Revisionismo e diritto penale
Il diritto alla libertà di espressione non può consentire la distorsione della verità storica.
Nel 1995 lo scrittore e attivista politico Roger Garaudy scrisse e pubblicò un libro intitolato "The Founding Myths of Modern Israel" (i miti fondanti il moderno Stato di Israele), ripubblicato nel 1996 con il titolo "Samiszdat Roger Garaudy". Subito sorsero aspre polemiche e l’autore venne accusato di aver contestato l’esistenza dei crimini nazisti contro l’umanità, dando luogo ad una campagna di diffamazione e di incitamento all’odio razziale. A seguito di ciò associazioni di ex membri della Resistenza francese, di cittadini deportati nei campi di concentramento, associazioni ebraiche e organizzazioni a difesa dei diritti umani, sporsero querela nei procedimenti penali promossi dallo Stato francese contro il Garaudy. L’autore era accusato di aver negato l’esistenza di crimini contro l’umanità da parte della Germania nazista, promuovendo la diffamazione e l’incitamento all’odio razziale.
I cinque procedimenti penali, avviati sulla base della legge 29 luglio 1981 sulla libertà di stampa, si conclusero con sentenza del 16 dicembre 1998 con la condanna dell’imputato complessivamente a 6 mesi ci carcere e a numerose ammende, avendo la Corte di Appello di Parigi ritenuto Roger Garaudy colpevole del reato di negazione dell’esistenza di crimini contro l’umanità, di diffamazione pubblica della Comunità ebraica e di incitamento alla discriminazione e all’odio razziali. Le condanne della Corte d’Appello di Parigi vennero confermato dalla Cassazione il 12 settembre 2000. Roger Garaudy ricorreva allora alla Corte europea dei diritti dell’uomo con sede a Strasburgo, lamentando la violazione dell’articolo 10 della Convenzione europea che al suo 1° articolo così dispone: "Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione, senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche". La Corte ha replicato che la libertà di espressione non può essere ritenuta assoluta e illimitata, e ha richiamato in proposito l’articolo 17 della Convenzione che esplicitamente vieta l’abuso del diritto.
La ratio della norma è individuabile nel principio che la democrazia non può uccidere la democrazia. Anche nella nostra Costituzione la libertà di associazione politica trova la norma di sbarramento nel divieto di ricostituzione del disciolto partito fascista. L’articolo 17 della Convenzione europea, firmata a Roma il 4 novembre 1950, dice: "Nessuna disposizione della presente Convenzione può essere interpretata come implicante il diritto per uno Stato, gruppo o individuo di esercitare un’attività o compiere un atto mirante alla distruzione dei diritti e delle libertà riconosciute nella presente convenzione". In altre parole non si può usare la libertà di espressione per distorcere o uccidere la verità.
La motivazione della Corte di Strasburgo dimostra che l’imputato aveva adottato teorie revisioniste e contestava nel suo libro sistematicamente l’esistenza di crimini contro l’umanità, quali posti in essere dal nazismo contro la Comunità ebraica. La Corte ha ritenuto che contestare l’esistenza di eventi storici indiscutibilmente e palesemente accertati, quali lo sterminio di milioni di persone, i campi di concentramento e le camere a gas, non possa rappresentare un’indagine storica paragonabile in alcun modo ad una ricerca della verità. II reale proposito di un tale lavoro, quindi, era rappresentato dalla volontà di riabilitare il regime nazional-socialista e, come logica conseguenza, di accusare le vittime della Shoah di aver falsificato la storia. Negare o dubitare dell’esistenza dei crimini contro l’umanità è stato, inoltre, considerato una delle più gravi forme di diffamazione razziale e di incitamento all’odio contro gli ebrei, oltre che rappresentare una vera e propria minaccia per l’ordine pubblico.
Ho riportato e commentato con soddisfazione questa sentenza (pubblicata su "Diritto e Giustizia", 4 ottobre 2003 pag. 84, con uno scritto dell’avv. Gaetano Manzi) non certo contro gli storici veri che continuamente rivisitano il passato e quindi lo sottopongono a un "revisionismo scientifico" che è il loro essenziale strumento di lavoro, ma contro certi ciarlatani della storia che negano i fatti o li deformano con quello che si chiama "revisionismo politico", che in Italia e in Europa si propone di distruggere le radici antifasciste della seconda guerra mondiale e il contributo essenziale della Resistenza per la riconquista della libertà.
Spero che questa sentenza trovi diffusione anche sulla stampa non specialistica ad ammonimento dei falsificatori della storia.