Acqua, cioè democrazia
Anche in Trentino i rischi della privatizzazione di un bene primario
Te lo dico io come va a finire. Così esordì un anziano abitante della Val di Ledro, durante un dibattito sull’acqua del gennaio scorso, a cui fui invitato. "Oggi c’è il mio amico Piero – proseguì l’uomo - che lavora all’acquedotto e abita a cinquanta metri da casa mia. Se c’è una perdita, io esco di casa e vado a chiamarlo e nel giro di un pomeriggio la perdita è sistemata. Domani, quando l’acquedotto sarà della Trentino Servizi, se ci sarà una perdita dovrò chiamare un numero verde di Rovereto, che mi rimanderà a un numero di Trento, che mi rimanderà a un numero di Brescia e poi di Milano. Alla fine, quelli di Milano chiameranno il mio amico Piero, che lavora all’acquedotto e abita a cinquanta metri da casa mia. E lui sistemerà la perdita, ma nel frattempo sarà passata una settimana".
Nelle parole di quest’anziano, oltre alla tradizionale saggezza del "venire al dunque", è contenuto il senso più profondo di quanto sta avvenendo, in Trentino ma non solo, in merito alla gestione dell’acqua e dei servizi idrici.
Non sarà certo un caso che, ormai da tre anni, il Paese sia attraversato da decine di vertenze territoriali e di mobilitazioni per l’acqua bene comune e contro la sua privatizzazione.
Al punto che nel marzo 2006 è nato il Forum italiano dei movimenti per l’acqua, una rete capillare di associazioni e comitati territoriali, che ha proposto una legge d’iniziativa popolare per la totale ripubblicizzazione dell’acqua, raccogliendo in calce alla stessa oltre 400.000 firme di cittadini. E che il 1° dicembre 2007 il Forum abbia organizzato la prima manifestazione nazionale per l’acqua, portando oltre 40.000 persone a Roma e ottenendo dal governo allora in carica l’approvazione di una moratoria di un anno su tutti i processi di privatizzazione in corso.
Non è certo un tema isolato o specifico quello dell’acqua: nel mondo più di 1,3 miliardi di persone ne sono prive e ben 2,5 miliardi non hanno accesso a servizi igienico-sanitari. Significa che, per una fetta enorme dell’attuale popolazione mondiale, non è garantito neppure il diritto alla sopravvivenza.
Non solo. In un contesto come quello del millennio appena iniziato, il prossimo esaurimento della materie prime fossili costringerà ad un radicale cambiamento dell’intera produzione mondiale, che dovrà basarsi su altre materie prime, fra le quali l’acqua sarà sicuramente quella essenziale. Al punto che già si dice che, se le guerre del ventesimo secolo erano fatte per il petrolio, le prossime saranno combattute per il possesso dell’acqua. Bisogna poi accennare al fatto che l’attuale tremenda crisi finanziaria globale, i cambiamenti climatici ormai in corso e la crisi alimentare planetaria faranno dell’acqua una risorsa talmente decisiva per la stessa sopravvivenza dell’umanità, da farne diventare la sua conservazione e la garanzia dell’accesso universale alla stessa il più importante obiettivo politico dei prossimi anni.
E invece, cosa accade? Accade che proprio la crisi del modello neoliberista abbia fatto diventare i beni comuni, e l’acqua in particolare, il nuovo business finanziario globale e locale. D’altronde, poiché l’acqua è necessaria alla vita, il possesso privatistico della stessa garantirebbe ai suoi detentori un mercato con profitti perennemente in ascesa e indipendenti anche dalla instabilità dei mercati finanziari.
E’ da questo contesto che nasce negli anni l’idea che l’acqua e il servizio idrico debbano essere considerati beni "a rilevanza economica" e gestiti attraverso società per azioni; ovvero enti, che anche quando sono a totale capitale pubblico, sono enti di diritto privato, il cui unico scopo è produrre dividendi per gli azionisti.
E’ lo stesso processo che è avvenuto in Trentino, attraverso diversi passaggi. Il primo dei quali ha visto la confluenza della SIT del Comune di Trento e dell’ASM del Comune di Rovereto, con la nascita nel 1998 della Holding Trentino Servizi SpA, che controllava il 75% del capitale sociale delle due aziende.
Nel 2001 entra nella compagine sociale anche ASM di Brescia, acquistando il 20% delle quote, mentre nel dicembre 2002 il processo di incorporazione e di fusione si completa con la costituzione di Trentino Servizi.
