Candidati super-cattolici
La laicità perduta: i grotteschi travestimenti, gli insultanti integralismi di candidati alla ricerca del voto cattolico. Ma i laici (i non credenti e i cattolici non-integralisti), quelli non votano?
Durante le schermaglie per le candidature, gli esponenti di un partito – i Socialisti Democratici Italiani – vistisi con scarse possibilità di ottenere dalla propria coalizione – l’Ulivo - una candidatura per uno di loro (c’è poco da meravigliarsi, questa logica di clan è quella che gira) avevano pestato i pugni sul tavolo; notando sconsolati come ci fosse un filone culturale – quello laico - non rappresentato nelle candidature; e proponendosi all’uopo. La richiesta non fu degnata di una risposta. Innanzitutto perché introduceva, nel già complesso puzzle delle spartizioni per appartenenze partitiche, un’ulteriore variabile, le appartenenze culturali. E sinceramente, di un’ulteriore lottizzazione per culture (due laici, tre cattolici, domani un islamico…) nessuno, a iniziare dalle segreterie dei partiti, sentiva bisogno.
Ma anche perché questa riscoperta pre-elettorale della laicità sapeva tanto di escamotage dell’ultima ora, da non poter essere presa sul serio. Non ce ne vogliano gli esponenti dello Sdi, ma li vediamo – peraltro in numerosa compagnia – sempre assorbiti nel cercare una poltrona per questo o per quello (l’elenco sarebbe facile e impietoso) al punto da scordarsi del tutto delle questioni di merito; e tra queste, sommamente negletta, è proprio quella della laicità.
Perché, a parte lo Sdi, questi ultimi anni e ancor più questa campagna elettorale, sono vistosamente caratterizzati da un crollo della difesa di tali principi. (Proprio quando sarebbero più necessari, con la presenza e diffusione in Italia di religioni diverse dalla cattolica, e l’insorgere di sintomi di pericolose intolleranze).
Abbiamo visto tutti un Presidente del Consiglio dei Ministri (Massimo D’Alema) rivolgersi al papa appellandolo "Santo Padre" (ma "padre" di chi? Di tutti noi italiani?); vediamo ogni giorno i Tg pubblici e berlusconiani seguire ogni fatto che accade in San Pietro come neanche TeleMaria (in quale altro paese d’Europa avviene una cosa simile? Probabilmente bisogna andare indietro alla Spagna franchista); da noi la star mediatica è diventata il vescovo Bressan, il cui messaggio è incolore, ma a cui tutti – politici, rappresentanti delle categorie, sindacalisti - si prostrano, secondo vuoti, conformisti rituali.
E di più. Abbiamo visto appaltata l’importantissima e delicata questione dell’accoglienza degli immigrati alle organizzazioni cattoliche; che hanno grandissimi meriti, e che quindi è logico e giusto valorizzare. Ma a cui non si può demandare in toto il rapporto con quella che - lo si voglia o no – è una parte della nostra comunità, ed è quella immensamente più debole, e per di più appartenente a un’altra religione. Ancora peggio: i rapporti con gli immigrati vengono tenuti demandandone la rappresentanza ai loro esponenti religiosi, invece di aprire – magari in forme istituzionalizzate - a una rappresentanza laica, dell’insieme degli immigrati, che quindi superi differenze di etnia e di credo.
Tutto questo non è casuale. Nella crisi delle idealità sono precipitati anche i principi di laicità dello Stato, che pur sembravano acquisiti. Ed assistiamo quindi a due fenomeni convergenti. Da una parte gli esponenti laici (che sono la grande maggioranza) avendo spesso come unici punti di riferimento quelli oggi tristemente dominanti (denaro, successo, potere), pur di raggiungerli sono disposti a qualsiasi svendita. Dall’altra un’agenzia culturale come la Chiesa, di per sé in crisi profondissima, sembra però l’unica in grado di proporre valori alternativi ai suddetti, e per questo acquista rinnovata vitalità e autorevolezza.
