Timbri, francobolli e banconote d’artista
Seconda parte di un breve viaggio nella mail-art
Nel precedente articolo su questo tema (Mail Art: arte gratuita che indossa un francobollo), grazie anche a un intervento di Vittore Baroni, abbiamo tracciato per grandi linee la specificità della mail art, chiarendo soprattutto come il mezzo postale sia un movente solo nel senso motorio del termine, essendo la vera ragione di quest’arte uno scambio gratuito e disinteressato dell’arte all’interno di un network più o meno vasto.
Il mezzo postale è quindi utile ma non fondamentale, tant’è che nel 1977 ci fu chi s’inventò un Erratic Art Mail International System con sede ad Amsterdam, che tramite una vasta rete di collaboratori garantiva la consegna di messaggi artistici (entro tre anni) in ogni parte del mondo con mezzi altri rispetto al sistema postale, dalla consegna a mano all’uso di piccioni viaggiatori. Il mezzo non muta il messaggio, dunque, così come il messaggio non è mutato dalle forme, che nel caso della mail art abbiamo visto essere le più diverse.
E proprio da questo arcipelago, fatto di buste e cartoline, oggetti e collages, fax ed audiocassette, fotocopie e xerografie, adesivi e fanzine, abbiamo deciso di prendere in considerazione tre di queste forme espressive che ci paiono tra le più sperimentali: francobolli, timbri e banconote.
Tra i prodotti mail-artistici più curiosi, i francobolli hanno un fascino particolare; in ridotte dimensioni, racchiudono un mondo in cui l’arte sovverte un codice - quello postale - fatto di formato, contorno per lo più dentellato, iconografia, indicazione dello stato ed infine del valore. Questo, per lo meno, nei prodotti più riusciti, talvolta viaggiati su busta come veri francobolli, timbrati con noncuranza da distratti impiegati. Anche qui le varianti sono la regola, e spesso questi piccoli oggetti cartacei vengono usati a mo’ di supporti per l’esecuzione di minuscole opere pittoriche. Non a caso, tra i primi e più noti esemplari di francobolli d’artista documentati, è un francobollo dipinto completamente di blu nel 1957 da Yves Klein, mentre Donald Evans utilizzò il piccolo formato dentellato per una sterminata produzione di minuziosi acquerelli poi esposti in raccoglitori filatelici.
Scambiati all’interno del network mailartistico, i francobolli d’artista, come abbiamo detto, sovvertono tutta una serie di codici. Lo "stato emittente" è spesso di pura invenzione, dalla "République des rêves" di Jerry Crimmins alle "Post Banana" di Anna Banana, dal "Nerieni Atoll" di Kenneth J. Bryson al "Reame di Edelweiss" di King Alexander.
Talvolta la nazione è invece reale, con un notevole effetto spiazzante, specie per chi non sa di trovarsi di fronte a un prodotto mailartistico. E’ il caso ad esempio di un foglietto di dodici diversi francobolli USA, usati per la corrispondenza dall’artista Michael Hernandez de Luna, raffiguranti i seni di altrettante ragazze. Caso diverso ma non meno spettacolare quello di francobolli le cui scritte sono composte con alfabeti scomparsi o di pura invenzione, recanti magari immagini di alieni, principi-mostri, strani sacerdoti con una classica iconografia del potere (scettro, corona, postura, eccetera).
Qualcuno ha provato a catalogare questa sterminata ed effervescente produzione, come il canadese T. Michael, che raccolse circa 1200 diversi lavori prima di morire, mentre sono numerose le mostre, avviate nel 1974 in Canada con la "Artists’ Stamps and Stamp Images", dedicate a questo piccolo mezzo d’espressione.
Dal francobollo al timbro il passo è breve. La verve dissacratoria è garantita dal violare un campo solitamente connesso con la burocrazia ufficial-amministrativa, autenticatrice e impiegatizia; ciononostante, l’arte del timbro ha poco a che fare con grigie forme e linguaggi, essendo spesso carica di lucenti cromie e non limitata a sole scritte. Parimenti distante è però da una certa "timbromania" frutto di sapienti campagne di marketing, pronta ad offrire, specie ai più piccoli, loghi e profili di star dello sport, del rock o più spesso dei cartoon da riprodurre con timbro e inchiostri; un fare "à la mode" completamente avulso da una pratica di rete e gratuita come la mail art.
