Una riforma piccola piccola
Alla fine è andata come Dellai e Dalmaso volevano. La pseudoriforma della scuola fortemente voluta da governatore e assessore ha superato anche l’ostacolo del Consiglio Provinciale, respingendo le mozioni di sospensione proposte da Pdl e Lega, eccezion fatta per i dissidenti democratici (Ferrari e Dorigatti) che hanno preferito astenersi. Tutto a posto, quindi. Per niente. Anzitutto perché la maggioranza nel suo complesso ne esce piuttosto malconcia. A partire dall’UPT, che per bocca del capogruppo Lunelli aveva addirittura ipotizzato un rinvio della riforma, salvo poi rientrare zerbinamente nei ranghi dopo il cazziatone di Dellai che gli ha ricordato chi comanda nel partito. Per non parlare di un PD stanco e diviso, che ha difeso superficialmente quella che qualcuno non chiama neppure riforma, ma “naturale sviluppo della legge Salvaterra”. Tra i democratici il dibattito a volte ha rasentato il qualunquismo, con esternazioni populistiche di esponenti della maggioranza interna verso i cosiddetti privilegi dei docenti o contro una classe di precari che a detta di qualcuno può imputare solo a se stessa di essere in quella situazione. Peccato che questi maîtres à penser non entrino in una scuola da quando portavano i calzoni corti e che non si rendano conto che la riforma Dalmaso è incapace di chiarire quale formazione/educazione il governo provinciale intenda portare avanti. Se, infatti, da un lato proclama l’intenzione di attuare tutte le strategie per recuperare gli studenti in difficoltà, dall’altro taglia il monte ore complessivo delle lezioni. Se, inoltre, si riempie la bocca con la cosiddetta “autonomia” degli istituti, diminuisce tuttavia i margini di azione dei dirigenti, costretti ad obbedire supinamente ai voleri dei burocrati provinciali. Se, infine, si vanta di volere una scuola “pienamente europea”, appare piuttosto provincialotta nell’imporre lo studio del tedesco al biennio (escludendo francese e spagnolo), e dequalificante nel limitare drasticamente proprio le ore che più caratterizzano i corsi di studio, topografia per i geometri, economia per i ragionieri, chimica per i periti chimici, scienze per tutti, per non parlare della brutale riduzione dell’insegnamento nei laboratori.
Insomma, una riforma piccola piccola, priva di una prospettiva pedagogica chiara, vittima di un conflitto mai sanato tra i dirigenti provinciali e gli assessori (sia Salvaterra che Dalmaso) e sorda ai richiami del mondo della scuola. Che intanto prova a campare. Pure sulle spalle dei precari.