L’industria dello sci sovietizzata / 2
In Trentino non esiste area che non viva di contributi pubblici. Seconda puntata: da Fassa a Folgaria, al Bondone.
Leggi la prima parte.
Fassa: vogliono violare le ultime aree libere
Se andiamo in Fassa non troviamo situazioni di indebitamento tanto pesanti, anzi, la SITC (Società Incremento Turistico di Canazei) produce utili e investe anche in modo diversificato, o perlomeno complementare allo sci: si pensi alla moderna piscina inaugurata da un anno. Ma anche qui le pressioni degli impiantisti sono fortissime e il quadro politico locale dimostra di non avere difese e manca di proposte sul come diversificare il prodotto turistico invernale.
Si lavora per costruire il nuovo impianto che da Alba porterà a Col dei Rossi nell’area sciabile del Belvedere, un ulteriore sbocco di mobilità alternativa verso il giro del Sella. L’intera montagna modificherà il suo attuale aspetto. Si è costruita una nuova pista su Col Rodella verso Campitello. Devastante, dal punto di vista morfologico e paesaggistico. L’area del Buffaure ritorna in sofferenza dopo solo due anni di minimi attivi dovuti alla novità degli impianti del collegamento in Val Jumela: gli ultimi deficit di gestione sommano ad oltre 300.000 euro nella precedente stagione e 411.000 in quella appena trascorsa. I passaggi, nonostante un anno di eccezionale innevamento, sono calati del 3%. Anche in questa area si costruirà una nuova pista di rientro da Buffaure a Pozza.
Fassa soffre nei suoi due estremi. In Marmolada l’ostinazione degli operatori di Fedaja e del comune di Canazei, che pretendevano una nuova violazione di Punta Rocca (priva di spazio), ha impedito fino ad oggi il rilancio del turismo sulla regina delle Dolomiti, anche quello estivo. Falliti i due patti del 2003 (condiviso anche dagli ambientalisti) e del 2006 (Museo di Scienze naturali), oggi finalmente sembra si sia trovata una condivisione. La Provincia ha abbandonato la follia imposta dai soliti dirigenti di servizi (lavori pubblici e impianti a fune), quella di costruire una nuova funivia che da Alba raggiunge Fedaja in due tronconi, costo 25 milioni e ci si accontenta della soluzione più logica e meno costosa, la protezione dalle valanghe della strada che porta al passo. Il prossimo anno vedremo se ci saranno sviluppi della logorante vertenza.
Nel fondovalle sono invece Moena e Soraga a fare la voce grossa. Operatori turistici lividi di rabbia hanno inventato la follia di costruire un nuovo collegamento, che si vorrebbe far passare per mobilità alternativa, verso passo di Costalunga. Ad oggi sia la Comunità di valle che la Provincia non prevedono il collegamento, ma questa iniziativa nata da imprenditori locali (sollecitati dagli impiantisti di Carezza e dall’assessore al turismo altotesino Widmann) ha portato alla spaccatura del fronte ladino e alla nascita di una nuova lista che chiede alla Provincia “territorialità”. La traduzione del termine è banale: la PAT dovrebbe adottare e sostenere ogni proposta che un territorio produce. L’impianto costerebbe 34 milioni e logica vuole che lo si costruisca solo per rispondere alla caduta verticale di appetibilità degli impianti e delle piste della società di Carezza (Nova Levante), che ogni anno somma debiti su debiti.
La Comunità di valle, invece. sostiene il collegamento da Moena (Navalge) verso Valbona: si andrebbe a servire direttamente un’area sciabile esistente, forte di un diffuso azionariato locale. 14 milioni il costo previsto. Mentre in centro Fassa si intende collegare con nuovi impianti in tre tronconi Pera di Fassa (quindi area del Buffaure) con la conca di Gardeccia.
Il dramma di Folgaria
Folgaria, sotto la guida dell’allora sindaco Olivi, aveva impostato il suo rilancio turistico unicamente sullo sci, andando a sconvolgere zone libere col collegamento dell’Alpe di Folgaria verso l’area veneta, invadendo la intonsa valle delle Lanze ai Fiorentini e mascherando il tutto con un presunto superamento di un trentennale conflitto sugli usi civici col comune di Lastebasse.
