare i polsi e che confermano l’evidenza di una gestione fallimentare del prodotto turismo durata oltre un ventennio. (1.continua qui)