Una merce come un’altra?
A proposito della privatizzazione dell’acqua
La bolletta dell’acqua in Italia è aumentata del 61% nel giro di dieci anni, Economicamente parlando, è un’evoluzione notevole. Il nocciolo della questione, tuttavia, non riguarda una mera questione di spese: in fin dei conti, a Trento la bolletta dell’acqua costa attorno ai 100 euro annui. Salata ma non troppo. Il punto più significativo risiede nella tendenza a percepire l’acqua in modo diverso: come merce di valore economico anziché come bene pubblico. Alla pari del gas o del petrolio, per intenderci. L’innalzamento del livello d’inquinamento di fiumi, torrenti e falde acquifere, unitamente alle massicce campagne pubblicitarie in favore delle grandi compagnie di acque minerali, ha determinato negli ultimi cinque anni l’aumento del 57% del consumo di acqua in bottiglia. La rivista americana Fortune ha individuato proprio il settore dell’acqua come quello in assoluto potenzialmente più remunerativo e perciò consigliato per praticare investimenti.
Cominciò Prodi...
In tale contesto si collocano i vari tentativi bipartisan di privatizzare la gestione dell’acqua in Italia. Il primo passo significativo in questa direzione fu compiuto 13 anni fa da un governo di centro-sinistra, quando Prodi decise di privatizzare l’acquedotto pugliese per limitare lo spreco pubblico. Il tentativo fallisce nel momento in cui viene paventata la partecipazione, in caso di gara pubblica. delle Société des Eaux o della Belgique des Eaux: insomma, società non italiane. Levata di scudi generale e l’operazione va a monte. Due anni dopo ci riprova D’Alema, subentrato alla guida del governo. Altra levata di scudi, altro fallimento. Nel 2001 Berlusconi decide che entro sei mesi l’acquedotto venga privatizzato. Morale: dopo tanti tentativi, l’acquedotto pugliese è ancor oggi gestito dall’ente pubblico.
L’ampia maggioranza in parlamento del governo Berlusconi ha tuttavia reso possibile uno scenario diverso. Il decreto Ronchi stabilisce che la distribuzione dell’acqua, oggi in capo ai comuni, verrà assegnata tramite concessioni pluri-decennali a soggetti di natura privata, con una presenza massima dello Stato al 30% del capitale. Il decreto per ora non prevede altro: non istituisce un’authority di controllo, non stabilisce prezzi massimi da praticare ai cittadini, nemmeno un tasso minimo di efficienza da preservare. Gli economisti dicono che il decreto apre un capitolo ancora da scrivere: se arriveranno le suddette regole sarà una privatizzazione parziale, se non arriveranno sarà liberismo selvaggio.
L’acqua come le ferrovie
In ogni caso, le ragioni della privatizzazione sono sempre le stesse: aumentare l’efficienza, tagliare gli sprechi. Tanto per citarne alcuni: al momento un italiano su tre è costretto a pagare una bolletta irregolare in quanto versa contributi per depuratori che non esistono o non sono funzionanti. In alcuni casi, inoltre, l’acqua che arriva nelle case risulta inquinata da decine di sostanze altamente tossiche e nocive per la salute, così come accaduto a 450.000 cittadini abruzzesi che per oltre 20 anni hanno bevuto a loro insaputa acqua avvelenata dai residui tossici degli stabilimenti Montedison, o agli abitanti del Monferrato la cui acqua risulta contaminata dalla radioattività derivante dalle scorie nucleari depositate a Saluggia. Il tutto senza che gli organismi di controllo si siano mai sentiti in dovere d’informare la popolazione, così come disposto dalla legge.
Il punto è che la privatizzazione in sé, tuttavia, non comporta una soluzione automatica a tali problemi. Tutt’altro: basti pensare alle liberalizzazioni in Italia. Banche, telecomunicazioni, energia elettrica, gas, autostrade, ferrovie, aeroporti: anche un liberista incallito deve ammettere che le conseguenza, se non fantozziane come nel caso di Alitalia, non sono mai state particolarmente buone. Il caso dei treni è interessante e analogo a quello dell’acqua: Trenitalia è una società privatizzata ad uso comune e sociale. Si tratta di una situazione leggermente diversa rispetto alle banche o alle telecomunicazioni. Se una banca non ci piace possiamo semplicemente attraversare la strada ed entrare in un’altra banca. Se il filo di rame di Telecom Italia non ci piace possiamo scegliere la fibra ottica di Fastweb. Ma nel caso di aeroporti, autostrade e ferrovie, se non ci piace il servizio ce lo facciamo piacere lo stesso, perché non abbiamo alternative. Tuttavia, il “loro” obiettivo (quello di Trenitalia, di Alitalia, di Malpensa e delle future aziende incaricate di gestire l’acqua privata) non è quello di fornire un buon servizio, quanto piuttosto di curare il bilancio. Conseguenze? Tagli del personale, aumento dei prezzi e (a smentire il paradosso del precedente paragrafo, per cui privatizzazione=efficienza), in assenza di concorrenza, frequenti disastri: leggere alla voce “nevicate di dicembre 2009” e “viabilità italiana completamente paralizzata” solo per gli esempi più recenti nel caso delle liberalizzazioni di Trenitalia, Malpensa, ecc. Per l’acqua il discorso, così come è impostato ora, si annuncia in tutto simile. Non tutte le liberalizzazioni vengono con il buco: per ottenere dei reali benefici è necessario che non solo i servizi ma anche le infrastrutture d’appoggio siano perfettamente sostituibili e non costituiscano dei monopoli naturali.
