Laicità dello Stato, opportunismi e religiosità
D’Alema chiama il papa “Santo Padre”, Bassolino assolve il cardinal Giordano per il sangue di S.Gennaro, Rutelli si genuflette a Padre Pio, i sindacati trentini... Con la fine delle ideologie, si abbracciano clericalismo e opportunismo politico.
E’ opportuno evitare di trattare l’argomento ricorrendo a sottili, seppure solide, disquisizioni terminologiche e linguistiche. Quello che più immediatamente interessa parte dalla constatazione verificabile dell’invadenza clericale nella vita quotidiana italiana. Per dimostrarlo basta semplicemente limitarsi a vivere normalmente, leggendo il quotidiano, ascoltando la radio o seguendo anche appena un po’ uno dei canali televisivi che sono parte del patrimonio collettivo del nostro paese. Il dato emerge forte e chiaro: non c’è momento del giorno e non c’è argomento trattato che non sia causa di presenza e di interventi esplicitamente ecclesiali cattolici.
Anzi c’è pure la tendenza ad accentuare questa deriva, e gli spunti per aggravare la situazione sono soprattutto legati alla prossima scadenza del Giubileo oltre che, in tutta la sua deprimente imponenza, la celebrazione per la beatificazione di Padre Pio.
Varie ed altre le occasioni forse meno appariscenti, ma altrettanto costanti e politicamente e socialmente significative. Mezzi di informazione si occupano abbondantemente della liquefazione del sangue di San Gennaro, il noto attore si dichiara beneficiato nel sogno da Papa Giovanni. Il prete nazionalista croato, che, in quanto tale, fu soppresso dal regime nazista, diventa un argomento posto all’attenzione dell’umanità perché beatificato alla faccia del suo antisemitismo militante. Di San Gennaro, poi, si dovrà ancora parlare perché il Cardinale Giordano, sospetto di usura, chiederà ed otterrà, innanzi alle folle partenopee ed al reverente sindaco della città, l’assoluzione dall’imputazione inopinatamente sostenuta dall’ordine giudiziario della Repubblica. (San Gennaro varrà forse meno della Procura della Repubblica innanzi alla folla dei fedeli? Evidentemente no).
Questi solo alcuni degli episodi fra i più evidenti fra i molti che costellano la cronaca degli ultimi anni.
Nel frattempo il vivere comune si adegua. Il linguaggio si adatta, i termini del dibattito politico fanno altrettanto e l’opinione pubblica ormai non può fare a meno di dare per scontato che ogni argomento del vivere civile debba essere valutato delle autorità ecclesiali. La scienza e la tecnica non sfuggono alla circostanza, il parlamento si adegua e le leggi sono sostanzialmente emendate secondo etica e volontà confessionale.
Forse inutilmente, ma opportunamente, a questo punto bisogna porre alcuni distinguo e chiarire bene i termini della vicenda anche e soprattutto per quello che riguarda l’uso terminologico, che è lo strumento attraverso il quale la specie umana si esprime e raccoglie le altrui ragioni. Per questo il laico deve chiarire che lontano da ogni suo intendimento è il lamentarsi della professione religiosa poiché, per lui, questo atteggiamento rientra a pieno titolo nei diritti soggettivamente espressi di ogni persona. La limitazione della libertà di religione è laicamente improponibile.
Quello che invece deve essere fronteggiato è il passaggio dalla libera espressione di religione alla produzione di un sistema nel quale la religione regola ed interviene nelle libere espressioni della vita collettiva poiché un sistema così fatto diviene clericale ed illiberale. Peggio ancora quando la norma religiosa, trascendendo il diritto individuale, tende a trasformarsi in diritto positivo. E quindi il sistema sociale è espressamente regolato dalla norme religiose.
Probabilmente il primo passo verso questa poco consolante meta è rappresentato dal clericalismo. Da quella situazione, cioè, nella quale i sistemi civili e quelli religiosi tendono a sovrapporsi ed a rendersi indistinguibili. Clamoroso e noto il caso trentino ove l’equilibrio fra potere religioso e potere politico è sempre e profondamente precario. Anzi è frequentemente spostato a favore del primo, tant’è che in Trentino le regole costituzionali eredi dei principi della laicità dello Stato sono quotidianamente e tranquillamente violate. Denaro pubblico alle scuole confessionali, voto di religione che si è voluto rendere obbligatoriamente presente nelle pagelle scolastiche, calendario scolastico rigidamente e millimetricamente regolato dalle scadenze religiose, ecc. ecc.
In Italia non c’è raggruppamento politico, che abbia rappresentanza numerica rilevante, che non si sia adeguato alle circostanze. Lo stesso accade con le organizzazioni sindacali che, nella migliore delle ipotesi protestano altrove per il finanziamento delle scuole confessionali badando accuratamente di non fare altrettanto qui da noi. Non si vogliono fare guerre di religione - si dice - e con questo si raggiunge il bell’obiettivo di demonizzare i rari dissenzienti presenti nel territorio della provincia tridentina.
