Trento-Rovereto, finalmente estinta la politica del campanile?
Dalle rivalità e rivendicazioni contrapposte al "siamo una sola realtà urbana". L'evoluzione dei rapporti tra le due città: irreversibile?
Sotto i Murazzi iniziava l’abominevole Terronia, per una mia parente, trentina doc; e al suo interno, subito, un’enclave particolarmente aborrita "quei de Roveredo, che i è pezo dei teroni". D’altro canto un mio amico roveretano mi raccontava della parallela cultura di sua nonna: che quando Trento fu allagata nel ’66, crudamente commentò "I ha magnà? Che i beva".
Era radicata insomma l’ostilità tra le due città, che veniva da ruoli, storie, culture diverse, anche profondamente, pur a soli 20 chilometri di distanza. Nessuna meraviglia quindi, se in tale contesto i rispettivi amministratori si facessero la guerra per contendersi iniziative e funzioni. E tra di essi quelli di più basso profilo si prodigassero con impegno in questo conflitto campanilistico, per ottenerne una qualche personale visibilità.
Gli ultimi alfieri di tali battaglie furono il sindaco roveretano Renzo Michelini da una parte, e dall’altra il trentino Ferdinando Guarino, vicesindaco di Goio con delega al campanilismo.
Poi la storia girò. Al posto delle mezze calzette ai vertici delle amministrazioni arrivarono personaggi di spessore, Lorenzo Dellai e Bruno Ballardini. Che iniziarono a ragionare in termini di comune realtà metropolitana, di comunità di fondovalle che doveva unire, non dispedere, le forze e le possibilità. A 20 chilometri di distanza, due realtà che insieme non fanno 150.000 abitanti, non possono oggi permettersi di perdersi in ripicche.
Non furono solo parole. Su due cose in particolare si arrivò a unire le risorse per fare qualcosa di significativo: il Mart – che unisce i patrimoni di arte moderna delle due città – e Trentino Servizi, fusione delle due municipalizzate Sit e Asm.
Quando fu inaugurato il Mart, il sottoscritto fu così interpellato da un inviato, mi sembra, del Corriere della Sera, estasiato dalla realizzazione:
"Lei è di Trento?"
"Sì"
"Ma scusate: come avete fatto a farvi scippare una realizzazione del genere?"
"Non ci hanno scippato niente; questo è il nostro museo – risposi con orgoglio – A 20 chilometri, ragioniamo come se fossimo una città sola."
In parallelo è andato avanti il decentramento dell’Università, con l’istituzione a Rovereto della Facoltà di Scienze Cognitive. Un decentramento di un ateneo, sostanzialmente piccolo come quello di Trento, di per sé non avrebbe molto senso. Concentrare le intelligenze, permettere che si incontrino facendo solo pochi passi a piedi, è la soluzione più adatta per creare una comunità del sapere.
L’Università a Rovereto è quindi stata una decisione tutta politica: i roveretani spingevano con grande forza, il potere politico non era indifferente, l’Università si è adeguata. Poi ci si è accorti che la soluzione è tutt’altro che peregrina: un centro universitario all’interno di una comunità che lo vuole fortemente, che ha fatto ponti d’oro, che allo sviluppo culturale deve i fasti di un passato anche recente (con l’elenco infinito di nomi, Tartarotti, Rosmini, Zandonai, Halbherr, Depero, Libera, Baldessari ecc) e sulla cultura ha impostato anche l’immediato futuro… in questa situazione i fatidici 20 chilometri da Trento sono proprio poca cosa.
In questo processo, di riacquisizione di identità e ruolo di Rovereto, con una scommessa su cultura e istruzione (oltre che sull’industria, ma è un altro discorso) il capoluogo non ha messo i bastoni tra le ruote. Il che è positivo.
Però è anche vero che, dopo la coppia di sindaci Dellai-Ballardini, che ha dato il via al disegno strategico, l’attuale accoppiata Pacher-Maffei sembra aver avuto meno forza propulsiva. Maffei è quello che è, quando varca la linea dei Murazzi perde ogni sicurezza, nelle stanze trentine del potere e della cultura si sente spaesato, al contrario del predecessore Ballardini. E dall’altra parte Pacher per Trento non ha sviluppato una politica di alleanze; o meglio, ha pensato che dovesse continuare a farla Dellai. Di qui l’attuale situazione: sono stati portati a compimento i progetti avviati; non si è messo in cantiere niente di nuovo.
Il fatto è che contemporaneamente a Trento è maturata una nuova consapevolezza. Da una parte l’handicap, in tanti settori, delle dimensioni attuali per essere pienamente competitivi; dall’altra l’impossibilità, per i limiti fisici della città, di ulteriori significative espansioni. I blocchi del traffico per inquinamento dell’aria sono un primo, vistoso, campanello d’allarme.
Di qui le due nuove parole d’ordine: allearsi e decentrare. Impensabili fino a pochi anni fa: ghettizzata nel limbo del turismo dei gemellaggi la prima; decisamente aborrita la seconda.
"Probabilmente saranno i temi forti della prossima legislatura – ci dice Michelangelo Marchesi di Trento Democratica, l’aggregazione che sostiene Pacher – Dovremo dare più spazio alle politiche di sistema: con il rapporto innanzitutto con Rovereto, ma anche con gli altri Comuni trentini. E’ una strada obbligata: sia per evitare la congestione di Trento; sia per mettere in campo iniziative che abbiano dimensioni adeguate."
Analogo discorso dal centro-destra: "C’è tutta una serie di prospettive su cui Trento e Rovereto devono andare avanti assieme – sostiene Ettore Zampiccoli, coordinatore di Forza Italia – Sviluppo, servizi, università, decentramento amministrativo. L’obiettivo è la città lineare, con collegamenti rapidi per ferrovia."
La politica del campanile sembra proprio sepolta dalla forza delle cose.
A dire il vero le demenziali convulsioni della partitocrazia roveretana potrebbero portare ad una candidatura nel centro-sinistra (e quindi a una probabile elezione) di un personaggio come l’ex-sindaco Renzo Michelini, che sul campanilismo a suo tempo ha cercato di campare. Ma probabilmente neanche l’elezione di un trombone invertirebbe i processi in corso: più semplicemente, non gli darebbe sbocchi adeguati.