E’ invece molto più recente una nuova modifica societaria, attraverso la quale i consigli di amministrazione di Trentino Servizi SpA e di Dolomiti Energia SpA hanno approvato il progetto di fusione, verso la nuova società che prenderà il nome di Dolomiti Energia SpA.
Si tratta, come tengono a dire con fierezza i rispettivi rappresentanti, della creazione di una multiutility fra le prime dieci in Italia, con un fatturato di 700 milioni di euro.
Alla nuova società, il Comune di Trento parteciperà con il 21,8%, il Comune di Rovereto con il 20,3%, Tecnofin il 16,6% e altri Comuni con il 2,9%. Fra i soci privati, Ft Energia deterrà il 13% e A2A (nata dalla fusione di Aem Milano con Asm Brescia) il 7,9%, Fondazione Cariplo il 5,9%, ISA il 4,4%, più una serie di altri piccolissimi azionisti. Il Gruppo coprirà l’85% del mercato elettrico e oltre l’80% di quello del gas, mentre, per quanto riguarda l’acqua, gestirà l’acquedotto di 17 comuni, pari a 200.000 abitanti e 1216 km di rete idrica.
Le conseguenze
Che cosa non funziona di tutto questo processo di aggregazione?
Molte cose, la prima delle quali è la privatizzazione della risorsa acqua. So bene che nessun amministratore riconoscerà mai che di ciò si tratta e vorrà ribadire che la maggioranza societaria in mano agli enti locali garantirà il necessario controllo pubblico. Ma la realtà è ben diversa: l’apertura della gestione dell’acqua ai privati (uno dei quali è nientemeno che il colosso A2A, collocato in Borsa!) determinerà il fatto che a decidere le scelte saranno gli andamenti del titolo in Borsa o la necessità di produrre dividendi sempre più alti per mantenere la società competitiva sul mercato finanziario.
Questo comporterà quattro conseguenze che, in tutti gli altri processi già sperimentati, si sono puntualmente verificate: l’aumento delle tariffe, la riduzione e la precarizzazione del lavoro, la riduzione degli investimenti e delle manutenzioni (vedi l’amico Piero di cui sopra) e l’aumento dei consumi di acqua.
D’altronde perché il mercato dovrebbe puntare alla conservazione dell’acqua se è dal suo massimo consumo che ricava i propri profitti? E perché dovrebbe gestirla tenendo conto del primario uso umano e ambientale se è grazie al suo sfruttamento energetico che massimizza i dividendi?
Senza contare come i processi di aggregazione esproprino i cittadini di altre due caratteristiche fondamentali di un servizio pubblico locale : il controllo democratico e la territorialità.
Per quanto riguarda il primo, occorre aver presente che se un servizio è in mano ad una SpA, le decisioni vengono prese dal Consiglio di Amministrazione, non certo dai Consigli Comunali, con buona pace della democrazia rappresentativa e della funzione delle assemblee elettive.
D’altronde, come da dizionario, il contrario di "pubblico" è "segreto", dunque la riduzione del primo comporta automaticamente l’estensione del secondo.
E sparisce nel contempo la territorialità, come ben rilevava l’anziano della Val di Ledro: in un contesto che pensa di misurarsi sul mercato generale, qualcuno può immaginare quanto conterà l’irrisoria partecipazione al capitale sociale dei piccoli comuni e financo quella dei Comuni di Trento e Rovereto? Nulla, perché tutto verrà deciso in seno alle strategie elaborate tra Milano e Brescia, all’interno di A2A, che nel frattempo si espande anche a ovest, verso Monza e Varese.
L’unico modo per garantire accesso universale ed equo alla risorsa acqua, la sua difesa come bene pubblico e la sua conservazione per le generazioni future, è la sottrazione della stessa alle logiche di mercato, costruendo un’azienda speciale consortile che, in quanto ente di diritto pubblico, ha come obiettivo non il profitto ma la garanzia di un diritto per tutti e la cura del bene primario e che, in quanto consorzio, consente una gestione non frammentata e tuttavia ancorata al territorio di provenienza. Permettendo una partecipazione diretta dei cittadini alle scelte fondamentali, il mantenimento dentro le comunità dei saperi tradizionali e la possibilità di una gestione collettiva e socialmente orientata alla conservazione della risorsa. Perché si scrive acqua, ma si legge democrazia e possibilità di futuro, come ben sa l’anziano amico di Piero.