La realizzazione del timbro richiede perizia e sapiente lavoro d’intaglio, pertanto chi non ha tale dimestichezza è solito rivolgersi a negozi specializzati che realizzano il timbro partendo da un progetto su carta. L’arte del timbro, usata sia per decorare buste od altri supporti cartacei, sia per annullare i francobolli d’artista, presenta una casistica assai ampia, abbinando spesso scritte (di solito il nome dell’artista o la dicitura "mail art") ad immagini, dalle scene animate a singoli oggetti, dal détournement di simboli e loghi all’autoritratto dell’artista ideatore…
Il timbro come oggi noi lo conosciamo nasce nei primi anni ‘70 dell’Ottocento negli Stati Uniti, quando Charles Goodyear inventa il processo di vulcanizzazione della gomma, sovrapponendo a caldo una lastra di metallo ad un foglio appunto di gomma; il suo uso ludico lo si può far invece risalire al 1912, quando un pubblicitario parigino attaccò sulle suole delle scarpe dei timbri continuamente cosparsi d’inchiostro. Pochi anni dopo il timbro entra ufficialmente nel mondo dell’arte grazie a figure come Schwitters ed i russi del movimento Zaum, e, poco dopo, da Léger e Duchamp. Da queste prime sperimentazioni anteguerra si passa poi agli anni Cinquanta, quando il mezzo, con le sue naturali connotazioni "popular", viene usato da artisti come Wahrol e Arman, che realizza composizioni su carta utilizzando i timbri del negozio d’antichità del padre. Una rivoluzione del mezzo si avrà però solo con "Fluxus", movimento a cui, come abbiamo visto, sono in gran parte legate le origini della stessa mail art. Se in precedenza il timbro in arte aveva valenze pittoriche, con Maciunas & Co. il passaggio è verso il concettuale, verso l’irriverenza nei confronti delle regole di cui i timbri sono una manifestazione. Si diffusero così, e il merito è soprattutto di Ray Johnson e della sua NY Correspondance School, timbri di fantomatici fans club dedicati a Odilon Redon, oppure di presunte Università intitolate a Buddha…
Anche all’arte del timbro furono dedicate mostre e pubblicazioni, la più importante delle quali è forse "Art et Communication Marginale" (visionabile al Mart) di Hervé Fischer, pubblicata in Francia nel 1974, contenente lavori -tra i 156 artisti rapprensentati - di Beuys, Klein, Vautier, Spoerri. Tra gli artisti del timbro dell’ultimo ventennio, Julie Hagan Bloch ha anche il merito di aver dato vita a una guida pratica alla realizzazione di timbri, "Carving Stamps", pubblicata nel 1989. Gli appassionati del timbro sono assai numerosi nel mondo, sia che si rifacciano al mondo delle fanzine, della poesia visiva o naturalmente della mail art. Si pensi che la rivista "Rubberstampmadness" vanta 20.000 abbonati…
Infine, in un’arte votata al gioco e alla provocazione, non poteva mancare la più grande delle iconoclastie: la banconota d’artista, scambiabile con altra valuta o regalabile, avente validità legale nella sola psiche di chi aderisce al network. Anche in questo caso tutto prese il via con "Fluxus", quando Robert Watts diede vita a una serie di banconote da un dollaro.
Abbiamo parlato di iconoclastia, ed infatti questo non è denaro-altro, ma anti-denaro: già nel 1978 questa idea è esplicitata dall’artista Gerald X: "Il denaro è troppo noioso, quindi usa l’anti-denaro". Come per i francobolli, per fare il verso al potere bisogna imitarne le apparenze. E anche qui è un trionfo di nazioni d’invenzione, valute immaginarie, iconografie scanzonate e caleidoscopiche. Basta esaminare la serie di una ventina di banconote d’artista emesse dalla fantomatica "Bank of Fun" (cospiratori Vittore Baroni e Piermario Ciani), distribuita all’apertura della 50a Biennale veneziana per rendersi conto dell’irriverenza ludica del progetto: opere di artisti come Biancuzzi e Bates, Ciani ed Echaurren, Giacon e King, Wood e il Prof. Bad Trip; nazioni come Selfonia, Bautopia, Amnesia, Qzertyland, Being; valute come patacas, egos, colors, bones, goccie, oltre a un testo che introduce il portfolio che esplicita il senso del denaro d’artista: "La Bank of Fun ha commissionato ad artisti ed ideatori di stati virtuali di comprovata fama la creazione di valute funtastiche ed eterogenee, capaci di rendere meno grigi e banali i nostri piccoli acquisti quotidiani. Tra i numerosi vantaggi del denaro FUN (tasso di svalutazione zero, fuoricorso stabile, ecc.) c’è quello di eliminare la necessità dell’acquisto di costose e ingombranti opere d’arte: la banconota è già essa stessa un’opera da incorniciare, conservare nel portafoglio oppure scambiare con altra valuta creativa o beni di svago".