Perché vogliono Mario Malossini
Centro-destra: dietro ai litigi sul candidato premier, ci sono i problemi basilari del Polo trentino. Scarsa credibilità e assenza di una autonoma linea politica.
Continuano le convulsioni nella politica trentina. Questa volta ci occupiamo del centro-destra, in preda ad una bagarre continua: una guerriglia interna, autolesionista, attorno al problema del candidato-leader.
Il punto è che Forza Italia ha da tempo deciso che il leader debba essere Mario Malossini, e che gli alleati debbano mangiare tale minestra. Questi non ci stanno, e si dicono disposti piuttosto a saltare dalla finestra, in senso letterale: ossia a presentarsi per conto proprio. Difatti Malossini è un candidato impresentabile: riconosciuto in via definitiva colpevole di ricettazione e corruzione, solo l’indifferenza forzista per la legalità può far pensare a una sua candidatura. Ma invece chi, come An o Lega, pesca in elettorati che sono sensibili alla questione morale, non può non trovare il Mario un rospo indigeribile. E la tracotanza di Forza Italia nel volerlo riproporre, rappresenta una serie di sberle in faccia. Anche perché Malossini leader perderebbe in partenza: ma assicurando un buon risultato ai berlusconiani (per i motivi di cui sopra) e uno pessimo per gli alleati, che sconterebbero pesanti emorragie di voti.
In questa situazione è logico che su questo nome ci si sbrani.
Il problema però, disgraziatamente per il centro-destra e per la dialettica nella politica trentina, è più di fondo. Si insiste sul Mario perché non si hanno altri nomi: Morandini (ultrà del cattolicesimo: e il presidente deve prendere voti da tutti, non solo dai fondamentalisti) Tarolli (senatore del Ccd, poco conosciuto e personalità non travolgente) Mosconi (ex-Dc ora Forza Italia, della Federazione Cooperative: ma alle ultime provinciali era stato trombato) sono le altre ipotesi, come si vede non all’altezza.
E non si hanno nomi perché non si hanno rapporti con il territorio: pare impossibile, ma nelle ultime elezioni Forza Italia è riuscita nel raro compito di candidare come sindaco il primario più detestato dell’ospedale, e come capolista il preside più odiato nella scuola. Poi per forza gli avversari vincono con il 70%.
Ma questa debolezza di nomi deriva dalla scarsa credibilità della compagine. Quando il Polo si esibisce in condanne al vescovo perché "comunista", per di più farcite di citazioni da un’enciclica propinata come passo della Genesi (il tutto ad opera di un faccendiere del mondo dello spettacolo all’epoca coordinatore di Forza Italia); in proposte di introduzione di un’apartheid ferroviario trentino, con vagoni appositi per gli extra-comunitari; o nelle ultime ipotesi di introduzione di censura nei teatri trentini, perché si sono visti (orrore!) delle scene di nudo... (Negri, nudi e blasfemi) – quando una coalizione si presenta con tali biglietti da visita, è logico che nella società non ci sia nessuno, che abbia una professione e una credibilità, che intenda confondersi in siffatta compagnia.
Anche perché poi, sul piano delle proposte più squisitamente politiche, siamo nella notte fonda: si vorrebbe solo scimmiottare il mix di clientelismo e di rapporti con i poteri forti dell’attuale presidente della Giunta. Cui infatti si rimprovera – sostanzialmente – una sola cosa: di essere "condizionato dai comunisti", cioè di non riuscire ad essere abbastanza clientelare e abbastanza corrivo con le lobby.
A questo punto è chiaro che le clientele e i lobbysti confidano più nel professionista Dellai, che non negli apprendisti del Polo. E anche chi il Trentino lo vuole innovare, in una direzione o nell’altra, sa di non potersi rivolgere a que-sto centro-destra.
C’è chi inizia a rendersene conto: Claudio Taverna, leader storico di An ora emarginato, che in alternativa a Malossini propone la propria candidatura; Tullio Buffa, capogruppo di An al Comune di Trento, che ha dato vita - finalmente! - a una vera battaglia politica sull’inceneritore, andando a confrontarsi anche con i no-global...
Ma è ancora poco, troppo poco.