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Che pena questo Nabucco!

Al Teatro Sociale di Trento buoni coro, orchestra e quasi tutti gli interpreti; ma penosi regia e scenografia, nel vano tentativo di "reinterpretare" la oggi poco coinvolgente opera di Verdi.

Nabucco è una delle opere maggiori di Verdi, ma se si tralascia il celeberrimo "Va’ pensiero...", questa perla della lirica non è fra le più coinvolgenti scritte dal beneamato Giuseppe nazionale. Forse per questo, per renderla più vicina alla sensibilità del pubblico, scenografo, costumista e regista hanno deciso di allestire un guazzabuglio di ispirazioni diverse. Solo in questo caso, considerandolo cioè un esperimento riuscito male ma tentato in buona fede, si potrebbero scusare i responsabili dello scempio.

Venerdì 24 ottobre, quando il sipario si è levato su uno sfondo grigiastro in cui torreggiavano due pilastri ancor più grigi, anche lo spettatore più disattento si sarebbe potuto domandare in che modo quei due patetici simboli fallici potessero ricordare il tempio di Gerusalemme. Sulla scena c’era poco altro: una gradinata lunga quasi tutto il palco, due schermi a coprire le uscite laterali che dovevano anch’essi rappresentare delle pareti, ma davano solo l’idea di una via di fuga non tanto originale, e una porta a fare da sfondo. Lungo tutta la recita questi elementi sono rimasti fissi sul palco, nonostante il pubblico sia stato costretto ad attese infinite ad ogni cambio atto.

Fin qui si trattava comunque di peccati veniali, scusabili considerata la buona prova dell’orchestra e della maggior parte dei cantanti. Infatti il coro ha ben figurato e così quasi tutti gli interpreti principali. Attenzione: quasi tutti. Purtroppo Paola Romanò, artista dal rispettabile pedigree, ha incarnato una Abigaille senza sfumature né sentimento, con una voce nasale e tendente al falsetto per tutta la rappresentazione. Tuttavia, bisogna dare credito alla Romanò come pure agli altri cantanti, dal momento che i poveretti sono stati costretti a recitare bardati da inverosimili samurai rosa shocking con lunghi capelli biondo platino. Così, a fronte di un popolo ebraico dignitosamente abbigliato con tuniche e veli, gli assiri parevano la caricatura demenziale di un cartone animato giapponese. Leggo il nome della mente diabolica che ha ideato tutto ciò e scopro che si tratta di Ivan Stefanutti: regia, scene e costumi sono tutta farina del suo sacco. Questo signore è lo stesso che già ci presentò, due anni, fa un’Aida piuttosto bizzarra, in cui gli Etiopi erano una stirpe biondochiomata (vedi "Aida" e gli Altri). Al di là dell’ossessione per i caratteri ariani, Stefanutti non dimostra né coraggio, né inventiva, e inoltre la sua visione d’insieme manca di coerenza e di spessore. A rincorrere la moda degli allestimenti "reinterpretati in chiave..." si rischiano grossi capitomboli...

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