“Cuore di mostro”
Maria Rita Parsi, Cuore di mostro. Mondadori, Milano, 2002, pp.262, 15,20. Il viaggio di una psicoterapeuta nel cuore di tenebra degli autori di delitti efferati.
Una visita in libreria. Fra le pile del fresco di stampa di grande attualità troviamo "Cuore di mostro", l’ultimo lavoro della psicoterapeuta Maria Rita Parsi. Il titolo ammicca al lettore che vaga alla ricerca di temi forti, e di primo acchito scatena qualche corto circuito nella mente. Una mente già scossa dal turbinio di notizie che, a livello mediatico, ogni giorno c’investe con storie di persone improvvisamente colte da una furia omicida. Tutto ciò alimenta un clima d’inquietudine che fa nascere il bisogno di approfondire. E la "Tv omologata" che fa? Troppo sollecita nel proporci la violenza come spettacolo, non riesce certo ad arginare i nostri stati d’animo.
Anzi, siamo sempre più sconcertati e non facciamo che arrovellarci intorno agli stessi interrogativi.
Ed è per chiarirci le idee che l’autrice, dirigente della Società Italiana di Psicoanimazione e presidente della Fondazione Movimento Bambino, indaga con nitore di pensiero nei meandri di questi cuori. "Cuori di malvagi", come noi spesso definiamo coloro che si sono macchiati di certi crimini o meglio i "senza cuore": madri e padri che uccidono i figli, figli che decidono di sterminare i genitori, giovani sbandati che progettano con freddezza e lucidità delitti efferati. Così la nostra coscienza rimane attonita e come negli archetipi suddivide vieppiù il bene dal male, i buoni dai cattivi tentando di esorcizzare la presenza di forze oscure.
E’ proprio questo "scrigno" di sentimenti negativi che Parsi cerca di aprire, ripercorrendo passo dopo passo il "tunnel dell’inferno" che conduce persone della porta accanto, apparentemente normali e perbene, verso le forze del male: padri impeccabili, madri amorevoli ed accorte, bravi ragazzi.
Leggendo il libro, come in una moviola, ricostruiamo con pennellate dalle tinte forti la loro vita a ritroso, il loro cammino psicologico, dando voce a ciò che finora ci sembrava imperscrutabile.
Un labile confine fra normalità e patologia affiora da questi racconti, vite cresciute su un terreno impregnato di disamore, d’affettività ingabbiata, perché l’amore non si dà se non si è mai ricevuto.
Ed è un dipanarsi attraverso l’Io narrante di abusi e violenze spesso agite come risposta a quelle già subite, di un’infanzia umiliata e strumentalizzata, chiaramente espressa da uno dei protagonisti: "L’umiliazione di essere stato in balia di genitori che non mi avevano voluto, che mi avevano messo al mondo, abbandonato e dimenticato, e poi di altri genitori che, invece, mi avevano scelto per riempire i loro vuoti, per dare un senso alla loro vita, per una continuità nel tempo che la vita aveva loro negato".
Pareti familiari, dunque, che dietro l’apparente guscio protettivo celano disagio comunicativo e sofferenza psicologica. Solitudini che pesano come un macigno su personalità fragili e dipendenti, creando un clima destabilizzante che induce i giovani a comportamenti devianti. Il tutto condito da noia, vuoto di valori e anomia.
Il libro fa venire a galla il "sottaciuto" di un mondo ovattato e falsificato, un malessere dell’anima espresso nella rabbia, nell’odio, nelle ossessioni: un’escalation d’emozioni che soffoca l’amore per la vita. E’ la paura di vivere, infatti, che assale questi "cuori di mostro" fino a fargli desiderare la propria morte e quella altrui per liberarsi da una realtà percepita come minacciosa. Un disagio spesso manifestato in un clima d’indifferenza, tragedie annunciate da segnali di sofferenza e grida d’aiuto non percepite da padri e madri "ombra", perché è davvero difficile nella società opulenta riconoscere la patologia dei propri cari.
E’ una realtà sfaccettata quella che l’autrice ci svela attraverso la storia di questi protagonisti, uno scavo psicologico nelle macerie interiori che hanno condotto alla follia. Una narrazione fluida e cristallina che a tratti appare cruda, ma densa di rimandi e significati. Una lettura, anche per i non addetti ai lavori, che ci offre un contatto più intimo con gli aspetti della fragilità umana, con le oscure pulsioni che albergano dentro la nostra mente, così come scrive Vittorino Andreoli nella premessa del suo libro "Delitti", quando parla della voglia di ammazzare: "…la voglia di ammazzare. Che tante volte c’è ma non si realizza per pure coincidenze. Che, pur se in angoli nascosti, si può trovare in ciascuno di noi."
In conclusione, se il libro non risolverà tutti i nostri dubbi, c’impedirà, per lo meno, di esprimere giudizi sommari ed affrettati su queste tragiche, ma pur sempre umane, vicende di vita.