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Torniamo alla legalità

Da Ricucci a Wanna Marchi, da Moggi a Berlusconi.

Quando ci sono le regole e le regole vengono rispettate, anche le situazioni più critiche sono portate a funzionare. Su 40 milioni di voti 25.000 sono un’inezia. Eppure, grazie all’osservanza delle regole vigenti, sono bastati a trasformare un equilibrio statico in una struttura dinamica. La regola del premio di maggioranza alla Camera, il voto dei residenti all’estero ed i senatori a vita, anche questi rispondenti a precise regole, hanno consentito di eleggere i presidenti delle Camere ed il presidente della Repubblica. Cioè di rendere funzionanti gli organi costituzionali che, nel breve giro di quarantott’ore, hanno consentito di formare il governo. E ciò nonostante l’eccezionale ingorgo istituzionale determinatosi per la coincidenza della doppia scadenza, della legislatura e del settennato del capo dello Stato. Insomma, abbiamo sperimentato un caso limite di efficienza operativa dei più alti livelli del potere nonostante un risultato elettorale che di per sé sarebbe stato paralizzante, altrimenti rimediabile solo con una grande coalizione che costituisce la negazione della dialettica democratica e lo sviamento delle scelte degli elettori.

Ciò è stato possibile, lo ribadisco, perché esistevano regole precise che sono state puntualmente rispettate. Tutto questo non basta, conta anche la politica. Ma il principio di legalità è la base irrinunciabile, senza la quale nessuna politica è possibile. Né è possibile alcuna convivenza civile.

Purtroppo bisogna riconoscere che in Italia è invece diffusa e quasi dominante una esiziale cultura della illegalità. Il panorama che osserviamo è impressionante, a tutti i livelli. La politica, l’economia, la cosiddetta società civile, ci offrono una quantità di casi in cui la legge viene violata od elusa, tanto da alimentare un vero e proprio costume dilagante.

Luciano Moggi

E’ ancora vivo il ricordo di Tangentopoli. Tutti i partiti, chi più chi meno, seguivano senza ritegno la prassi delle tangenti e del finanziamento illecito, realizzando una zona torbida di commistione di interessi pubblici e privati che aveva anche inceppato il corretto funzionamento del mercato. Le clamorose vicende di Cirio, Parmalat e dei bond argentini ci hanno mostrato uno spaccato di realtà in cui banche, grandi dirigenti di imprese prestigiose ed una folla di piccoli risparmiatori ingolositi da illusorie aspettative, in un intreccio di calcoli meramente speculativi, hanno portato al collasso aziende di insigne tradizione. Poi sono venuti i "furbetti del quartierino", i Ricucci, i Consorte, i Fiorani, gli avventurosi protagonisti di scalate promosse ed assecondate addirittura dal governatore della Banca d’Italia, che hanno interpretato una losca commedia degli inganni nell’accidentato scenario dei giochi di borsa. Oggi siamo sconvolti dalle rivelazioni che hanno investito il mondo del calcio, lo sport che infiamma la passione di milioni di italiani ma che movimenta anche miliardi di euro, ed è risultato controllato da conventicole di personaggi volgari e disonesti.

In questo quadro di illegalità generalizzato, svelato da una magistratura ancora indipendente, ma coperto da una stampa anche troppo tollerante, le spudorate bravate di Vanna Marchi hanno almeno il pregio della sfrontatezza, e l’attenuante della incommensurabile stupidità delle sue vittime.

Ma l’apice di questo talento nazionale della illegalità è rappresentato da quanto abbiamo visto nei cinque anni testé trascorsi di governo della destra. Infatti, mentre di norma l’illegalità consiste nel violare la legge vigente, il cav. Berlusconi ha inventato un meccanismo che rende non necessaria la violazione della legge, semplicemente facendo approvare leggi addomesticate, cioèpro domo sua, che rendono lecito ciò che prima non lo era. Se una legge vieta il falso in bilancio, basta sostituirla con un’altra che lo autorizza. Semplice no!

Se alla microcriminalità, tanto vituperata, ed alla criminalità organizzata, nostro antico disdoro nazionale, aggiungiamo la criminalità dei colletti bianchi, il conto è chiuso.

Torniamo allo Statuto, si era detto un tempo. Torniamo alla legalità è l’esortazione di oggi.