LaVis: quello che il commissario non spiega
Un’assemblea a porte chiuse, fatta apposta per non spiegare. Quando invece sorgono, di continuo, nuovi interrogativi
All’ultima assemblea della cantina LaVis, si giungeva dopo un certo trambusto politico-mediatico: alcuni consiglieri provinciali del Pd (partito che di fatto si è assunto il meritorio ruolo di stimolo e controllore della Giunta Dellai, visto che l’opposizione di centro-destra latita, ma questo è un altro argomento che meriterà l’opportuna attenzione) avevano presentato un’articolata interrogazione sulla crisi della cantina, sull’incredibile gestione del commissario Marco Zanoni, sui (mancati) controlli operati dalla Provincia, statutariamente in capo al servizio Commercio e Cooperazione.
L’interrogazione, che veniva ripresa con risalto dalla stampa, suscitava l’immediata reazione imbufalita di Dellai, naturalmente non contro i dirigenti della cantina che hanno sperperato miliardi, non contro il commissario tutto intento a tener chiusi gli scheletri nell’armadio, non contro gli uffici provinciali dediti alla latitanza che neanche Provenzano, ma contro i consiglieri che avevano osato sollevare interrogativi: “Qui si gioca allo sfascio!” accusava l’iracondo presidente.
A questa assemblea quindi, in questo clima, con il problema di gestire da una parte i debiti dall’altra i proventi dell’ultima vendemmia, intendevamo assistere con interesse.
Ma abbiamo fatto i conti senza l’oste. Cioè senza il commissario. Il quale, sul limitare della sala affollata da un migliaio di contadini, ci faceva sbarrare l’accesso: “Niente stampa”. Ma come, è questa la trasparenza? Ma una cooperativa, non dovrebbe essere una casa di vetro? “È una decisione del commissario” ci rispondeva l’addetto, visibilmente imbarazzato.
Protestavamo ancora. Intorno erano tutti imbarazzati “E sarebbe questa, la cooperazione?” Il disagio era palpabile, gli occhi sfuggivano, si abbassavano. I disastri che stanno compiendo questi arroganti burocrati vanno anche oltre i pur tanti soldi che sperperano.
La platea ubriacata
L’assemblea iniziava pochi minuti dopo la nostra uscita. Secondo un cliché collaudatissimo. “Se vuoi sfuggire al giudizio di un’assemblea, ubriacala di dati” ci aveva a suo tempo detto un alto dirigente della cooperazione. E Zanoni seguiva alla lettera il consiglio. Due ore e mezza di relazione, duecento slide di un particolare azzurrino illeggibile (Zanoni è anche segretario alla Camera di Commercio, dove probabilmente hanno un apposito software per la comunicazione incomprensibile), ognuna zeppa di numeri e numerini, un’orgia di parole, cifre, inglesismi che avrebbe stremato una platea di universitari, figurarsi di contadini. Forse il commissario esagerava, alla fine i soci rumoreggiavano.
Dopo di lui prendeva la parola l’assessore Mellarini. Il quale, in uno slancio di demagogia, ricordava che “il padrone della cooperativa non è il commissario, siete voi”.
Quanto valessero quelle parole, anche gli ingenui lo capivano subito: l’assemblea si apriva agli interventi dei soci - i supposti “padroni” - che dovevano intervenire dalla platea, sotto il palco su cui erano assisi, in posizione anche visivamente dominante, il commissario e l’assessore. Quanto potessero contare questi interventi, di fronte a un’assemblea ormai devastata da tre ore di chiacchiere, lo lasciamo immaginare al lettore.
I controllori latitanti
Riprendiamo quindi qui noi gli interrogativi, vecchi e nuovi, che suscita la crisi della LaVis e la sua discutibile gestione commissariale.
Anzitutto quanto ci hanno finora rimesso i contadini conferitori. Che nel 2009 si sono visti trattenere circa 40 euro a quintale di uva (pagati 50, contro un valore medio di 90) nel 2010, 35 euro, quest’anno sono programmati ulteriori 30 euro e altre trattenute ci saranno nei prossimi due anni. Un salasso per i contadini, e nonostante ciò si è ancora in presenza di quasi 80 milioni di debiti (79,6 per la precisione).