Il panorama mondiale
Per comprendere le ragioni strategiche più profonde di questa vicenda, dobbiamo tenere presente lo scenario mondiale. È quello che è stato fatto ne “La rivoluzione dell’acqua”, serie di incontri tenutisi a Trento in dicembre (i partecipanti: Oscar Olivera, John Holloway, Raquel Gutierrez e Alex Zanotelli) sul caso emblematico di un Paese povero, la Bolivia, che nel 2000 soffrì una tremenda carestia dovuta alla privatizzazione e all’insostenibile aumento del prezzo dell’acqua che ne conseguì. Un punto importante, tuttavia, è che forse la privatizzazione dell’acqua rappresenta un limite etico, politico, morale, di fronte al quale la società civile non riesce a restare impassibile. Non è successo in Bolivia, dove la rivolta della popolazione portò alla ri-nazionalizzazione delle reti idriche, e forse non sta succedendo in Italia. Il decreto Ronchi, un decreto legge che apparentemente nulla aveva a che vedere con la privatizzazione dell’acqua, non è passato inosservato, anche se perfino Repubblica inizialmente se l’era bevuta: il 9 novembre scorso il vicedirettore Giannini titolava il suo editoriale: “La riforma dei servizi pubblici locali è l’unica cosa buona fatta dal Governo”.
Poi però nascevano movimenti di protesta, perfino a Trento, come è il caso dell’incontro con Olivera e Alex Zanotelli di cui sopra. E così, mentre Rumiz correggeva frettolosamente il tiro (“Con l’art. 15 siamo costretti a rinunciare ad un pezzo della nostra sovranità”), il governo si è trovato costretto a chiedere la fiducia. L’ha ottenuta, in parlamento. Ma la sensazione è che la privatizzazione dell’acqua ha potuto quello che nemmeno i provvedimenti contro gli immigrati o lo scudo fiscale avevano potuto: creare una spontanea e creativa indignazione. Non si tratterà, questo è certo, di una misura che affosserà il governo. Ma almeno la gente è tornata ad informarsi e a discutere: ancora una volta l’acqua divide gli uomini.
Oscar Olivera: “I diritti si prendono”
Nell’Italia del Decreto Ronchi appena approvato, Oscar Olivera, Raquel Gutierrez e John Holloway hanno fatto una vuelta per l’Italia, incontrando movimenti, istituzioni e gente comune. La serie di conferenze dal titolo “La Rivoluzione dell’Acqua”, era organizzata dall’associazione trentina Yaku, ed affrontava le tematiche legate alla gestione dei beni comuni, l’acqua in primis. A Trento, con la partecipazione di padre Alex Zanotelli e di Michele Nardelli del Forum per la Pace, l’incontro con la cittadinanza ha avuto luogo il 10 dicembre. Olivera, sindacalista boliviano protagonista della Guerra dell’Acqua di Cochabamba - conflitto del quale cadono ora i dieci anni - e attuale referente della Coordinadora en Defensa del Agua y la Vida (coordinamento in difesa dell’acqua e della vita), ha spiegato la posizione dei movimenti popolari e indigeni latinoamericani, che nell’ultimo decennio hanno lottato per elaborare proposte alternative per la gestione dei beni comuni.
La “rivoluzione di sinistra” che ha trionfato in America latina, portando al potere presidenti-simbolo come Chavez, Lula, Lugo, Correa ed Evo Morales in Bolivia, ha nella nazionalizzazione delle risorse uno dei suoi punti focali: “Quello che stiamo vedendo in Bolivia, e più in generale in America latina, è il prodotto della democrazia delegata: un caudillismo che ha però cooptato i movimenti sociali”.