Non soddisfatti di quanto ottenuto, oggi si pretende una nuova cabinovia che parta dal centro di Folgaria (area palazzo del ghiaccio) per raggiungere Sommo Alto, mobilità alternativa che richiama l’intervento di Trentino Sviluppo per pagarne il costo, 23 milioni. La Comunità di valle ha votato anche il reinserimento del Cornetto nell’area sciabile (impianti falliti negli anni ‘70). Si prevedono la cabinovia Carbonare-Costa e tre nuove piste. Lo studio complessivo delle proposte di mobilità alternativa è affidato ancora una volta alla Swg Engineering. Quelli di Folgaria sono impianti strettamente legati alle possibili speculazioni edilizie nella zona di Serrada. Il Comune intenderebbe investire il 50% degli oneri di urbanizzazione nei vari aumenti di capitale che ci saranno (oltre 5 milioni entro il 2018).
Anche in questo caso i deficit della Carosello Ski Folgaria impressionano, oltre 3 milioni nel 2011-2012, 1.702.559 nel 2013. Nonostante gli apporti finanziari della Provincia e di Marangoni, il monte debiti supera i 23 milioni. La società Fiorentini Folgaria, protagonista della distruzione della valle delle Lanze, produce annualmente un debito identico all’incasso annuale: 650.000 euro. Anno dopo anno questo investimento si dimostra un fallimento, come avevano predetto e documentato gli ambientalisti nella lunga e aspra lotta sostenuta contro il sindaco Olivi e la sua giunta. Per provare almeno a respirare servirebbero fondi freschi, ma dalle tasche degli albergatori locali non si riesce a scucire che qualche misero euro. Oggi il presidente della società Remo Cappelletti, protagonista di questo decennio di fallimenti, rispolvera le proposte dell’ambientalismo trentino: diversificare le offerte, nuovo uso della vacanza, servizi di qualità, nuove nicchie. Ma con il territorio devastato in ogni suo lembo, oggi l’operazione risulta perdente. Folgaria ha perso il treno della qualità ed è sempre più destinata alla marginalità, anche nel settore del turismo estivo.
Sull’altopiano è forte il PD, guidato da Aldo Marzari (chi lo riconosce più l’ex consigliere regionale?), che attacca Lega e PATT perché contrari a questi avveniristici e improbabili investimenti. Olivi, poi, si copre di ridicolo: oggi chiede alla Provincia (dove governa da assessore) di fermare i fondi dei comuni confinanti destinati ad Asiago (8 milioni) e a Lastebasse (8,5 milioni) perché concorrenti diretti della Carosello Folgaria (si rileggano i documenti delle associazioni ambientalistiche del 2004- 2007). Lastebasse, come era ovvio già allora, intende collegare Valdastico con gli altopiani dei Fiorentini, completando così il carosello come proposto nel 2004 con l’appoggio dell’allora sindaco di Folgaria.
Non vi è alcun dubbio che tali investimenti rappresentino un assist a favore dei veneti, ma le responsabilità di quanto accade ricadono tutte su Olivi e sulla sua protervia nell’imporre ai cittadini di Folgaria i desiderata di Carosello SKI, cioè del presidente Remo Cappelletti e di Mario Marangoni. Gli ambientalisti non dimenticano l’arroganza dimostrata da Olivi quando, nel loro cercare un confronto pubblico, venivano costantemente irrisi, se non minacciati.
Gli altipiani vivono anche di altre fantasiose proposte, tutte sostenute da Aldo Marzari e dagli amici degli altipiani, come il collegamento funiviario da Calceranica verso Luserna. I commenti di operatori turistici esperti a questo proposito è opportuno non riportarli.
Levico e le contraddizioni fra i comuni della Valsugana
Arriviamo a Panarotta 2000. Gli impianti annoverano ogni anno 500.000 euro di deficit e come azione risolutiva si chiede a gran voce una nuova funivia che da Levico-Vetriolo colleghi l’Alpe. Sono previsti 14.800.000 euro di costo e la costruzione di un campo di golf.
L’ex presidente della società Sergio Sartori affermava invece fosse necessario prima investire in quota rimodernando l’esistente e sosteneva che laddove vi è una strada, la funivia non potrà mai essere competitiva col mezzo privato. Ma la logica e l’intelligenza non sembrano caratteristiche dominanti in tanti amministratori. Nonostante l’opposizione del comune di Roncegno, la Provincia prosegue, vuole investire complessivamente 20 milioni anche costruendo un enorme bacino per l’innevamento che andrebbe a violare una delle più interessanti marcite d’alta quota delle Alpi.