Di fronte a questa situazione, rimane l’interrogativo finora senza risposta: perché i manager responsabili del dissesto finanziario non vengono chiamati a risponderne, con specifica azione di responsabilità prevista dal Codice Civile, secondo gli articoli 2392 e seguenti, e anzi, vengono confermati ai vertici della società? In particolare, inquietante è la permanenza ai massimi livelli come direttore commerciale dell’ex direttore Fausto Peratoner, principale autore del disastro. Di cosa si ha paura?
La persona di Peratoner è legata ad altri punti che a poco poco emergono e sono tutti da chiarire, a partire dalle controllate estere, fonte di perdite milionarie tuttora inspiegate. La Cantina, si è appreso ora, ha una partecipazione per circa 2,3 milioni di euro nella società Svizzera United Wineries International con sede trasferita da Friburgo a Ginevra e con amministratore Peratoner. Nella società americana Fine and Wine, controllata in larghissima maggioranza da LaVis attraverso Casa Girelli, dopo il disastroso bilancio 2008 con una perdita di 9 milioni di dollari, e dopo il continuo conferimento di vino, nonostante le costanti perdite, fino a giugno 2010, entra nel Cda nel marzo 2011 proprio Peratoner. Sembra un ingresso fortunato: secondo notizie che ci aspettiamo vengano quanto prima verificate, la Fine and Wine, nonostante le perdite milionarie, pare abbia riservato compensi altrettanto milionari ai propri amministratori, per la precisione 1.051.000 dollari.
Sui lati inspiegabili di questa avventura americana, così scopertamente demenziale, si è soffermata l’interrogazione del Pd (firmatari Sara Ferrari, Luca Zeni e Margherita Cogo) che ha chiesto delucidazioni al Commissario (figuriamoci) e alle strutture provinciali per l’evidente omissione di controllo. Ha risposto l’assessore competente (!?) Tiziano Mellarini: “Sulle faccende americane aspettiamo risposte dalla società”. Il che rende l’idea dello sfascio dei controlli, perlomeno in questa anomalissima vicenda: l’assessore, il massimo controllore, a un anno e mezzo dal commissariamento, cioè dall’emersione delle disinvolture nella gestione della Cantina, non ha ancora idea di cosa sia avvenuto, anzi, paziente, attende che la Cantina gli dia risposte. Ed è lo stesso assessore che, dal pulpito dell’assemblea dei soci, predica ai sottostanti contadini ricordando che “siete voi i padroni”; ma si guarda bene dal fornire loro, come da suo preciso compito, gli strumenti di conoscenza necessari.
Nel contempo gli sprechi passati continuano a ripercuotersi sul presente, anche oltre i debiti accumulati. Ad esempio la vicenda di Maso Franch, l’albergo\ristorante stellato voluto da Peratoner come vetrina internazionale della LaVis e rivelatosi, come da precise allarmate segnalazioni degli esperti, un pozzo di debiti senza fondo. Qui è intervenuta, generosa, la Pat (leggi Dellai) che, ovviamente con i nostri soldi ha comperato Maso Franch (l’albergo e 11 ettari di vigneti) per 8,97 milioni di euro, riaffittandolo poi alla LaVis per un canone annuo di 227.679 euro. Canone molto generoso anch’esso (solo il 2,5% del capitale) che però risulta ancora troppo elevato: la LaVis infatti procede al subaffitto per 50.000 euro annui per l’albergo e 7.000 euro a ettaro per il vigneto: un totale di 127.000 euro, 100.000 in meno di quanto dato alla Provincia. Della serie: un affare balordo non lo raddrizzi più.
Infine l’ultima perla di Zanoni: all’interrogazione del Pd risponde sul modello delle slide azzurrine, in un’intervista-chiacchiera senza dire niente. Una cosa però gli sfugge: l’esistenza, oltre a una vertenza con la Guardia di Finanza, anche di un intervento da parte dell’autorità giudiziaria. Della cosa si è ben guardato, tra una slide e l’altra, di parlare ai soci.
Per parte nostra confidiamo che la notizia sia fondata: sarebbe positivo se la magistratura indagasse su questa vicenda, che finora ha solo impoverito tante famiglie.