Un “Falstaff” che diverte
Spettacolo piacevole e divertente il "Falstaff" presentato sabato 15 dicembre al Teatro Sociale di Trento con la regia di Gabbris Ferrari, nel quale la scenografia dell’Osteria della giarrettiera come della casa di Ford erano a metà strada fra il fiabesco e il realistico, comunque evocatrici del periodo storico, il XV secolo, nel quale Shakespeare ha ambientato la commedia "Le allegre comari di Windsor" al quale è ispirato il lavoro di Verdi, su libretto di Arrigo Boito. Ai costumi e trucchi buffoneschi dei personaggi che ruotano attorno all’osteria - il pancione Falstaff e i suoi due ribaldi servi – si contrapponevano le vesti borghesi dei due gentiluomini Fenton e Ford.
Ottima la presenza scenica e la caratterizzazione attoriale di Falstaff, che il 15 era interpretato da Paolo Rumetz, bravissimo nel dare spessore all’altalenante fluire della storia fra beffa e malizia. Anche sul cast canoro emergeva la voce baritonale di Falstaff, timbrata anche se non piena e rotonda.
Le allegre comari, Alice Meg miss Quickly e Nannetta, si muovevano in perfetta sintonia con la fabula, dando giusto spazio all’impertinenza, ai lazzi e al gioco delle beffe. Sono le donne – sembra quasi dire Verdi – a tenere in mano i destini degli uomini, e comunque a saperne una più del diavolo. Per questa ragione il monologo delle corna di Ford (2° atto, I parte) è derisorio dello stesso personaggio e insultante della sua intelligenza, mentre i 4 corni, la trama del flauto e dell’ottavino, sottolineavano il livore fegatoso del personaggio, e Falstaff strappava risate fragorose mentre si faceva bello per l’incontro con Alice : all’uscita dalla toeletta il travestimento era completo, compariva in scena una specie di gallo cedrone con tanto di penne e piumaggi che aveva qualcosa della visibilità comica di Aldo Fabrizi o di Peppino De Filippo-Pappagone. Le voci erano ben amalgamate nei gruppi corali e l’orchestrazione era quanto mai viva e scoppiettante.
L’unico momento in cui emerge in Falstaff una consapevolezza della beffa in cui è caduto è nel 3° atto, I parte, in cui riemergeva dal Tamigi, complice la scenografia di grandi tronchi distrutti e rinsecchiti. L’interpretazione era un po’ velata di mestizia e desolazione, con una nota di tristezza sulla vecchiaia ed il tempo che passa scolorando le cose della vita. Solo la burla finale, tramata dalle allegri comari che organizzano una finta adunata di esseri fantastici e leggendari, sembrava nell’economia dello spettacolo un po’ sottotono, forse per l’esiguità dello spazio, ed il conseguente assembramento di personaggi. Pubblico divertito e plaudente.