La tragedia del Bondone
E il Bondone? È la storia della decadenza della montagna trentina, un crollo che sembra irreversibile. Nonostante il patto d’area, gli investimenti milionari, lo sperpero di denaro pubblico durato oltre un decennio, la distruzione di paesaggi e di località ad alta valenza naturalistica, si prosegue sulle linee di fallimenti annunciati. La montagna a dicembre ospiterà alcune gare delle Universiadi ed è già stata costruita la nuova pista di freestyle e quella da border cross. Strutture criticate in quanto non idonee ad ospitare gare internazionali: si è in attesa delle deroghe tecniche da parte della F.I.S.I. Per il nuovo impianto mancavano 5 milioni, che si sperava venissero raccolti dagli operatori locali. Già nel 2012 Trentino Sviluppo aveva investito 5,6 milioni. Altri 10 sono pronti: 5,2 in conto capitale e 5 per sostenere la nuova seggiovia esaposto in costruzione.
Ma anche qui si è fallito: terminata la costruzione dell’impianto, l’infrastruttura sarà acquisita da Trentino Sviluppo. Si costruirà anche un nuovo bacino di accumulo delle acque per l’innevamento “tecnico” (così lo chiamano gli impiantisti) capace di 64.000 mc. d’acqua. Il grillo del Bondone, Diego Tomasi, lo ha definito un ecomostro. Nel frattempo decine di migliaia di metri cubi di neve immagazzinata in quota durante l’estate si sono sciolti completamente. Va ricordato che per produrre un metro cubo di neve si spendono 4 euro.
Nella storia del disastro del Bondone il Comune di Trento ha sempre avuto un ruolo da protagonista, un protagonista passivo, capace solo di aprire cassa, succube dei desiderata e dei ricatti degli impiantisti.
E l’elenco non è finito...
Accanto ad aree sciistiche che vivono deficit minori come Pampeago o la Paganella (non abbiamo parlato di quest’ultima in quanto irrimediabilmente compromessa dal punto di vista paesaggistico), ci sarebbero altre zone con aree sciabili in sofferenza, come la Polsa-Brentonico e la Mendola. Aree destinate in breve a scomparire dalla promozione sciistica causa il cambiamento climatico. Si dovrebbe poi parlare dell’area del Broccon, un’intera montagna che le amministrazioni del Tesino hanno delegato alla gestione di Paterno e oggetto di speculazione con un incredibile piano baite che sconvolgerà ogni equilibrio ambientale: nuove strade e servizi, illuminazione fin nel cuore dei boschi e villaggi di baite diffusi in ogni spazio forestale e di pascolo. Recentemente anche qui è intervenuta Trentino Sviluppo acquistando lo skilift di passo Cereda. Un panorama sconsolante, che appare ormai avviato ad una profonda ristrutturazione.
Ma ci sarà coraggio? E vista la profondità della crisi, quali saranno i costi, non solo economici, ma umani, di una modifica radicale dell’offerta turistica invernale trentina?
W lo sci, ma senza distruggere
Nel pubblicare questa inchiesta non vi è alcuna intenzione di demolire l’industria dello sci, un’attività imprenditoriale necessaria alla proposta turistica del Trentino, a mantenere lavoro nelle vallate e ad offrire qualità al turismo.
La lettura di questo insieme di dati deve però allarmarci, perché risulta evidente come l’intera proposta invernale in Trentino debba cambiare rotta. Lo afferma in documenti lungimiranti anche Trentino Marketing. Ma il mondo politico della nostra Provincia non ha coraggio, perché plasmato da un diffuso clientelismo, strutturato su promesse a volte insostenibili: si sono sempre difesi progetti offensivi verso l’ambiente ed il paesaggio, ovunque si è intervenuti con sostegni pubblici anche in presenza di situazioni destinate a un rapido fallimento. Consolidando e diffondendo questo sistema a macchia d’olio il mondo politico ha perso l’occasione di far maturare negli operatori turistici una nuova cultura dell’ospitalità e di avviare strade innovative che sappiano legare l’industria dello sci ad altre proposte. E specialmente a investire in responsabilità dei territori, a strutturare sinergie con altre economie e con i servizi alla persona, nella formazione.
L’impressionante mole di denaro pubblico elargita all’industria dello sci deve farci riflettere sul fatto che queste risorse sono drenate da altri settori. Riportiamo due esempi, non certo i più drammatici, ma strettamente legati ai territori oggetto dell’indagine.
