Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

Dopo il “Family day”

A Roma è nata una santa alleanza fra il centrodestra e il cattolicesimo italiano?

Come era ampiamente previsto e prevedibile, piazza San Giovanni in Laterano ha raccolto un’enorme folla per il "Family day". Sui giornali si sono sprecate le analisi per descrivere la gente che ha partecipato all’evento: molti hanno affermato pomposamente che in piazza si è ritrovato il popolo, la gente comune, i rappresentanti dell’Italia più vera e più profonda. Ovviamente politici e prelati, nei loro commenti successivi, hanno enfatizzato questa chiave di lettura con accenti entusiastici: per Paola Binetti "il milione di persone che sabato erano in piazza sono la rappresentanza di quel 75% di italiani che al referendum sulla fecondazione assistita si sono astenuti"; per monsignor Anfossi, presidente della commissione CEI sulla famiglia, "a Roma è confluito un popolo vero di cui a torto non si parla molto, un popolo che ha chiesto alle istituzioni di mettere al centro della loro attenzione la famiglia".

In realtà la stragrande maggioranza dei partecipanti erano fedeli dei vari movimenti ecclesiali (soprattutto Comunione e liberazione e i Neocatecumenali), abituati alle trasferte romane con bambini al seguito, ai pellegrinaggi dal Papa, ai raduni oceanici per qualche ricorrenza. Senza dubbio erano presenti anche parrocchie organizzate, o gruppi di famiglie scese in quel di Roma terrorizzate dalle future nozze per i gay. Un mondo variopinto che comunque rispecchia un determinato e ristretto ambito non solo della società italiana, ma anche dello stesso universo cattolico, diviso come non mai sulla manifestazione. Gente pronta a tutto per testimoniare i valori non negoziabili: pronta ad esaltarsi per l’apparizione sui maxischermi di Giuliano Ferrara, a commuoversi per un video inedito di Papa Wojtyla, a spellarsi le mani per l’arrivo nella piazza della famiglia di Berlusconi, Fini, Casini, tutti rigorosamente divorziati.

Tuttavia la prova di forza c’è stata e si può dire che il "Family day" sia l’ultimo atto del ventennio dominato dal cardinal Ruini. Appare l’immagine di una Chiesa italiana completamente rivolta verso la politica (le continue dichiarazioni di Benedetto XVI su una Chiesa che non fa politica denotano l’esistenza del problema) e chiaramente schierata con una parte. Quello che conta ora non è tanto bloccare il già moribondo disegno di legge sui Dico, non è tanto sollecitare il governo a stanziare risorse per la famiglia (da sempre in Italia ascoltiamo questo ritornello), quanto dimostrare che le istanze cattoliche sono maggioritarie e possono costringere il parlamento a varare o a cassare le leggi a seconda del beneplacito delle più alte gerarchie. Perché nella manifestazione di Roma proprio nulla era spontaneo, come si conviene a un incontro dal forte impatto mediatico e politico; in fondo nulla cambierà per la famiglia, mentre qualcosa cambierà nelle trame dei palazzi della politica, sempre più attigui ai palazzi vaticani e curiali.

Ma la piazza viveva al suo interno stridenti contraddizioni: mentre la folla era costituita da cattolici praticanti molto convinti che alternavano canti religiosi ad esaltazioni della famiglia cristiana, dal palco i messaggi erano diversi. Savino Pezzotta, soddisfatto come in uno sciopero generale, si rivolgeva direttamente al governo affinché ascolti la piazza, mentre l’altra portavoce, Eugenia Roccella (ex radicale, ora convertitasi alla "sana laicità"), poteva tranquillamente esaltare la legge sul divorzio e il matrimonio civile, intesi come baluardi contro la precarizzazione dei legami affettivi.