Con questo si apre necessariamente una ulteriore constatazione: quella a proposito dell’opportunismo che molto probabilmente, se non proprio evidentemente, è parte dominante fra le cause di tutta la vicenda. La tesi è elementare e parte dal fatto che vi sia chi va in trasferta a protestare per gli avvenimenti che, in dose anche peggiore, accadono in casa propria. Infatti la Regione Emilia Romagna apre il finanziamento alla scuola dell’infanzia privata, ed ecco che nella patria del Pci-Pds-Ds si spingono i protestatari della Cgil trentina che qui si guardano bene dal mettere in contestazione una legge ben peggiore e ben più costosa di quella. Quindi consapevolezza del vulnus costituzionale, certamente, ma il dissenso si spende con saggio senso dell’opportunità.
Alla stessa maniera pare agire il complesso dei soggetti che animano il vivere collettivo nazionale. Partiti, mass media ed altri ancora fanno le loro brave dichiarazioni di laicità, ma evitano di essere conseguenti.
Evidentemente anche in questi casi vi è consapevolezza della vitale importanza della laicità del fare politica e della laicità delle istituzioni, ma l’opportunità suggerisce comportamenti opposti. Se fosse possibile, c’è da ritenere, il sindaco di Napoli si sarebbe volentieri astenuto dal genuflettersi innanzi al cardinale a cui San Gennaro stava per dispensare l’assoluzione. Ma anche in quel caso l’opportunità ha finito per prevalere e dettare comportamenti adeguati.
In mezzo a tanto diffuso senso dell’opportunità finisce che l’Italia ripercorra i periodi peggiori delle condizioni pre-unitarie. C’è da credere che solamente nello Stato Pontificio vi sia stato tanto desiderio di non sollevare questioni di principio con il vigore che appunto la questione laica richiede, e di seppellire tutto sotto la melma del conformismo esteriore. Magari riservandosi di coltivare in privato quel surrogato di dissenso che si chiama cinismo ed indifferenza.
In fin dei conti se gli uomini politici, i sindacati, i mass-media fanno a gara nel conformarsi e nell’esercizio di adeguare linguaggi e comportamenti al clericalismo popolare, in privato è pur sempre lecito assumere comportamenti dissidenti. Tanto non succede nulla, si potrebbe dire.
Ma così invece non è, perché venendo meno la rigorosa tutela del linguaggio e dei comportamenti che esprimono laicità della politica, s’ingenera l’impoverimento del confronto e si rende di fatto inutile il principio declamato da tutta la nostra Costituzione. Non pare poco. Tanto più se si pensa che anche l’Italia è, e lo sarà sempre più, sottoposta al radicale cambiamento della rappresentatività religiosa. Ed il Trentino ormai registra un terzo delle cerimonie religiose celebrate al di fuori dei templi cattolici.
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l vantaggio del processo di adeguamento è quindi esiguo e comunque effimero. Che il Presidente del Consiglio si riferisca al Papa chiamandolo "Santo Padre" è un fatto che non aumenterà di nulla il consenso verso il suo difficile governo. Che le scuole pubbliche di Roma chiudano perché la capitale d’Italia ospita la beatificazione di Padre Pio, non modificherà il giudizio dei pochi raziocinanti verso questo esempio di involuzione culturale. Ai tempi in cui la Lega Nord predicava la secessione, gli elettori veneti, profondamente ancorati alla tradizione cattolica, premiavano quel partito che predicava anche un anticlericalismo virulento e rozzo come probabilmente mai si era precedentemente registrato. Anzi, la proposta leghista all’epoca comprendeva anche l’idea di portare la Chiesa riformata, protestante, nel bel mezzo del cuore cattolico del Veneto. La Chiesa di Roma era dipinta ed epitetata senza pietà: l’elettorato premiava e condivideva.
Tutta la vicenda che così si è cercato di riassumere appare a questo punto come un triste episodio della storia patria: clericalismo, conformismo, tatticismo e quant’altro possa apparire, sono triste testimonianza delle crisi delle intelligenze e dell’assenza di cultura politica che è caduta sul paese nel bel mezzo della fine dell’utopia delle ideologie e dell’ansiosa ricerca di identità di partiti e movimenti.
Potrà sembrare un paradosso, ma molto probabilmente ad uscire peggio da tutto ciò sarà proprio il sentimento religioso, già insoddisfatto, e che dal conformismo linguistico e dalle immagini non trarrà alcun motivo di soddisfacimento.
Peggio sarà se dopo il prevedibile cambiamento di rotta, al clericalismo di rito dovesse seguire un riverbero di integralismo trascendente ancora più lesivo del laicismo del quale tutto il mondo occidentale si giova da almeno trecento anni.