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Enrica Collotti Pischel

Una vita impegnata: studio, rigore, passione politica, sensibilità per il mondo e la propria terra.

Una vecchia casa quasi sospesa sul paese, circondata da grandi alberi. Al centro del prato, posata su un tavolo, tra le pigne, la cassettina di legno che ospita le ceneri. Intorno, lungo i lati, una piccola folla di persone venute da tante parti: colleghi e studenti, amici di una vita o di stagioni recenti, gente di Serrada.

I discorsi si avvicendano senza sforzo, sono testimonianze sul filo delle memorie, non orazioni funebri. Il coro Martinella e la fisarmonica del suo maestro, Gianni Caracristi, accompagnano con discrezione le parole, dando vita ad una colonna sonora in cui le note dei canti di montagna, di Bella ciao, dell’Internazionale, di Signore delle cime si mescolano senza stridere. Dopo che il corteo ha percorso il piccolo tratto in discesa che separa la casa dal cimitero, sono in molti a scambiarsi l’emozione per una cerimonia laica così piena di risonanze, così vera.

Enrica Pischel amava quei luoghi, ne faceva oggetto di narrazioni affascinanti e interminabili. In quella casa ritrovava fisicamente le intersezioni tra la storia della sua famiglia e quella del mondo grande cui era abituata a pensare. Il Trentino, in cui era vissuta solo nei giorni di vacanza, dopo gli anni dell’infanzia roveretana, era diventato come una metafora. Il nonno Antonio, alter ego politico di Cesare Battisti, aveva vissuto da protagonista sia la fase entusiasmante della fondazione del socialismo sia la sua crisi di fronte alla guerra europea. Enrica ancora discuteva e criticava la sua scelta interventista, non per pacifismo astratto, ma perché riteneva l’assolutizzazione delle identità nazionali uno dei pericoli del nostro tempo. Aveva in mente la Jugoslavia, la Russia, la Cina, quando diceva che la distruzione dell’Austria Ungheria era stata un errore. Di un Trentino idealizzato e oggi forse scomparso amava anche le antiche virtù morali, quelle di una popolazione povera e laboriosa. Tra i personaggi preferiti dei suoi racconti comparivano muratori emigranti, donne di servizio a Milano, studenti lavoratori alla cui serietà e affidabilità dedicava le sue migliori energie di insegnante amica.

Anche il suo stile di vita era ispirato ad un rigore privo di moralismo e di ostentazione: bisognava, bisogna vivere così se si vuole un mondo giusto per tutti.

Una ventina di anni fa, scrivendo uno straordinario necrologio del padre Giuliano, socialista senza dogmi e senza partito, lo aveva definito "naturalmente politicizzato". Anche per lei la passione politica era come una seconda natura, intendendo per politica qualcosa di assolutamente diverso dalla schermaglia quotidiana. La sua era piuttosto una profonda sollecitudine per le sorti del mondo e degli uomini, che sosteneva anche il suo impegno di studiosa della Cina, dell’India, dell’Estremo Oriente.

Da tempo aveva deciso di lasciare alla Biblioteca di Rovereto i suoi libri. Questo ulteriore segno di affetto per la terra d’origine può diventare l’occasione per una sistematica rilettura del suo itinerario scientifico e ideale. Enrica Collotti Pischel ha creduto nelle grandi rivoluzioni e nelle lotte di liberazione, ha vissuto con particolare consapevolezza le illusioni e le delusioni della seconda metà del ‘900. Una serie di iniziative, anche piccole ma programmate con ampio respiro, potrà alimentare una riflessione tutt’altro che inattuale o marginale.

Nel laico congedo di Serrada si è parlato anche di questo. Annamaria Gentili, la studiosa dell’Africa che le era particolarmente vicina, ricordando la vastità e la qualità della sua bibliografia, indicava la necessità di raccoglierla come obiettivo prioritario di una valorizzazione del suo lascito. Incontri annuali sui grandi temi a lei cari potrebbero costituire un modo semplice ed efficace per coltivarne l’eredità.

La conversazione con Enrica Pischel non è finita, come non è esaurita la possibilità di imparare dalla sua lezione.