Immunità: un ritorno al passato
Le preoccupanti reazioni alla sentenza sul lodo Schifani.
Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge. Ciò significa che tutti devono rispettare i precetti da essa dettati, ed in caso di loro inosservanza deve trovare puntuale applicazione la sanzione prevista. Questo è un principio fondamentale degli ordinamenti liberal-democratici che sono venuti formandosi attraverso secoli di elaborazione culturale e travagliate lotte. Prima dell’affermarsi di questo principio di civiltà il monarca e i membri della sua corte, gli aristocratici ed il clero godevano di privilegi ed immunità che li esentavano dai munera sordida, cioè da quegli obblighi che erano riservati soltanto al popolo: lavori umili, servizio militare ai bassi livelli, imposte e tasse. Oggi al principio generale dell’uguaglianza è possibile derogare solo in casi limitatissimi, eccezionali, ben definiti e per motivazioni attinenti a valori unanimemente riconosciuti meritevoli di eguale tutela. Così gli ecclesiastici sono esonerati dall’obbligo di prestare il servizio militare, ciò che oggi peraltro non può più essere considerato un privilegio, posto che la stessa facoltà è riconosciuta anche ai laici obiettori di coscienza che svolgono il servizio civile.
Così i diplomatici godono, negli Stati ove esplicano la loro funzione, di una particolare immunità che li sottrae al vigore delle leggi ivi vigenti, e ciò in applicazione del principio della immunità giurisdizionale dei singoli Stati sovrani. Ma il processo di integrazione europea porterà inevitabilmente a sfumare anche questo privilegio.
Quindi, come si vede, anche le immunità più antiche e che più hanno resistito ai tempi moderni mostrano segni di cedimento e sono in fase di graduale superamento. Ciò accade in tutte le democrazie occidentali.
E’ solo in Italia che, al contrario, si fa strada una tendenza opposta che pretende di restaurare privilegi ed immunità a favore dei personaggi detentori del potere politico. Come se l’investitura conferita dal suffragio elettorale dovesse cancellare il principio democratico e liberale dell’uguaglianza davanti alla legge. Già esistono nella nostra Costituzione norme che garantiscono l’indipendenza del potere politico dalle interferenze degli altri poteri. Il presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni (art. 90). I membri del governo, anche se cessati dalla carica, sono perseguibili per i reati commessi nell’esercizio della loro funzione solo previa autorizzazione del Parlamento (art. 96). I parlamentari non sono responsabili per le opinioni ed i voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni e non possono essere privati della libertà senza autorizzazione della rispettiva Camera (art. 68).
Dunque già ora vigono norme che sono in grado di garantire il libero svolgimento delle attività di governo e legislative di chi è deputato a farlo. Che si vuole di più? Assicurare l’impunità a deputati, senatori e ministri anche per i reati comuni? Cioè per i reati commessi prima della assunzione della carica o indipendentemente da essa?
i è tentato di farlo con il lodo Schifani, e per
fortuna la Corte Costituzionale lo ha impedito.
Ora si torna a parlare di ripristinare l’immunità per tutti i parlamentari anche per i reati comuni. Fu abolita perché le Camere avevano abusato nel negare l’autorizzazione a procedere. Si vuole restaurare il benevole foro domestico. Se il titolare di un’alta carica dello Stato venisse accusato - che so? - di pedofilia, è conforme al pubblico interesse bloccare le indagini? Se l’accusa fosse fondata, il pubblico decoro esige che il colpevole sia rimosso. Se invece fosse infondata, il pubblico interesse esige che ciò sia rapidamente accertato. L’immunità paralizza l’indagine, protegge il sospettato, ma stende un’ombra insopportabile sull’istituzione.
Davvero per difendere Berlusconi dai suoi processi si vuole imbarbarire a tal punto il nostro ordinamento?