Ed eccoci quindi alla nostra campagna elettorale. Dove sembra aperta la caccia a un mitizzato voto cattolico. Non importa che i cattolici praticanti siano molto al di sotto del 30% della popolazione. Non importa che anche all’interno di questa minoranza, è ulteriormente minoritaria la fascia di chi vota in base a motivazioni legate alla fede. La corsa a questo voto è ufficialmente aperta. E in essa si cimentano non solo i cattolici Doc, che hanno solide entrature in parrocchie e associazioni, come Gubert o Tarolli; ma sgomitano soprattutto i neofiti, laici cento per cento improvvisamente convertiti sulla via di Roma.
Citiamo alcuni casi. Il primo è quello di Giorgio Manuali, candidato a Trento di Forza Italia. Non ce ne voglia il preside Manuali se ce la prendiamo con lui, ma è lui che ce la mette tutta. Infatti se ne esce ricordando di essere "un devoto di padre Pio", e anzi rivendicando a tutta la propria famiglia il merito di questa devozione per il discusso frate-taumaturgo di Pietralcina. Ma chi crede di far fessi Manuali? I cattolici? E magari anche i laici – che certamente ci sono tra i simpatizzanti del centro-destra - che dopo un’uscita del genere dovrebbero votarlo?
Altra vicenda è stata l’uscita di un papavero della Curia, tal monsignor Menghini, un residuato dell’episcopato di Sartori. Menghini, con un duro documento lamenta che l’assessore provinciale all’istruzione (Claudio Molinari, della Margherita) quest’anno non ha concesso agli studenti trentini il Giovedì Santo come giorno di vacanza, impedendo loro di prepararsi alla Pasqua ecc. Il documento è incredibile, configura un’ingerenza clericale nella scuola pubblica, insopportabile soprattutto perché immotivata: le funzioni per la Pasqua (il Triduo) iniziano il giovedì sera, non si capisce perché la Curia pretenda che gli studenti se ne stiano a casa la mattina. Ma la cosa basta a mettere le ali alla penna del consigliere provinciale Giacomo Santini, candidato di Forza Italia per il Senato a Rovereto, che in un’interrogazione rivolge roventi rimproveri all’assessore Molinari, evidente ostaggio dei mangiapreti di sinistra. A mons. Menghini – e indirettamente al consigliere Santini – per fortuna risponde, dall’interno del mondo cattolico, don Giancarlo Pellegrini, parroco di San Michele all’Adige: una rovente lettera pubblica, che con determinazione segna i confini dell’ingerenza della Chiesa su questioni che non la devono riguardare.
Il tema scuola pubblica/religione è però troppo caldo e appetitoso per non attirare le pelose attenzioni di altri arrivisti della politica. Così quando in val di Sole si decide, per la carenza di iscritti, di accorpare le scuole materne di Ossana (provinciale) e di Pellizzano (cattolica) in un unico istituto, provinciale, esplode l’ira del sindaco di Ossana, ma soprattutto candidato del Patt e della Casa delle Libertà Giacomo Bezzi: una cosa del genere non si può fare, si perde una scuola cattolica, si perdono le tradizioni, i bambini devono andare nell’orrida scuola pubblica, dove ci sono insegnanti comunisti… Un insieme prodigioso: speculazione elettoralistica sui sentimenti religiosi, negazione della dignità delle istituzioni pubbliche, faziosità politica (del tutto strumentale, se Bezzi si fosse alleato con l’Ulivo, e c’era giunto vicino, oggi sparerebbe contro il pericolo di fascisti e berlusconiani).
A Bezzi prontamente replica il concorrente dell’Ulivo, on. Luigi Olivieri, dei Ds. Ma ahimè, la risposta denota analoga mancanza di laicità. Olivieri infatti rinfaccia a Bezzi la colpa di organizzare riunioni elettorali nei giorni pre-pasquali, interferendo quindi con le funzioni religiose del Triduo. E contrappone, a quella di Bezzi, la propria agenda elettorale, libera di appuntamenti in tali giorni. Un’argomentazione che ci potremmo aspettare da un candidato di Comunione e Liberazione, non dei Ds.
Ma un laico che proprio voglia andare a votare, deve per forza farlo turandosi il naso?