La contraddizione è insita nello stesso atteggiamento della Chiesa sull’argomento. Occorre notare che al "Family day", almeno nelle intenzioni ufficiali, non veniva additata come esempio un’idea di famiglia tipicamente cattolica, basata sull’indissolubilità dell’unione, bensì quella della Costituzione (famiglia come società naturale fondata sul matrimonio), il tutto per dimostrarsi "non confessionali". Sta qui il problema: sembra che la Chiesa concepisca la sua missione come quella di tutelare lo sviluppo armonioso della società, l’etica pubblica, i valori tradizionali, avocando a sé quasi un ruolo di supplenza nei confronti dello Stato. Allo stesso tempo tuttavia le gerarchie ecclesiastiche non possono essere criticate, perché svolgono un servizio morale e religioso: insomma la Chiesa ha sempre ragione in quanto opera solamente per il bene di tutti.

Tralasciamo il senso di ostilità che questa impostazione e questa esibizione di forza numerica provocano nei confronti della Chiesa cattolica, un disagio sempre più grave serpeggia anche tra i credenti, con imprevedibili effetti nel lungo periodo: ma questo non sembra importare ai vertici ecclesiastici ossessionati dalla presenza mediatica, dall’incidenza nella sfera politica, dalla frontale contrapposizione ad una cultura ritenuta preda del laicismo e del relativismo.

L’esito più nefasto del "Family day", come è stato notato da molti analisti, consiste appunto nella saldatura tra l’opposizione guidata da Berlusconi e il cattolicesimo italiano, almeno nella sua sfera istituzionale. Paradossalmente il paladino della famiglia non è solo il divorziato, ma addirittura il libertino Berlusconi, quello delle battute sulle donne, delle barzellette squallide, delle televisioni commerciali che propongono (sia chiaro, legittimamente) una visione affettiva alquanto consumistica e libertaria. Ma nell’allucinante situazione politico-religiosa italiana è possibile che sia proprio Berlusconi ad arrogarsi il diritto di dare la patente di buon cattolico e di difensore dei valori, mentre il vero attentatore della famiglia diventa Prodi. E’ tragico che, al di là di una ribadita e retorica equidistanza, nessun vescovo o sacerdote di peso abbia stigmatizzato davvero la sortita berlusconiana, giudicata nei migliore dei casi inappropriata per lo spirito della manifestazione, ma comunque legittima: la Chiesa italiana va invece chiaramente a destra.

Quale il ricasco politico di questa svolta? Anzitutto, guai seri aspettano il nascente Partito Democratico, vera bestia nera della visione del cardinal Ruini. Più volte avevamo espresso la convinzione che il PD non avrebbe mai visto la luce proprio per questa impostazione ecclesiastica: probabilmente c’eravamo sbagliati, ma le contrapposizioni DS-Margherita su questi temi peseranno enormemente non tanto ormai sull’effettiva costituzione del nuovo partito (tornare indietro sarebbe impossibile), quanto sulla credibilità dell’operazione e quindi sull’effettivo consenso elettorale. Prodi cerca di mostrarsi come pacificatore in un’Italia di nuovo divisa tra guelfi e ghibellini, come il cattolico capace di fare sintesi anche con il mondo laico: un atteggiamento nobile e costruttivo che tuttavia, alla prova dei fatti concreti, sembra privo della forza necessaria per imporsi. Di converso, la perenne litigiosità dell’Unione spinge la sinistra che non si riconosce nel PD ad attaccare gli alleati proprio sul tema della laicità, mentre i settori più clericali lavorano in direzione opposta: esito probabile diventa così l’immobilismo.

A destra invece si fa strada l’idea di un partito cattolico-nazionale, schierato apertamente con la Chiesa, capace di raccogliere un ampio consenso nella fetta più tradizionalista e intimorita del paese: una fetta di popolazione consistente che cementerebbe l’elettorato di centro-destra. Potrebbe essere ancora Berlusconi a guidare questa fase? Ora è impossibile dirlo, ma il Cavaliere, anche grazie ad operazioni finanziarie delle sue aziende, sembra ancora molto potente.