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Formazione e “cultura del lavoro”

Caro Silvano, ho letto con grande interesse il tuo articolo ("La scuola è formazione o addestramento?") sull’ultimo Questotrentino. Sono profondamente convinto che la scuola debba fare formazione - non addestramento.

Tu descrivi molto bene un mondo in cui ci si divideva ancora giovanissimi tra "lavoratori" (e quindi esecutori dell’esistente) e "studenti", quasi una specie diversa, destinata ad accedere alla Cultura, alla Direzione, alla capacità di trasformare l’esistente, inventando il nuovo.

Io appartengo alla categoria di chi è entrato nel mondo del lavoro subito dopo le medie.

Provo oggi il dispiacere di non conoscere Dante Alighieri, e spesso mi tocca la fatica di dover rincorrere attraverso il dizionario o l’enciclopedia il significato e la provenienza di un vocabolo desueto o di origine greca o latina.

Altre volte la mia curiosità di approfondire lo svolgersi di una reazione chimica o di spiegarmi un fenomeno naturale è ostacolata da scarse nozioni di base della fisica e della chimica.

Mi accorgo anche spesso della difficoltà di entrare in un modo di pensare, in un quadro di riferimento culturale diverso dal mio usuale, per la mia non conoscenza del pensiero e della storia della filosofia.

Sento la fatica di interpretare gli avvenimenti che mi propone la cronaca senza solide conoscenze degli avvenimenti storici.

Quindi concordo che per tutti sia necessaria una preparazione culturale di base solida e prolungata nell’adolescenza.

Tuttavia vorrei completare quello che tu dici con un apporto di cui ho una certa fierezza, che è la scelta del lavoro come percorso di sviluppo e di crescita anche culturale.

Perché esiste anche una cultura del lavoro, delle mani, dell’esperienza e dello studio, della ricerca nella vita. Imparare un lavoro "manuale" non significa difatti solo addestrarsi ad eseguire delle mansioni predefinite.

Significa, o dovrebbe significare, seguire un percorso di identificazione sociale ed umana, imparare e calarsi in una tradizione ed una storia professionali, assumere delle conoscenze e delle qualità che permettano di "inventare" su misura il proprio lavoro.

Inventare il proprio modo di rapportarsi con la società e la comunità in cui si vive, creandosi spesso una personale filosofia di vita.

Insomma un percorso di apprendimento che non si concluderà poi mai, nella vita. Non per nulla l’artigiano, ad esempio, in tempi anche recenti veniva chiamato "maestro".

Sogno perciò delle scuole professionali tagliate sulla misura di chi non ha molta propensione per l’approccio " teorico" alla cultura (talvolta anche per responsabilità della scuola stessa) ma ha più bisogno di uno stimolo che passi attraverso il provare praticamente. Una scuola quindi che non separi, ma integri cultura dei libri e cultura pratica, apprendimento teorico ed apprendimento attraverso il fare.

Una scuola che faccia venir voglia di continuare ad imparare tutta la vita, attraverso la vita.

Ti saluto cordialmente

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