Puglia, la lezione incompresa
Il 30% dei voti, alleato al 6%, è stato sconfitto dal 2%. Anzi, sbaragliato. Insomma, 36 è più piccolo di 2. Questo ribaltamento è il risultato delle primarie nel centro-sinistra pugliese, dove la scialuppa di Vendola, sostenuto da forze politiche marginali, ha travolto la corazzata del PD alleata all’incrociatore dell’Udc. Naturalmente non è quella di Pitagora la scienza messa in discussione, bensì la politologia, la mentalità di cui sono intrisi i partiti, come pure i commentatori.
Una visione vecchia, quella del “nostro” elettore, sempre fedele, che voterà secondo le indicazioni del “suo” partito. Tutto questo non è più vero: l’elettore non vota secondo le indicazioni del partito, ma secondo scienza e coscienza, non potrà essere comandato ad avallare orientamenti e decisioni che non condivide. Non si vota più - se non in maniera residuale - per appartenenza, perché io e la mia famiglia siamo socialisti\comunisti\fascisti; ma in base ai risultati conseguiti dal governo, l’incisività dell’opposizione, gli interessi, le aspettative.
Certo, questa dinamica è inquinata dall’invadente presenza di Berlusconi: sia perché crea ancora appartenenze, sia perché condiziona la pubblica opinione attraverso il quasi-monopolio televisivo. Ma il fenomeno di fondo rimane.
Ne dovrebbe conseguire una nuova centralità dell’azione di governo e della proposta, rispetto al tradizionale gioco delle alleanze. Se io non ho “miei” elettori fedeli, e Casini neppure, poco conta che ci mettiamo insieme, quanto piuttosto che presentiamo un consuntivo decoroso della nostra azione di governo o di opposizione, e proposte convincenti.
Ma questa è una rivoluzione per apparati abituati a discutere solo di se stessi e di come conquistare e distribuire incarichi. E difatti per loro in Puglia il tema non era cosa avesse fatto Vendola da governatore, ma quanto fosse utile l’alleanza con Casini, e quanto contasse D’Alema. La risposta dei cittadini, affluiti in massa, è stata chiarissima: la politica per noi è saper governare, non tessere fragili alleanze tra presunti plenipotenziari.
La lezione è stata capita a livello nazionale? Non sembra. Anche perché ciò comporterebbe un radicale mutamento culturale in persone che hanno fatto decenni di carriera secondo un altro schema mentale, ormai consolidato. Unica speranza: i cittadini, che continuano ad accorrere alle primarie e a mandare input chiarissimi.
Di questa cultura d’apparato, nei giorni scorsi, abbiamo avuto in Trentino una bell’esempio. Parliamo della cosiddetta riforma Dalmaso sulla scuola. Sul merito siamo già intervenuti nel numero di dicembre (“Un solo ordine: tagliare! E taglieremo!”) di Mattia Maistri, che ora aggiorna la situazione a pag. 6. In breve: si elimina l’istruzione professionale, si sterilizza il primo biennio per renderlo nominalmente “unitario”, si riduce il totale delle ore di lezione, i laboratori, le materie più qualificanti; un insieme di provvedimenti che dequalifica la scuola pubblica a vantaggio da un lato del privato-sociale (la formazione professionale e la costellazione di associazioni cultural-formative), dall’altro del prolungamento degli anni di studio (in linea con l’andazzo dell’università, dove la laurea triennale è considerata un’appendice del liceo e la laurea vera viene rimandata alle specialistiche o ai dottorati, per giovani sulla soglia dei trent’anni). Tutto ciò in contrasto col mondo della scuola, mai consultato, anzi preso in giro attraverso una risibile pseudo-consultazione.
Primo ad essere investito dalla rabbia di studenti e insegnanti è stato il PD (“Ora non vi voto più” dicevano al presidente Kessler i docenti - una quarantina - che avevano assistito al dibattito in Consiglio). “Prima di prendere le decisioni promuoveremo il confronto con gli operatori, organizzeremo in gennaio una sorta di Stati generali della scuola” ci diceva in dicembre il segretario del PD Nicoletti. Gennaio è passato, anche la riforma è passata in Consiglio, gli “Stati generali” non si sono visti. “Li organizziamo per febbraio, quando ci sarà un quadro chiaro della riforma Gelmini - ci dice ora Nicoletti - E poi non è vero che le decisioni sono prese, abbiamo ancora spazi per migliorare”.
A noi sembra di vedere un vecchio film. Con Dellai non si può rompere; la nostra assessora (Dalmaso è del PD) non si può sconfessarla, anche se è succube del presidente, cui deve il posto; e allora la scuola si può metterla in un cantone. Tanto, la materia è complicata, la gente non capisce chi ha ragione, i professori sono impopolari, e loro, per chi volete che alla fine votino, per i razzisti alla Divina?
Appunto: quello che conta sono gli accordi con gli altri plenipotenziari. Cosa poi si fa al governo, è secondario.