Il gran rifiuto di Passerini
Vincenzo Passerini non ricandida: oltre i fondamentali motivi etici, le motivazioni politiche.
Il "gran rifiuto" di Vincenzo Passerini può essere una buona occasione per tentare di mettere a fuoco le inquietudini, le debolezze e la potenziale vigoria di quei partiti, gruppi culturali e personaggi che, qui in Trentino, si collocano alla sinistra di Lorenzo Dellai. La questione ha una sua importanza perché, a seconda delle soluzioni che in concreto ne verranno da qui a pochi mesi, è destinata ad influire nel bene o nel male sugli orientamenti e la stabilità della prossima legislatura provinciale, e quindi, nella misura in cui la politica interagisce con l’esistenza dei cittadini, sullo sviluppo stesso della nostra comunità.
Il gesto di Passerini ha indubbiamente una sua nobiltà etica. Però Passerini era, e resta, un uomo politico. Il suo non è il caso di Giuseppe Dossetti. Vincenzo non abbandona l’impegno politico, non si fa monaco. Egli promette di continuare le sue battaglie, ma al di fuori delle istituzioni, cioè ripudiando il ruolo che in una democrazia rappresentativa è specificamente "deputato" a tradurre in realtà, nella misura massima possibile, le aspirazioni e le idee che fermentano nella società. E’ dunque ragionevole domandarsi cosa può avere spinto Vincenzo a tale gesto, quale valutazione politica può averlo indotto a questa insolita scelta di campo.
Non credo che egli sia stato ispirato da un moto di somma presunzione, cioè che abbia ritenuto di potere, con la sola forza delle sue idee e del suo prestigio, ottenere maggiori risultati muovendosi da semplice cittadino piuttosto che operando nei meccanismi vischiosi delle organizzazioni politiche e nelle mediazioni estenuanti del Consiglio e della Giunta provinciale. Ha troppa esperienza per non avere appreso che in politica, come del resto nella vita comune di tutte le persone, si procede per compromessi più o meno onorevoli. La ragione della sua rinuncia deve essere stata un’altra, meno orgogliosa e forse venata da un’ombra di amarezza.
Egli è un riformista, nell’unico significato autentico di questa parola. Egli cioè non si considera antagonista di questo sistema in cui siamo immersi. Non è come chi si propone velleitariamente di rovesciarlo e, non avendone la forza, si rassegna e se ne pone ai margini in una minoritaria e sterile opposizione. E’ questo il caso di Rifondazione Comunista, non di Vincenzo Passerini. Il quale invece è fermamente convinto che il sistema possa e debba essere corretto nei suoi aspetti peggiori, cioè appunto riformato. Non poteva dunque partecipare alle prossime elezioni come candidato presidente sapendo in anticipo che l’impresa sarebbe stata, nonostante il sontuoso bagaglio programmatico, sicuramente disperata. Con il prevedibile risultato di ritrovarsi nell’indesiderata posizione di un predestinato oppositore minoritario con scarsa efficienza riformatrice. L’alternativa di aderire alla coalizione di centro-sinistra attorno alla candidatura di Dellai, se non accompagnata da una soddisfacente intesa programmatica garantita da una diversa dosatura delle forze della coalizione, sarebbe stata troppo manifestamente rinnegatrice della sua storia. Infatti una sinistra riformista divisa e meschinamente litigiosa alleata con la corazzata della Margherita ne diverrebbe una succube infeconda appendice.
Io credo che il profilarsi di una prospettiva come quella che ho qui delineato sia stata la ragione vera che ha indotto Vincenzo Passerini al gran rifiuto. E come lui penso che molti altri si sentiranno scoraggiati e delusi se la sinistra riformista correrà a ranghi sparsi sotto la piovra tentacolare della Margherita-Casa dei Trentini. La quale è certamente un alleato accettabile per la sinistra riformista, tenendo conto dell’obiettivo prioritario di sconfiggere la destra. Però è altrettanto certo che essa ha nel suo seno una forte componente conservatrice, cioè antiriformista. Da questa incontestabile verità deriva l’obbligo dei riformisti, se vogliono veramente contare, di costruire un polo politicamente e programmaticamente compatto, tale da neutralizzare con efficacia le tendenze disomogenee compresenti nella formazione alleata.
Democratici di Sinistra e Costruire Comunità, Italia dei Valori, Verdi e Comunisti Italiani sembrano propensi ad un tale progetto. Non così i sedicenti "riformisti" di Olivieri, Raffaelli, Leveghi e Zoller, ed i laici di Benedetti ed Olivi, i quali tendono a distinguersi rivendicando per sé il monopolio di qualifiche, come riformista e laico, che invece sono patrimonio naturale di tutta la sinistra.
Che se poi la differenza fosse invece nel programma , essendo i sedicenti riformisti o laici favorevoli alla Valdastico, alla diffusione degli impianti di risalita, magari all’aeroporto, insomma ad una politica predatoria del territorio, in sintonia con la componente conservatrice della Margherita, beh allora l’autodefinirsi da parte di costoro "riformisti" sarebbe una palese usurpazione. Per una politica di questo tipo non c’è bisogno di un partito riformista: basta Grisenti e addirittura la destra.
Io credo che sia questo che Vincenzo Passerini ha voluto dirci con la sua rinuncia a partecipare in prima persona alle elezioni di autunno.