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Storie di fango

L’Uruguay povero, che vive fra penuria d’acqua e inondazioni.

Antonio Graziano
Alluvione a Durazno.

Marujo cammina correndo. Galoppa, ride e beve mate da mattina a sera. Ha occhi di agnello e muscoli di toro. In 66 anni non è mai uscito dall’umida prateria del Rio de la Plata. È nato e cresciuto nell’Uruguay profondo, l’Uruguay dei tierratenientes. Ha costruito da solo la propria casa. Fango mescolato allo sterco, calpestato dai cavalli e cotto nei forni costruiti nella prateria. Mattoni appoggiati uno per uno fino a costruirsi una modesta abitazione, ma accogliente anche per i maldestri viaggiatori della città che arrivano nella comunità di Los Furtados, fondata da alcune famiglie brasiliane nel secolo scorso, o forse ancora prima.

La comunità conta 90 abitanti. È gente di acqua e di terra che non possiede né acqua né terra. È gente di fango. Vivono in un Uruguay che pochi conoscono, dove non arriva la rete elettrica, né la rete idrica. Pochi fortunati hanno un pozzo. Gli altri raccolgono acqua piovana. E i pochi pozzi si stanno seccando. Il mutamento climatico c’entra solo in parte. La comunità è circondata da monocolture forestali, soprattutto eucalipti, usati per l´industria della carta, che succhiano acqua con le radici, acqua che se ne va. Vite in carne ed ossa che restano a secco, senza più acqua per l’igiene, per cucinare, per coltivare.

Lo scorso aprile la comunità ha avuto degli ospiti venuti dall’altra sponda dell’Atlantico. Raffaella e Tiziano, dell’associazione Filo Rosso di Lavis. Filo Rosso, trentina di nascita e latinoamericana di adozione, sta concludendo un progetto con l´associazione Bertold Brecht di Montevideo e con l’appoggio della Provincia di Trento. Un progetto sui generis, dove una volta tanto cultura fa rima con sviluppo. Un progetto di comunicazione partecipativa per il diritto all’acqua, dove i beneficiari sono attori ed ideatori di una storia in 35 mm. Un progetto in cui girare un documentario è una scusa per avviare una riflessione sulla gestione delle risorse idriche. In questo modo quattro comunità del paese hanno potuto scoprire i problemi legati alla gestione dell’acqua e riflettere su possibili soluzioni. Al progetto ha partecipato anche la Commissione Nazionale per la Difesa dell’Acqua e la Vita, una rete di organizzazioni che nel 2005 promosse uno storico plebiscito che introdusse nella costituzione il principio della gestione pubblica e partecipativa delle risorse idriche.

Oltre a Los Furtados, le altre comunità protagoniste del progetto si ritrovano in diversi punti del Paese. Nel profondo nord si trova Bella Unión, storica terra della lotta dei cañeros, coltivatori di canna da zucchero. Oggi i cañeros reclamano la possibilità di diversificare la produzione, perché il raccolto della canna è un lavoro stagionale, e poi non si vive di solo zucchero! A questo si aggiungono le enormi quantità d’acqua per l´irrigazione ed i prezzi elevati che pesano sulle spalle dei cañeros. Durante il raccolto sono immersi nel fango fino alle caviglie. Vivono nel fango e del fango.

Un poco più a sud, si trova la città di Durazno, la più colpita dall’inondazione nel maggio 2007. Quell’anno, un paese che non conosceva disastri climatici si ritrovò sott’acqua in poche ore. Oltre la metà degli abitanti, circa 12.000, vide la propria casa riempirsi di acqua e fango. Molti sono tornati a casa, altri l’hanno persa per sempre. Alcune famiglie, a due anni dall’accaduto, sono ancora in alloggi di emergenza.

Ma le inondazioni non sono una novità: “Nel 1959 mio padre passò la notte davanti all’uscio di casa con una bottiglia di vino: controllava il fiume che si avvicinava. Quando vide che il pericolo era passato se ne andò a letto” - racconta il signor Ramirez, che ha vissuto due grandi inondazioni. L’ultima volta, nel 2007, l’acqua gli arrivò all’altezza della finestra. In realtà a Durazno ogni anno qualche baracca finisce sott’acqua. Ma un paio di famiglie povere che perdono tutto non fanno notizia. Stavolta, però, è stato impossibile tacere l’impatto del fiume in piena. Un mostro di fango in movimento.

Ultima tappa del progetto è Casabò, quartiere periferico di Montevideo. Al suo interno, si trova una baraccopoli di 700 famiglie, una delle tante della capitale. Baracche costruite ai margini di un ruscello, che negli ultimi anni si è trasformato in fogna e discarica. La rete fognaria è inesistente. La rete idrica, abusiva come in ogni baraccopoli, viene facilmente contaminata dai residui fecali. Oltre metà della popolazione infantile ha parassiti intestinali. I bambini vomitano vermi. Hanno stomaci di fango. Sono bambini di fango.

L’acqua, insieme alla terra e al fango, è il filo conduttore di queste storie, che grazie a un nastro registrato arriveranno fino in Trentino. E non sarà fiction. Sono storie vere, storie di fango.