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Un Gay Pride arrabbiato

Il fragile governo Prodi ha deluso il movimento omosessuale. D’altronde quale altro possibile governo potrebbe concedergli di più?

Dopo il Family day, il Gay Pride. Poco più di un mese dopo il grande raduno delle famiglie in piazza San Giovanni, Roma è stata riempita dalla colorata e appariscente manifestazione del movimento omosessuale.

La battaglia dei numeri di partecipanti tra i due eventi, che alcuni davano vinta in partenza dal Family day, ha invece visto una tenuta insperata del Gay Pride che, con circa trecentomila presenze, ha tenuto testa al più di mezzo milione di persone (stima questura) del 12 maggio. Un successo dunque, tuttavia oscurato e ben presto dimenticato da giornali e televisioni, che al di là di brevi servizi nella giornata della manifestazione (quando la visita del presidente Bush è stata seguita con non-stop di ore e ore) i giorni successivi non sono ritornati per nulla sulla notizia.

Detto questo, il Gay Pride, a livello politico, rischia di avere effetti contrari alle intenzioni degli organizzatori, aumentando la contrapposizione e soprattutto allontanando drasticamente l’obiettivo del raggiungimento di alcuni diritti.

Uno degli elementi più significativi e politicamente rilevanti dell’evento è stata la rottura con il governo Prodi o almeno con l’ala "riformista" della coalizione. Il presidente del Consiglio non era più visto come un interlocutore, ma come l’avversario se non il traditore che ha rubato i voti e le aspettative degli omosessuali per poi cedere alle pressioni del mondo cattolico. Di qui il prevalere di un certo massimalismo evidenziato dallo slogan "Non ci bastano i Dico, vogliamo il matrimonio", con il rischio realissimo di non ottenere proprio nulla. Addirittura la parte più oltranzista del movimento ha rispolverato la minaccia di stampo leghista-berlusconiano di sciopero fiscale e di plateale restituzione delle tessere elettorali (iniziativa riproposta alcuni giorni dopo da un articolo del Manifesto, rubricato con un significativo "il Vaticano brucerem").

Questa ostilità antigovernativa, per certi versi comprensibile, risulta però sterile sul piano della sostanza, poiché, come si usa dire nello strano gergo della sinistra, il governo Prodi è la soluzione più avanzata possibile. Tradotto: qualsiasi altro governo non concederà sicuramente più diritti ai gay. Prodi in realtà ha cercato a tutti i costi di trovare una possibile mediazione, subendo violente critiche dal mondo cattolico e persino ufficialmente dal Vaticano (vedi gli articoli dell’Osservatore Romano), mostrando un’encomiabile capacità di resistenza.

D’altro canto, anche su questi temi, il fragilissimo governo ha deluso, ma forse (nei nostri articoli l’abbiamo sempre sostenuto) tutto ciò era inevitabile: gli interessi contrapposti dei partiti della coalizione, le loro differenze ideali se non ideologiche, bassi calcoli elettorali e soprattutto l’esiguità dei numeri al Senato, hanno reso in partenza impossibile qualsiasi iniziativa su argomenti che, almeno in Italia, dividono ferocemente le coscienze. Ma il governo ha deluso, di qui la rabbia palpabile del Gay Pride.

Mai come quest’anno, il corteo è stato partecipato, anche da cittadini eterosessuali desiderosi di manifestare in favore dei diritti di gay e lesbiche: nello stesso tempo tuttavia la manifestazione ha assunto i caratteri di un atto liberatorio, un’esplosione di eccessi gettati in faccia ad una società e ad una politica giudicate ostili. Molti hanno gridato allo scandalo per le consuete esibizioni omosessuali, Pezzotta ha parlato incredibilmente di "profanazione della piazza" (dimenticando che quello era il luogo preferito da Togliatti) e anche sui giornali locali Ferdinando Camon ha bollato tutta la manifestazione come "oscena". Non parliamo poi di Avvenire, che ha accusato i mezzi di comunicazione di aver nascosto ad arte gli slogan più offensivi e raccapriccianti contro le gerarchie cattoliche pur di esaltare il gioioso e sereno evento.

Al di là di queste analisi, invero molto scontate e abituali dopo qualsiasi raduno omosessuale, esiste comunque il problema della trasgressione, dell’eccesso che sconfina nella volgarità, dell’ostentazione a tutti i costi della propria diversità che contraddistingue fin dalla sua origine ogni Gay Pride.

Il "carnevale" omosessuale nasce dalla reazione alla discriminazione, dall’irresistibile desiderio di uscire dalle catacombe e di mostrare nel modo più ostentato possibile la propria esistenza e la propria sensibilità "altra". Certamente chi osteggia la legislazione pro gay ha gioco facile nell’evidenziare la contraddizione di quanti vogliono i diritti delle persone "normali" (financo l’adozione dei bambini) comportandosi in una maniera così stravagante. Vladimir Luxuria, comprendendo il pericolo, aveva invitato preventivamente a moderare i toni: l’appello non è stato accolto. Il fatto è che probabilmente la stragrande maggioranza degli omosessuali non sale sui carri allegorici o si denuda in piazza (invero nella manifestazione solo gruppi minoritari hanno dato spettacolo) e quindi rischia di non essere rappresentata al Gay Pride e di rimanere schiacciata tra il silenzio e i toni eccessivi.

Un discorso simile va fatto per le polemiche contro la Chiesa cattolica. Molti si sono indignati per espressioni e slogan sul Papa o sul Vaticano giudicati di cattivo gusto e offensivi. Il clima certamente si è incattivito anche a causa di un concetto ambiguo utilizzato da alcuni ecclesiastici secondo cui gli omosessuali sarebbero "contro natura". Una terminologia che rischia di confinare persone in carne ed ossa in una sfera non ben identificata, al limite dell’umanità, comunque da evitare e temere per i "normali".

Si dirà che la Chiesa distingue sempre la persona dall’atto, il peccato dal peccatore, e questo formalmente è vero, ma se alti prelati confondono l’omosessualità con la pedofilia o se un uomo ascoltato come Giulio Andreotti afferma di capire solo ora perché da bambino la mamma lo ammoniva a stare lontano dalla depravazione, non bisogna stupirsi se poi sui muri di Roma appaiano scritte omofobiche di stampo fascista. E se al Gay Pride ci sono eccessi contro la Chiesa.

La reciproca e crescente contrapposizione laici-cattolici, gay-Chiesa è solo uno dei sintomi dell’affannosa situazione politica e sociale italiana. Si affacciano problemi concreti e costantemente veti incrociati, azioni lobbistiche, manovre propagandistiche, scadenze elettorali non permettono una soluzione chiara e condivisa. Mediare, mediare, mediare e poi ottenere poco o nulla sembra una fatica di Sisifo che Prodi è costretto a compiere ogni giorno.

Stare sempre a metà del guado per non scontentare nessuno, ma in fondo finendo per annacquare qualsiasi precisa identità e quindi precise scelte concrete, è il pericolo più grande per il nascente partito democratico. La futura segreteria di Walter Veltroni potrebbe conferire al partito almeno una fisionomia virtuale secondo la nota abilità del sindaco di Roma di creare dal nulla emozioni, suggestioni, aperture al nuovo, grandi slanci ideali.

Una cosa diversa sarà risolvere i problemi veri.