Durante l’amministrazione Pacher (dopo Berasi il più deludente del ventennio come assessore all’ambiente), ai parchi naturali sono stati tagliati fondi in modo continuativo: oggi i due parchi provinciali si vedono costretti a rinunciare alla vigilanza dei guardaparco e a donare personale altamente qualificato alle stazioni forestali. Da mesi hanno sospeso i pagamenti alle ditte private che hanno lavorato sul territorio, e hanno rinunciato ad investimenti di alta qualità nel recupero del territorio o del patrimonio strutturale e rinunciato alla formazione e a gran parte della promozione. Nel parco di Paneveggio-Pale di San Martino si è arrivati a limitare l’apertura dei centri visitatori e a chiedere al personale di riscaldare a legna per evitare il consumo di gasolio.
Il Servizio Foreste (gestito fino a ieri dall’assessore Mellarini, ma nessuno se n’era accorto, se non in occasione di feste popolari) anno dopo anno riduce il personale addetto alle migliorie boschive, ai lavori di piantumazione, di dirado dei novelleti, e alla manutenzione delle strade forestali, oggi praticamente tutte aperte al transito dei cacciatori. Si tratta di decine di posti di lavoro persi e di professionalità presenti nelle nostre periferie difficili da recuperare. L’intero Servizio Foreste sta perdendo la sua mission di “coltivatore del patrimonio” per ridursi a compiti di polizia ambientale. È in questa situazione che si inserisce la pesante politica interventista di sostegno economico della Provincia, e di tanti comuni, ad aree sciabili destinate alla marginalità.
Vietato dissentire
Gli imprenditori, albergatori e impiantisti, in larga parte hanno approfittato dell’assenza di lungimiranza politica, e sono sempre più aggressivi. Sono stati abituati a pretendere, più che a pensare di investire in nuove nicchie, in nuove offerte del turismo, in professionalità e fedeltà, del dipendente come dell’ospite. La crisi non permette loro i guadagni del recente passato. E allora, sull’esempio di Olivi negli anni 2005-2007, minacciano querele contro chiunque presenti dubbi o contrarietà: dalle Giudicarie, la presidente della Comunità di valle, alla valle di Fassa da parte della società SMA che pretende il collegamento con Carezza.
Trova sempre più conferma quanto dichiara Mauro Corona: “Hanno ucciso la montagna per gli schei, colpa degli stessi montanari che vogliono tutto e subito. Si potrebbe almeno provare a riscoprire la lentezza, unico strumento capace di battere il nichilismo in cerca di piacere immediato e forte”.
Risulta altrettanto significativa la recente denuncia dell’attore Andrea Castelli: in Trentino il localismo è elevato a sistema, non c’è confronto con il mondo della cultura, oggi, anche questa succube del potere degli albergatori. La cultura viene sempre più spesso confusa con l’offerta turistica.
Un territorio incapace di confrontarsi con la sua più autentica identità non può che cadere nella banalità del folklore. Quando si è capaci, come avviene sempre più spesso in Trentino, di offendere il paesaggio e una naturalità di valore internazionale, non è più possibile progettare un futuro di qualità. Specialmente quando il portafoglio dal quale si attinge a piene mani è pubblico e riesce ancora a coprire errori, ostinandosi a investire in un’economia sempre più fragile.
Chi ci guadagna?
Ma qualcuno deve pur guadagnarci da queste operazioni tanto eclatanti. Non certo gli albergatori, che a causa di queste scelte miopi stanno perdendo sempre più quote di mercato internazionale.
Certamente i politici territoriali, legati al clientelismo personale o di ristrette categorie. Certamente i costruttori di impianti di risalita, qualche centinaio di artigiani. Ma la bocca più vorace è quella dei cavatori, degli immobiliaristi, delle grandi aziende di movimento terra. Per mantenere impiegati i loro mezzi pesanti su quasi tutte le montagne devono pretendere nuove piste, nuovi impianti, imporre progetti pesanti su zone libere. Bisogna scavare, livellare, trasportare a valle terreni fertili per ricoprire anse e buche con materiali scadenti, recuperare gratuitamente tonnellate di grandi massi per farne scogliere, far salire e scendere i pesanti camion dalla cava fino a duemila metri. Avete mai fatto caso alla composizione dei consigli di amministrazione delle società sciistiche? Vi troverete, ovunque, la presenza di grandi proprietari di società di movimento terra.