La stagione delle rivolte dal basso in America latina voleva portare ad un cambiamento: “Né col privato né col pubblico, si diceva. La Guerra dell’Acqua ha portato ad una riappropriazione della municipalizzata locale, la Semapa di Cochabamba. E la questione della sua gestione, che il popolo voleva nelle sue mani, è un laboratorio ancora in evoluzione. In America latina viene attuata una feroce politica di sfruttamento delle risorse naturali sotto gli slogan della redistribuzione di reddito e della difesa della Pachamama. Ma in verità lo Stato ha mantenuto le stesse strutture ereditate dai privati. E la gente non ha ottenuto el cambio per cui ha lottato. Vuole ancora acqua, terra, lavoro, e non ha voce in capitolo. Il fallimento del vertice di Copenhagen dimostra che è bisogna smettere di delegare: bisogna responsabilizzarci”.
La stagione delle speranze “dal basso” comunque non si ferma e, secondo Oscar, rinasce sotto nuove vesti. Anche in Italia. Le discussioni attorno al disegno di legge 135 che privatizza i rubinetti nostrani, si fossilizzano proprio attorno alla dicotomia publico-privato. Ma i cittadini e anche gli enti locali si organizzano. A Trento il folto pubblico presente al teatro San Marco lo scorso 10 dicembre, alla fine si è autoconvocato: decine di cittadini si sono rincontrati il 22 dicembre al Centro Sociale Bruno con i rappresentanti delle associazioni Yaku e Ya Basta. Per iniziare un percorso d’informazione e riappropriazione del proprio esistente. Perché, come dice Olivera, “i diritti non si chiedono, si prendono”.
Francesca Caprini - www.yaku.eu
Acqua trentina: le buone pratiche locali
Per fortuna, dell’acqua si può parlare anche in positivo. Sempre nel 2009, la Pro Loco di Mezzocorona ha aderito all’iniziativa nazionale di Legambiente “Imbrocchiamola”. Partendo dal presupposto che l’Italia detiene l’infelice record di consumo d’acqua minerale, così contribuendo in maniera massiccia all’inquinamento atmosferico, la Pro Loco e il Comune di Mezzocorona hanno invitato a dare un contributo al benessere dell’ambiente bevendo “l’acqua del sindaco”, cioè l’acqua pubblica, che nelle nostre case arriva in tutta la sua limpidezza dal Brenta. E per sottolineare l’iniziativa sono state distribuite le brocche d’acqua, fatte arrivare anche in tutte le famiglie della borgata. Niente male per un paese, come Mezzocorona, che della coltura e cultura del vino, ha tratto fama e benessere.
Per tentare di parare, almeno a livello locale, gli effetti della normativa nazionale che spinge per la privatizzazione della gestione idrica, il Consiglio provinciale di Trento ha approvato una mozione con la quale, richiamandosi alla normativa europea, è stato dichiarato che l’acqua è un bene comune, un diritto umano universale non assoggettabile a meccanismi di mercato; la disponibilità e l’accesso individuale e collettivo all’acqua potabile sono garantiti in quanto diritti inalienabili e inviolabili e si estrinsecano nell’ impegno a garantire ai cittadini un minimo vitale giornaliero; la proprietà e la gestione del servizio idrico devono essere pubbliche e improntate a criteri di equità, solidarietà (anche in rapporto alle generazioni future) e rispetto degli equilibri ecologici; il consumo umano delle risorse idriche deve avere la priorità rispetto ad altri usi; il servizio idrico integrato è un servizio pubblico essenziale, di interesse generale, privo di rilevanza economica, e come tale non soggetto alla disciplina della concorrenza ma rientrante nella competenza esclusiva della Provincia. Con la stessa mozione il Consiglio ha impegnato la Giunta provinciale a prendere in considerazione, se necessario, la possibilità di impugnare dinanzi alla Corte Costituzionale l’art. 15 del Decreto legge 25 settembre 2009, n. 135 (quello sulla privatizzazione dell’acqua).
Sempre a livello locale, va segnalata anche l’iniziativa della SAT, che fra altri argomenti di carattere ambientale e naturalistico, ha curato un percorso didattico sull’acqua puntando in particolare sullo stato del fiume Sarca. Un percorso a ritroso, dalla foce falla sorgente trai i (residui) ghiacciai dell’Adamello. Infine va segnalata l’iniziativa di alcuni enti della Rotaliana, tra i quali la Fondazione Mach (Istituto Agrario di San Michele), il consorzio di bonifica, la centrale elettrica di Mezzocorona (gruppo Edison), la Provincia, ecc., che col supporto di fondi europei stanno studiando come rivitalizzare i fossi della nostra pianura allo scopo di favorire un uso più razionale dell’acqua con beneficio per l’agricoltura ma anche per la biodiversità (fauna e flora) che i fossi, opportunamente gestiti, possono mantenere.
Roberto Devigili