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Iran: conservatori al contrattacco

La deludente prova del governo del moderato Khatami e una competizione elettorale falsata. Da L’altrapagina, mensile di Città di Castello.

Siavush Randjbar-Daemi

Le recenti elezioni parlamentari iraniane del mese scorso hanno dato uno scossone forse definitivo al processo riformatore iniziato dal presidente Khatami. Stanchi di anni di opposizione forzata e costretti a esercitare il loro predominio politico quasi esclusivamente da posizioni non democratiche, i conservatori ostili alla lunga e sinora infruttuosa stagione di riforme iniziate nel 1997 con la prima elezione di Khatami hanno effettuato quello che potrebbe esser definito un vero e proprio colpo di Stato: facendo leva sulla loro maggioranza presso il Consiglio dei Guardiani, un potente organismo non eletto che ha il potere di porre il veto su qualsiasi legge proposta dal Parlamento e sulle candidature alle elezioni presidenziali e parlamentari, i conservatori sono riusciti a squalificare numerosi alti esponenti dei movimenti dei partiti riformisti, spesso con accuse false e ingiustificabili, quali la mancata osservazione "delle regole fondamentali dell’Islam", sebbene si tratti di persone con anni di esperienza parlamentare e quindi con un passato di fedeltà al regime islamico.

Tra gli esclusi dal voto figuravano, quasi per dare l’esempio, il fratello del presidente nonché vicepresidente del Parlamento stesso e segretario dei più grande e diffuso partito riformista, il Fronte di Partecipazione dell’Iran Islamico (Ipf), insieme a un ottantina di altri deputati dell’Ipf. A nulla è valso il prolungato quanto inefficace sit-in presso la sede dei Parlamento e il boicottaggio delle elezioni stesse.

Quest’ultima decisione è stata seguita pure da numerosi altri esponenti riformisti, anche da quelli che non erano stati bocciati dal Consiglio dei Guardiani. Così la rappresentanza riformista alle elezioni è stata davvero ridotta all’osso. La strategia del Consiglio dei Guardiani è stata inoltre quella di concentrare un numero maggiore di candidati riformisti in aree remote e rurali, per lasciare il grosso delle città a quasi esclusivo appannaggio dei candidati conservatori. Così, per i 290 seggi in palio, dalla lista iniziale di circa 8.000 candidati si è passati ad una finale di meno di 3.000. La reazione di Khatami e del presidente del Parlamento uscente, Mehdi Karroubi (un moderato di centro vicino a Khatami), è stata flebile e condotta senza la convinzione di poter rovesciare la decisione del Consiglio dei Guardiani.

Accogliendo l’invito degli esponenti riformisti, la stragrande maggioranza della popolazione ha boicottato sia la breve campagna elettorale, sia il voto stesso. Nonostante una martellante campagna dei conservatori, l’affluenza alle urne si è attestata intorno al 45%, il valore di gran lunga più basso dai tempi della cacciata dello Shah nel 1979 e di almeno 30 punti percentuali inferiore alle precendenti elezioni, che avevano sancito il trionfo dei riformisti vicini a Khatami.

Ancora minore è stata la partecipazione a Teheran (25%) e nelle altre grandi città, dove la proliferazione di mezzi di informazione alternativi a quelli ufficiali (Internet) ha posto un freno alle assillanti pressioni del conservatori. La partecipazione giovanile è stata largamente influenzata da fattori extra-politici, come la temuta estromissione dagli studi universitari in mancanza del bollino elettorale. Molti studenti si sono quindi recati alla urne, anche se poi hanno annullato la scheda.

La combinazione tra bassa affluenza e mancanza effettiva di opposizione ha assegnato una consistente maggioranza del parlamento ai conservatori. Anche tra questi ultimi, sebbene siano tutti ostili in maniera ideologica a Khatami e ai riformisti vicini a lui, ci sono delle differenziazioni: alcuni, di orientamento pragmatico, tendono al centro, mentre altri si rifanno ad un Islam più puritano e vicino ai crismi dell’ayatollah Khomeini. In ambedue i casi, l’appartenenza alla corrente avversa a Khatami e ai riformisti garantisce loro una maggiore visibilità sugli organi di stampa e soprattutto la possibilità di proporre leggi senza la previsione di una loro bocciatura da parte del Consiglio dei Guardiani.

Indipendentemente dal colore politico, vi sono sostanziali e tassative riforme che devono essere prese in considerazione dal prossimo parlamento, come la progressiva privatizzazione delle partecipazioni statali nell’economia, che attualmente producono in netta perdita a causa del clientelismo rampante, della inefficienza del processi produttivi utilizzati e dello scarso dinamismo del mercato interno iraniano. Riforme che erano state tentate anche dal governo Khatami, ma che spesso hanno trovato barriere invalicabili negli interessi personali di numerosi esponenti conservatori vicini ai membri del Consiglio dei Guardiani. Il vantaggio dei conservatori sta nel poter conciliare le riforme con gli interessi personali dei propri esponenti, con la possibilità cioè di effettuarle all’interno del complicato sistema economico iraniano, dominato dalle grandi fondazioni in mano alle varie famiglie conservatrici.

