Una bandiera rossa ricamata oro
In memoria di Lionello Buffato, tipografo antifascista roveretano, esule in Francia e partigiano, scomparso quasi centenario.
Il figlio Uliano legge una pagina di ricordi della liberazione di Parigi 1945. Scandisce con forza quei nomi francesi, facendo risuonare la seconda lingua d’infanzia di un bambino emigrato nella "banlieue parisienne" lontano dall’Italia fascista, dove non tirava aria respirabile per Lionello Buffato, tipografo comunista ben noto agli organi della repressione di stato. Nei giorni della liberazione Lionello era ancora lontano dai suoi, partigiano con "les maquis". Di fronte alla sua bara, il figlio rievoca la grande bandiera che sventolava dalla finestra "des italiens", "bandiera rossa, falce martello oro", confezionata sul tavolo di cucina dalla madre Gina.
Al cimitero di S. Maria a Rovereto è riunita una piccola folla composita e attenta. Uliano Buffato conduce la cerimonia con naturale autorità, vincendo una commozione che vibra in ogni parola. Dopo la sua lettura, un violino suona "L’internazionale". Ferdinando Tonon, a nome dell’associazione dei "perseguitati politici", rievoca con toni privi di enfasi la condizione in cui uomini come lo scomparso (e come lui ) mossero i difficili passi di un’opposizione sociale e politica che il regime considerava crimine.
Mancavano solo tre anni perché compisse un secolo, Lionello Buffato, irriducibile "uomo contro". Una sua fotografia (edita nel grande volume su Rovereto tra le due guerre curato da Diego Leoni con il Laboratorio di storia) lo mostra ancora ragazzo con in mano L’Unità di Gramsci, nel 1926. Era tipografo presso la Mercurio del socialista Zamboni, quando partecipò al tentativo di costituire in Trentino un’organizzazione di "fronte popolare". "In questa provincia - dall’autunno 1935, durante tutto il 1936 e fino alla primavera del 1937 - mentre la nazione era impegnata in duplice guerra militare ed economica (…), mentre il popolo esultava per la conquista del suo Impero, e mentre la giovinezza fascista, seguendo la tradizione italica, versava in terra di Spagna nobile sangue in difesa della civiltà, un gruppo di senza patria tentava organizzare contadini ed operai avvelenandone lo spirito colla propaganda sovversiva, con l’esaltare il comunismo, col chiamare a raccolta i peggiori elementi politici e formare un fronte popolare di marca straniera, approfittando di un momentaneo disagio economico per indurli alla rivolta contro il Fascismo del quale si pronosticava imminente la fine", si legge nell’ampia relazione della prefettura del 31 luglio 1937, quando l’attività sovversiva era ormai scoperta e la repressione ben più che avviata. Nel maggio dello stesso anno morì tragicamente nella Questura di Trento il contadino di Nomi Mario Springa, arrestato nella stessa operazione che coinvolse Buffato, insieme a una quindicina di altri antifascisti della Vallagarina e ad una decina di altre parti della provincia.
Non furono sottoposti a processo, ma inviati in massima parte al confino. Buffato e altri dieci si videro assegnati cinque anni, che nel suo caso furono commutati pochi mesi dopo in "ammonizione". Nel ‘38 espatriò con la famiglia in Francia, dove poté riprendere la militanza comunista. I documenti d’archivio ci danno conferme di quell’intransigenza di cui si è avvertito il riflesso anche al suo funerale. Da vecchio comunista di origine proletaria, il tipografo roveretano vedeva con diffidenza anche il carattere meno rigorosamente classista della nuova fase. Ma per capire qualcosa di più del suo percorso sarebbero necessari documenti più personali. Qualcuno sicuramente ne esiste: di un suggestivo scambio di lettere con un altro antifascista roveretano, l’anarchico Emilio Strafelini, dà notizia in Internet il gruppo degli anarchici roveretani. Strafelini era un uomo d’azione, avventuroso fino all’irresponsabilità, perlomeno nei primi anni della sua attività in Francia. Combattente in Spagna, era prigioniero in un campo d’internamento nella Francia repubblicana, nel 1939, quando rispose ad una lettera del concittadino, che evidentemente era venuto a conoscenza della sua condizione e del suo indirizzo. Era un uomo che aveva conosciuto profonde delusioni, lo Strafelini della lettera a Buffato (" Non ti parlo della guerra di Spagna. Quello che ho visto laggiù è terribile. Puoi credermi, perché ti parlo triste ma col cuore in mano"). Ma era un combattente tenace e più lucido di quanto la sua fama postuma non lo rappresenti, a giudicare dalla tagliente critica del comunismo marxista leninista che è al centro della lettera. La sua conclusione sembra rappresentare bene, oltre ai suoi convincimenti, anche quelli del suo corrispondente pur tanto lontano ideologicamente: "Credo nel socialismo, ma senza compromessi, senza opportunismi, senza credere che i borghesi mi aiuteranno a realizzarlo. Solo da noi dipende il nostro avvenire. Tu che conosci la mia vita, potevo io muovermi, lottare, per conquistare un piatto di spaghetti in più? Solo la libertà, il senso del giusto, dell’umano, potevano darmi la forza di affrontare serenamente ciò che ho sofferto. E questa fiamma, non si spegnerà che con la vita. Ecco perché né posti, né onori, né ricchezze, né privilegi, mi hanno mai corrotto. Ho accettato il mio posto nei ranghi degli sfruttati, degli umili, cosciente dei pericoli… e tiro avanti, perché è doveroso dar l’esempio e forgiare una società migliore, per