L’insensato ottimismo del nuovo Pup
Ho assistito alla presentazione fatta a Trento da parte dell’assessore Pinter del progetto di nuovo Piano Urbanistico Provinciale (PUP), e ho integrato le mie conoscenze con la lettura, magari alquanto affrettata, del fascicolo de Il Trentino che ne illustra il contenuto. E’ probabile che i concetti di base e le finalità assegnate alla nuova programmazione siano validi e assolutamente condivisibili. Nutro però più di un dubbio sui risultati concreti, alla luce della mia quotidiana esperienza e ricordando quanto già in passato si è verificato.
II quadro tratteggiato da Pinter sulla situazione del territorio trentino pecca a mio avviso, e non poco, di eccessivo ottimismo. Si parla di una "tradizione di gestione del territorio consolidatasi in Trentino in termini di grande prestigio e con risultati largamente positivi". Grazie all’azione della Provincia, il Trentino andrebbe a collocarsi "tra i territori più garantiti d’Italia sotto il profilo ambientale". Potrebbe al riguardo anche darsi che Pinter abbia ragione, però unicamente in base al principio per il quale il peggio non è mai morto. In realtà, e senza voler rivangare il passato, ogni giorno mi si presentano o mi vengono segnalate le trasformazioni più rapide, e mi tocca assistere ad uno spreco di territorio giornalmente via via crescente.
A Mori e a Lavis, zone residenziali e aree "ad alta densità abitativa" stanno in questo momento prendendo il posto di ettari ed ettari di pregiata coltura viticola. Ad Arco e a Caldonazzo, in territori di alto pregio ambientale e turistico, si moltiplicano nuove aree artigianali, di cui in realtà non vi è forse bisogno, e sorgono orridi capannoni. Più o meno ovunque (per esempio a Trento in viale Verona) si materializzano ipermercati. Senza allungare oltre la lista, osservo come nelle valli, ad onta dei sacrosanti princìpi urbanistici e dei proclamati buoni propositi, l’industria delle seconde case prosperi esattamente come per il passato»
E’ finalità del nuovo Piano Urbanistico quella di "ripartire dal paesaggio", definito il patrimonio più importante ma anche più minacciato dalla crescente urbanizzazione, e descritto come "non solo patrimonio naturale, storico e culturale, ma anche come linguaggio comune a tutti gli abitanti che si riconoscono in luoghi specifici". In base a questi concetti, la gestione del nuovo PUP dovrebbe fondarsi su una ipotesi di applicazione organica (e quindi, salvo errori, il più possibile estesa) del principio di sussidiarietà.
Confesso di non essermi mai accorto del profondo legame esistente fra la popolazione trentina e il paesaggio che la circonda. Per lo meno le categorie economiche che contano (industriali, artigiani, gli stessi operatori turistici che pure alla tutela del paesaggio dovrebbero avere interesse) concentrano i loro interventi esclusivamente alla promozione di iniziative volte al loro immediato vantaggio, nuova viabilità, nuove aree disponibili, nuove infrastrutture e nuovi impianti. II caso della val Jiumela, che certo non è isolato, è quanto mai indicativo al riguardo. Ben pochi mi sembrano pronti ad ottenere una migliore tutela ambientale con qualche personale sacrificio economico.
Ancor meno mi pare che senso del limite e ansia di salvaguardare il paesaggio siano la nota dominante tra i politici e gli amninistratori. La magica parola che tutti trascina è piuttosto "sviluppo". Esemplare al riguardo il Comune di Trento, impegnato con megagalattiche visioni di interramenti ferroviari e nuovi "poli direzionali", ma che invece non sembra essere intenzionato, né in grado, di aggiustare nei ridotti limiti del possibile, a Trento Nord e altrove, gli sgangherati prodotti delle precedenti programmazioni. Vasta è la scelta nel campo turistico. Mi limiterò a citare il caso di Folgaria.
Pochi ambiti come la tutela del paesaggio abbisognano di una guida unitaria, consapevole e sopratutto il più possibile qualificata a livello tecnico. Questo appare purtroppo del tutto inconciliabile con il principio di sussidiarietà. Gli amministratori locali, soprattutto nei piccoli Comuni, possono avere una percezione del paesaggio unicamente frammentaria e localistica, senza contare l’inevitabile carenza di’uno strumento culturale appena adeguato.
Quanto al mondo politico, ho presenti i continui pellegrinaggi dei vari Muraro, Giovanazzi e compagni volti alla promozione di questo o quel progetto stradale: strada del Tesino, bretella di Mori e via elencando. Gran parte degli sfregi inflitti al nostro ormai largamente compromesso paesaggio sono da attribuirsi a precisa responsabilità delle Giunte provinciali, sempre pronte a concedere licenze "in deroga" in contrasto con le indicazioni dei loro organi tecnici e date per favorire questo o quello dei loro elettori e clienti. Mi chiedo se tra le "popolazioni locali" non debbano collocarsi i baroni del porfido e i vari Tosolini e Bertoli.
Per dirla in breve, temo che la nuova tutela del paesaggio possa rivelarsi un grande mercato di contrattazioni e di compromessi,ancor più di quanto non accada già oggi.
Nel caso del nuovo PUP, più che dal paesaggio, punto di arrivo piuttosto che di partenza, occorrerebbe prendere le mosse da una precisa e impietosa valutazione della situazione concreta, dei problemi e del loro probabile evolversi. Alludo in primo luogo al progressivo esaurirsi delle risorse di base: il terreno agricolo, l’acqua, la vivibilità dei luoghi. Sarebbe ancora indispensabile un preciso impegno finanziario e operativo della Provincia (che detiene i mezzi), nei settori dove un intervento è più urgente.
Che cosa intende fare la Giunta provinciale, così prodiga in superstrade e bretelle, per dare al traffico una impostazione diversa? Come si pensa di intervenire sulle nostre periferie degradate? Si pensa di ridimensionare e riordinare l’industria del porfido e lo scavo dei cosiddetti "inerti"?
Non vorrebbe la Giunta provinciale procedere al recupero e al rinverdimento delle troppe cave della Valdadige,della Val del Sarca, della Valsugana?
Forse più che di un nuovo PUP ci sarebbe bisogno di un serio esame di coscienza.