Maschere di ieri e di oggi
Da Sordi a Berlusconi passando per Andreotti.
Lavoratooorii!!": in questo beffardo richiamo seguito dal ben noto gestaccio che abbiamo visto
nel film "I vitelloni" di Fellini era già tutto presente il personaggio Alberto Sordi.
E’ unanime l’opinione che egli abbia incarnato, nella sua lunga carriera cinematografica, i difetti dell’italiano. Anche altri grandi attori, pur recitando parti diverse, hanno sempre interpretato il medesimo personaggio. Greta Garbo è stata unicamente la mirabile maliarda. Erich von Stroheim l’imperturbabile ufficiale prussiano. Chaplin è Charlot anche quando veste i panni del Grande Dittatore. Jean Gabin è sempre Jean Gabin. Sordi è Sordi, un certo tipo di italiano medio, familista, spaccone, furbo, misogino, scansafatiche, vittimista, bugiardo, codardo. Con qualche raro guizzo di dignità, come nella "Grande Guerra". Un italiano medio romano, anzi romanesco, che esibisce senza ritegno, anzi quasi con una certa vanteria, i caratteri deteriori di un popolo mediterraneo quale siamo in prevalenza noi italiani.
La sua grandezza è consistita appunto in questa sublime improntitudine di ostentare come simpatiche debolezze quel complesso di attitudini che compongono quell’ingegnosa arte di arrangiarsi, che è la più pratica fra le virtù nazionali, offrendo così al suo pubblico uno specchio divertente e rassicurante in cui riconoscersi.
Al piano nobile risiede un altro campione di questo modo di essere. Meno popolaresco ma altrettanto popolare. Meno romanesco ma parimenti intensamente romano. Estraneo alla realtà virtuale del cinema, ma corposamente onnipresente nella scena reale della politica: Giulio Andreotti. Non a caso Alberto Sordi lo ammirava perdutamente. Il divo Giulio ha saputo distillare tutti i suoi vizietti nella superba virtù del grande mediatore.
Navigatore oculato, da esponente consolidato della destra e garante della fedeltà atlantica fu il presidente del primo governo sostenuto dal voto dei comunisti. Custode della legalità repubblicana, non disdegnò amicizie con personaggi contigui alla criminalità mafiosa. Più volte investito da ondate fangose di misteriosi intrighi, ne è sempre uscito indenne e rispettato. In lui l’arte di arrangiarsi non è affidata a meschini espedienti ma a raffinate distinzioni. Le esplosioni istintive di Alberto Sordi sono sostitute da fredde calcolate mosse di graduali aggiustamenti.
Nell’antologia dei suoi noti aforismi spicca per il suo contenuto autobiografico questa, pronunciata in un sorprendente momento di minor controllo: "E’ meglio tirare a campà piuttosto che tirare le cuoia". Non vi sembra un ritratto morale perfettamente appropriato anche per Alberto Sordi?
Ma questa è un’Italia di ieri. Oggi l’epicentro dei simboli negativi si è trasferito da Roma a Milano. E’ la Lombardia che ha dominato la scena in questi ultimi anni. Essa ha dato all’Italia, in una successione frenetica, tre personaggi fortemente esemplari con alcuni caratteri, pur nella loro rispettive diversità, incontestabilmente comuni.
Essi sono Bettino Craxi, Umberto Bossi e Silvio Berlusconi. Craxi per il vero è di origini siciliane e forse remotamente albanesi, e comunque appartiene al vecchio corso. Ma gli altri due sono di etnia autenticamente lumbard ed occupano a tempo pieno il palco dei nostri giorni. Umberto Bossi come Sordi, ma assai diversamente da lui, interpreta l’animo popolaresco, addirittura vernacolo, di un ceto padano laborioso ma incolto, industrioso ma asociale, benestante ma ingeneroso, trafficante ma localista. Ne esprime i sentimenti profondi in modo impulsivo, rozzo, spesso volgare. Ne smuove gli umori ancestrali suggestionandoli con una allucinante mitologia celtica evocata in rituali barbarici. Aizza all’odio razziale ed all’evasione fiscale, spalmando il tutto con un brutale pragmatismo ricattatorio, emulativo di quel potere di coalizione felicemente, felicemente per lui, inaugurato da Bettino Craxi.
Silvio Berlusconi è l’espressione non superiore, ma soltanto sovraordinata di questa stesso mondo e di questa cultura politica. E’ la cultura della sua stessa impresa che ha invaso lo Stato. Il cui governo, sostenuto in Parlamento da una maggioranza aziendale, cura anzitutto con grande efficienza gli interessi del premier, ed asseconda poi gli spiriti animali della xenofobia e della riluttanza contributiva di un ceto che ripudia la solidarietà sociale e predilige l’egoismo individualistico, Berlusconi propone il suo proprio modello di imprenditore spregiudicato, molestamente pubblicitario e imbonitore televisivo, concitato attivista, disinvolto mentitore, incostante ed arrendevole interlocutore con i potenti del mondo. Abile e risoluto quando agisce pro domo sua, dilettantesco quando cura gli affari pubblici.
Gaffes, barzellette, pacche sulle spalle, cene nelle sue residenze: tali sono i pacchiani connotati del suo stile.
I vizi degli italiani dunque simboleggiati da due coppie di personaggi. Con indubbio talento in Sordi ed Andreotti. Ma che miseria in Bossi e Berlusconi! Forse abbiamo toccato il fondo. Vi è anche un’Italia virtuosa. E’ ora che si desti davvero!