Congresso Ds: per fortuna che c’è la guerra
I diessini non riescono a discutere dei temi più stringenti: Dellai, la Margherita, la Giunta. Ci pensano gli esterni Kessler e Raffaelli. E allora...
E’ stato con l’intervento di Renato Ballardini che si è raggiunto il momento più intenso: "Cerco di non farmi guidare dall’emozione, che non è buona consigliera" - ha esordito dalla tribuna del congresso dei Ds l’ex-parlamentare, nonché ex-vicepresidente del Parlamento europeo, e attuale padre nobile della sinistra trentina. Ma poi si vedeva che era una sana e giusta passione a guidarne le parole. Un autentico ed esplicito sdegno per l’intervento di Morando, papavero nazionale venuto a presenziare al congresso trentino, che aveva irriso alle preoccupazioni pacifiste sull’intervento in Afghanistan.
"Non sono un pacifista. Ho fatto la Resistenza, ho impugnato le armi. E lo rifarei - puntualizzava Ballardini; che però riteneva i bombardamenti americani l’espressione di una forza cieca e brutale, insensibile ai diritti delle popolazioni civili, e immotivata: "In definitiva una rappresaglia, non dissimile da quella che portò alle Fosse Ardeatine".
Il congresso gli tributava un’ovazione. E quando, subito dopo, il segretario Mauro Bondi commentava "Bene, dopo questo sfogo di Ballardini…" la platea insorgeva.
In quel momento, in quegli scontri pur cattivi, c’era un congresso vero. E anche negli interventi successivi, sul tema della guerra, dei diritti dei popoli, dell’Occidente, del diritto alla sicurezza, c’era un confronto autentico, di idee e di sentimenti; che rappresentavano quello che dovrebbe essere un partito: un momento di dibattito e sintesi di culture e passioni civili.
Ma ahimé, la guerra era l’unico tema in discussione. Forse proprio perché tanto lontano. Sul resto, su tutto il resto - il Trentino, il governo locale - il partito era muto, l’elettroencefalogramma piatto.
E allora anche il gran parlare di Afghanistan assomigliava maledettamente a una pur inconsapevole fuga dalle responsabilità: parliamo di Bush e Bin Laden, per non parlare di D’Alema e - soprattutto - di Dellai.
Così il congresso trentino, forse a ragione, forse senza rendersene conto, non ha preso sul serio la dura differenziazione che a livello nazionale si era espressa in tre mozioni (che pure indicavano differenti linee di fondo: molto rozzamente, accentuazione neoliberista la mozione di Morando, accentuazione sindacale e movimentista quella di Berlinguer, ipotesi socialdemocratica quella di Fassino, risultata vincente grazie all’appoggio dell’apparato dalemiano).
Qui invece abbiamo avuto il segretario Bondi che votava per Morando ma dichiarava che era bene che vincesse Fassino, e tutta una serie di altri incroci di posizioni che i congressisti riportavano ridacchiando, magari mestamente: insomma, le differenziazioni nazionali ridotte a aneddoto. E difatti il dibattito e sulle mozioni, e sui problemi nazionali, nelle due giornate congressuali è stato nullo (come mai, dopo cinque anni di governo dell’Ulivo, ha vinto Berlusconi? Boh).
Ma soprattutto sulla Giunta Dellai si cercava di parlare il meno possibile. La relazione di Bondi la assolveva con un diplomatico "bilancio complessivamente positivo"; riservandosi di incalzarla perché "non si limiti all’ordinaria amministrazione" e perché "non cerchi nelle difficoltà oggettive l’alibi per terminare due anni di governo senza lasciare visibile traccia". Un incalzare confinato al pur nobile piano delle idee, non certo a quello delle richieste ultimative (destinate a restare lettera morta, perché ormai lo sanno tutti che i diessini sono pronti a ingoiare qualsiasi rospo).
Ed ecco quindi Bondi riproporre la linea rinunciataria degli ultimi due anni: Dellai non ci piace più di tanto, ma ce lo dobbiamo sorbire, perché dipendiamo da lui; non solo: "Il presidente Dellai rappresenta (addirittura! n.d.r.) la risorsa principale dell’Ulivo". Anche se, aggiunge subito, con vaga (e velleitaria?) minaccia, "un tale incarico lo può solo perdere lungo questi due anni di governo."
Gli altri diessini si accodano. In particolare desolante il "gruppo Bressanini" che aveva fatto girare documenti precongressuali tanto furenti quanto generici: e che arrivato al congresso non sa più cosa dire.
Per dire che il re è nudo occorrono gli esterni. Pessimo segnale per lo stato di salute di un partito.
L’on. Giovanni Kessler, che si presenta sempre come "parlamentare dell’Ulivo", pacatamente spiega come le decisioni nella coalizione siano sequestrate dalle nomenklature dei singoli partiti, uccidendo la coalizione e indebolendo l’opposizione, frutto non di scelte condivise, ma contrattate tra segretari, e poi imposte ai parlamentari peones, che non sempre ci stanno (vedi sulla guerra). E così per il Trentino, dove Kessler lucidamente individua il nodo più dolente nella "politica clientelare della Giunta". Nella platea i Dellai-dipendenti sobbalzano sulla poltrona.
Poi Mario Raffaelli, dello Sdi. Che dice al congresso che dopo due anni di governo Dellai "l’immagine del centro-sinistra è ai minimi". E traduce la frase di Bondi ("Dellai può andare bene per le prossime elezioni, purché in questi due anni non sbagli") con un sacrosanto "purché non continui a sbagliare". Ma - chiede Raffaelli - "cosa facciamo se invece continua a sbagliare?".
Della serie: vi rendete conto del vicolo cieco in cui vi siete ficcati?
La dirigenza diessina non se ne vuol rendere conto. Il giorno dopo è tutta una corsa a tamponare gli effetti delle parole di quegli scavezzacolli di Kessler e Raffaelli: "Intendiamo ricostruire l’Ulivo a partire dalla Margherita" faxa agli altri partiti il segretario Bondi.
"Le frasi su Dellai pronunciate da Kessler e Raffaelli sono loro posizioni personali e non esprimono quella del congresso Ds" - si affretta a proclamare il presidente dei DS Alberto Rella, noto mandarino della politica locale.
"Su Dellai la pensiamo come Tonini: è un grande imprenditore politico" - chiosa il deputato Luigi Olivieri, dimenticandosi di riferire che Tonini (anch’egli deputato diessino, eletto in Toscana) aveva pesantemente avvertito come assieme alla Margherita si sia trovata "la formula per vincere, non per governare". E se non governi bene, gli elettori non ti rivotano.
Appunto, il centro-sinistra il Trentino lo sta governando? E lo sta governando bene?
Domande evidentemente scomode, per un congresso che preferiva appassionarsi ad altro. Mentre i dirigenti si affrettavano a telefonare a Dellai (che li aveva snobbati rimanendo a casa "per impegni familiari") per rassicurarlo di persona che no, Kessler e Raffaelli non contano nulla, loro sono sempre fedeli, allineati, rispettosi.