Sanità: il businnes della formazione
Il Trentino è penultimo in Italia per quanto riguarda l’aggiornamento in campo sanitario.
Annunci pubblicitari, costose trasmissioni televisive, inaugurazioni e dichiarazioni altisonanti: con questi strumenti l’Azienda Sanitaria trentina si presenta ai cittadini. Poco importa che gli anziani vengano dimessi dagli ospedali in situazioni ancora critiche, che chi viene operato, subito dopo l’intervento, venga imposto in carico alla famiglia, che i costi delle cure riabilitative vengano trasferite sui pazienti che devono ricorrere alle cliniche private, che sui lavoratori i carichi di lavoro diventino ogni giorno più insostenibili. Quel che conta è l’immagine e la possibilità per i dirigenti di incassare ingenti premi di risultato.
Premi meritati - si dirà - visto che si dovevano potenziare le prestazioni, ridurre le liste di attesa, migliorare la qualità delle prestazioni. Le cose non stanno così: i premi di risultato, quindi gli obiettivi raggiunti, in Azienda sanitaria si misurano con la quantità di risparmi che l’azienda riesce ad ottenere (avrete già compreso come) a scapito degli utenti, cioè dei malati, a scapito del lavoro degli operatori del comparto, infermieri, ausiliari, operatori tecnici e amministrativi. Qualunque settore della sanità si prenda in esame oggi, ci impone una lettura strettamente ragionieristica. E questo accade anche nel settore della formazione.
Atutti è evidente l’importanza della formazione e dell’aggiornamento degli operatori della sanità. Si tratta di mantenere efficiente un servizio in continua evoluzione, costruire sempre maggiori stimoli nei dipendenti, avere ambizioni alte nel rincorrere una tecnologia sempre più sofisticata ed impegnativa. Non c’è documento della Provincia o dell’Azienda sanitaria che non assegni interesse prioritario a questo aspetto, con dichiarazioni eclatanti e quindi rassicuranti.
In sanità oggi la formazione diventa anche un obbligo: solo con l’accreditamento di crediti formativi il personale, dirigente e non, costruirà la sua futura professionalità: è stato anche inventato un sistema di misura della formazione, il credito ECM (educazione continua in medicina). Finalmente anche il nostro paese ha istituzionalizzato questo percorso di crescita degli operatori sanitari (decreto legislativo 19 giugno 1999) ed ora l’ECM deve essere controllato, verificato, misurabile: la formazione ovviamente dovrà essere incoraggiata, promossa ed organizzata.
Non possiamo spiegare nel dettaglio la complessità di questi percorsi; sta di fatto che l’Azienda Sanitaria provinciale si dimostra efficiente nel divulgare pacchetti formativi di notevole interesse e complessità, ma presso i dipendenti la ricaduta mostra sofferenze e ritardi preoccupanti che sono stati denunciati in modo energico dalla CGIL sanità.
Al di là delle dichiarazioni di principio si è dimostrato che alcuni professionisti risultano privilegiati: godono di informazioni dirette, possono costruirsi in modo quasi autonomo un loro percorso formativo. Altri invece, specialmente nelle periferie o in settori lavorativi ritenuti marginali (operatori tecnici e amministrativi) vi hanno un accesso saltuario che generalmente si limita a conoscenze sul tema della sicurezza e della prevenzione, e raramente possono arricchire il proprio curriculum professionale. Lo studio dimostra anche come troppi professionisti, anche dirigenti, debbano inventarsi un loro percorso formativo utilizzando periodi di ferie e risorse economiche ingenti (iscrizione, vitto-alloggio, viaggi). In prospettiva si pensi che dal 2006 in poi ogni operatore dovrà acquisire 150 crediti ogni tre anni. Se nel 2002 nella sola provincia di Trento il debito formativo aveva bisogno di oltre 100.000 ore di formazione-studio per un costo stimato di 2.500.000 euro, nel 2006 le ore supereranno le 500.000 e la spesa sfonderà di molto i dieci milioni di euro. Nel 2002 l’Azienda Sanitaria ha stanziato solo 500.000 euro per la formazione: le altre risorse sono ricadute sui dipendenti in termini di costi e di orario.
Il dipendente trova mille ostacoli: non riesce a costruire con i suoi dirigenti un percorso formativo condiviso e legato alle esigenze del territorio sul quale opera, trova difficoltà insormontabili per ottenere rimborsi-spese ad eventi residenziali esterni, non viene messo al corrente sulla qualità del corso offerto e della sua efficacia.
Sono dichiarazioni supportate dai numeri. Nel 2002 si sono forniti circa 26.000 crediti formativi davanti ad una richiesta di 45.000 ed una necessità effettiva di oltre 100.000. Il fondo stanziato alla scopo è irrisorio, lo abbiamo detto: 500.000 euro.
La situazione di precarietà della realtà provinciale è sostenuta anche da una indagine promossa dal Sole 24 ore: il Trentino è protagonista di una durissima lotta per evitare l’ultima posizione nella graduatoria nazionale. Questo significa che già nel breve periodo il personale dirigente medico e non medico e la struttura tecnica ed infermieristica provinciale accumuleranno un deficit formativo irrecuperabile nei confronti dei colleghi delle altre regioni.
In Azienda Sanitaria sembra comunque non si viva questa emergenza: la Consulta provinciale per la formazione continua istituita nell’autunno 2002 si è riunita per la prima volta solo l’11 giugno 2003.
La commissione provinciale per la formazione in Trentino è a termine, a differenza di quanto avviene nella provincia di Bolzano. Non tutte le figure professionali vi sono rappresentante, si dà un’eccessiva importanza alla formazione a distanza, che sappiamo essere poco efficace e controllabile nei risultati ottenuti.
E’ evidente come queste carenze del pubblico trovino e favoriscano la risposta in sedi esterne all’Azienda sanitaria. Alcune organizzazioni sindacali si stanno trasformando in aziende di promozione della formazione. Poco importa l’argomento trattato, il fine dell’intervento e quali professioni o territori si intendano preparare: diventa importante fornire crediti ECM certi e specialmente fare tessere a scapito di altri sindacati. Altri fornitori di servizi formativi diventano gli ordini professionali, anche recentemente ben foraggiati allo scopo dalla Provincia di Trento, o istituzioni universitarie, altri enti privati e pubblici. Come abbiamo visto dai numeri, il business è notevole e vista la debolezza e la staticità dell’Azienda pubblica c’è chi ne sta approfittando.
C’è un solo modo per evitare scadimenti nell’offerta e garantire l’efficacia della formazione sul nostro territorio: chiedere con forza che l’Azienda Sanitaria diventi protagonista nell’indirizzo e nella conduzione dei percorsi formativi di tutto il suo personale, chiedere che ad ogni operatore vengano offerte pari opportunità informative e di scelta, anche e specialmente nelle periferie e nei distretti sanitari territoriali, togliere ai dirigenti ogni possibilità di discrezionalità nelle scelte e riportare la costruzione dei percorsi formativi a metodi maggiormente partecipati e quindi condivisi dal personale.
Perché questo avvenga è necessario che l’Azienda smetta questo suo totalizzante comportamento ragionieristico e ritorni a recuperare la consapevolezza del ruolo sociale che è chiamata a svolgere: un servizio rivolto ai cittadini, a cittadini al momento del bisogno generalmente deboli, poco informati, che hanno bisogno di risposte urgenti e di alta qualità.