M a il doppio mostro di una inflazione altissima e di una disoccupazione giunta a livelli record rischia di produrre effetti collaterali pressoché irreversibili, quali la cristallizzazione del ruolo dei faccendieri vicini ai conservatori e al clero oltranzista all’interno dell’economia iraniana.

L’ayatollak Khamenei, leader dei conservatori.

Tra gli altri "benefici" provocati del cambio di mano in seno al parlamento vi sarebbe il riavvicinamento agli Stati Uniti, indicato da tanti osservatori come una reale possibilità all’indomani della vittoria dei conservatori. Per anni, ansiosi di bloccare qualsiasi riavvicinamento agli Usa condotto dai riformisti che ne avrebbero tratto grossi benefici sino al punto di divenire inarrestabili, i conservatori ora potrebbero cogliere un ambito premio con la revoca delle dure sanzioni imposte da Washington nei primi anni Novanta. E un progressivo riallacciamento dei rapporti diplomatici darebbe una legittimazione definitiva al nuovo corso dell’Iran. Si spiegano in questo modo le recenti affermazioni di esponenti di spicco della frangia conservatrice come Hassan Rowhani (il plenipotenziario in fatto di energia nucleare) e Mohammad Yunes Bahonar (uno dei capi conservatori nel nuovo parlamento), che ostentano una certa Realpolitik, definendo gli Stati Uniti un "vicino" con il quale bisogna scendere a patti. Lo stesso Rowhani, considerato assai vicino a conservatori di spicco come l’ayatollah Khamenei, ha risolto l’impasse con la comunità internazionale sulla produzione di energia nucleare da parte dell’Iran firmando, dopo estenuanti trattative, il Protocollo addizionale del Trattato di non proliferazione nucleare. L’accordo permette il libero accesso alle installazioni nucleari iraniane da parte degli ispettori dell’Onu e va ben oltre le numerose voci conservatrici che richiedevano insistentemente il ritiro dell’Iran dal trattato stesso.

Tali posizioni lasciano trapelare il forte bisogno dei conservatori di una stabilizzazione in senso pragmatico, almeno nel breve termine, per consolidare la loro problematica e discussa ascesa potere. Consci di avere pochissimo o nessun supporto popolare all’interno (e ancor meno tra i giovani, che arrivano ormai al 70% della popolazione totale dell’Iran) e di avere una serrata opposizione internazionale per il modo in cui sono giunti al potere, i conservatori hanno nella potenziale assenza di veti e nella possibilità di conciliare interessi personali con quelli pubblici l’arma a doppio taglio capace di effettuare quei cambiamenti ormai necessari per la sopravvivenza della Repubblica Islamica.

I veri perdenti di questa tornata elettorale sono i riformisti, incapaci di convincere il Consiglio dei Guardiani a non interferire nel processo elettorale e di organizzare una significativa protesta popolare contro il sopruso subito. Assai dolente è stata l’ammissione della sconfitta da parte del gabinetto di Khatami, che dopo settimane di minacce di dimissioni in massa e di promesse fatte alla comunità internazionale di voler esclusivamente organizzare elezioni libere, ha di fatto rinnegato le proprie posizioni e si è sottomessa all’ordine del leader supremo. Sebbene abbiano l’appoggio della popolazione sul piano dell’ideologia politica, l’eccessivo intellettualismo, la mancata volontà di fronteggiare con l’asprezza necessaria i soprusi dei conservatori e sopratutto una lunga serie di promesse elettorali classicamente non mantenute ha fatto sì che il sentimento preponderante dell’elettorato iraniano sia di un profondo e diffuso disinteresse e di disillusione nei confronti della politica.

Il compito dichiarato dei conservatori è ora quello di infondere fiducia popolare nel processo politico e, dato l’assetto attuale del potere in Iran, essi hanno sicuramente le carte per farlo. Ma quanto sono disposti a concedere sul piano dei costumi sociali, del controllo dell’economia e della politica estera al fine di contenere un diffuso ma sinora soffuso malcontento popolare?Questo è il grande interrogativo dei prossimi mesi.

Sul piano sociale è inoltre prevedibile un certo rilassamento delle rigidità imposte dal sistema islamico, com’è recentemente avvenuto a Teheran, dove il Consiglio comunale, saldamente in mano ai conservatori, ha per la prima volta approvato ufficialmente la celebrazione del Festival del Fuoco, un’antica usanza pagana che si svolge in occasione dell’Anno Nuovo iraniano e in passato messo al bando per la sua non-islamicità, ma largamente praticato comunque dalla popolazione.

I mesi a venire, a partire dall’inaugurazione formale della nuova legislatura di quest’estate, saranno un importante indicatore di quella che è senza dubbio una fase critica nella storia assai movimentata della Repubblica Islamica.