Una riforma necessaria
Ormai è convinzione diffusa che, in un processo, tre gradi di giudizio siano troppi. Ma quale abolire?
Tra chi si occupa dei problemi della giustizia molti pensano che tre gradi di giudizio sono troppi, appesantiscono la macchina giudiziaria, contribuiscono alla lunghezza dei processi e alla paralisi dell’apparato. La critica è diventata più incisiva dopo l’entrata in vigore nell’89 del nuovo codice di rito che, trasformando il processo da inquisitorio in accusatorio, impone la formazione della prova in dibattimento, garantisce un contraddittorio reale e stabilisce l’effettiva eguaglianza delle parti. Considerata questa nuova situazione, e la paralisi della giustizia, rifare tre volte lo stesso processo appare un lusso che non possiamo più permetterci. Tuttavia la riduzione a due non è semplice e forse non è neppure la soluzione migliore. Intanto, quale grado sacrificare? L’Appello o la Cassazione?
Teoricamente i giudizi di merito sono due, quello di primo grado e l’appello, essendo alla Cassazione riservato il giudizio di legittimità. In pratica però i giudizi di merito sono tre, dato che il controllo della Cassazione è stato talmente allargato da investire il fatto, trasformando la Corte in un giudice di terza istanza. Se si decidesse di abolire l’Appello, bisognerebbe mantenere le attuali possibilità di ricorrere in Cassazione e di riesaminare il fatto.
Secondo il codice di procedura del 1930 la sentenza era nulla se mancava o era contraddittoria la motivazione (art. 475 nº 3): ciò legittimava ai sensi dell’art.524 nº 3 il ricorso per Cassazione. Poiché non è mai stato facile distinguere il riesame del fatto da quello del procedimento logico giuridico viziato da errore, in 1º e in 2º grado, nella valutazione delle prove, era inevitabile uno spostamento sempre maggiore del giudizio di Cassazione verso il fatto, con il conseguente sacrificio della funzione nomofilattica, cioè di mera legittimità. Infatti col passare del tempo la Cassazione è diventata di fatto un giudice di terza istanza nel merito, con conseguenze negative sul piano logistico (aumento dei ricorsi e ingolfamento degli uffici), e anche su quello giurisdizionale: progressivo indebolimento della certezza del diritto e aumento di sentenze contraddittorie su una medesima fattispecie: condanna, assoluzione, annullamento con rinvio, assoluzione, condanna e così via.
La situazione si è aggravata con l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura che ha dilatato la possibilità di scivolare nel merito. Ai casi previsti dal vecchio codice l’art. 606 ha aggiunti infatti la "mancata assunzione di una prova decisiva" e la " manifesta illogicità della motivazione".
La illogicità è cosa diversa dalla contraddittorietà, che è concetto più ristretto. E’ vero che la illogicità deve essere manifesta, cioè di evidenza palmare (ictu oculi), e che deve risultare dalla sentenza stessa e non dagli atti di causa; ma è altrettanto vero che non può trattarsi di illogicità astratta, ma legata alla valutazione di un caso concreto. E’ quasi inevitabile che il controllo della correttezza del sillogismo poggi su una nuova valutazione delle prove.
La giurisprudenza ha ripetutamente stabilito che "la motivazione è illogica quando partendo da premesse accettabili" (in relazione a che? ecco la prima breccia) "sia pervenuta a conclusioni aberranti alla luce della logica comune" (ecco la seconda breccia), "sicché difetti ogni nesso razionale tra le premesse e le conclusioni".
Va sottolineato che premesse e conclusioni non sono numeri o lettere dell’alfabeto (A B C), ma i fatti valutati dalla sentenza sottoposta a riesame. E’ così accaduto che proprio in tema di manifesta illogicità della motivazione si sono verificati i maggiori "scantonamenti" nel fatto da parte del Supremo Collegio, che dovrebbe essere invece di sola legittimità.
A poco a poco, quasi senza accorgersi, si è arrivati a un sistema caratterizzato da tre giudizi di merito, con la conseguenza che i processi hanno cominciato a "impazzire" trasformandosi in palline da ping pong, battute e ribattute oltre la rete della ragionevolezza. L’ultimo esempio clamoroso è stato il processo Sofri per l’omicidio del commissario Calabresi, che in 9 anni ha visto 11 dibattimenti.
Che fare? Si può abolire l’Appello riducendo così a due i gradi di giudizio, ma allora bisogna apertamente riconoscere, con le opportune modifiche legislative, che la Cassazione, oltre che di legittimità, deve essere giudice di merito ad ogni effetto. A me sembra più ragionevole mantenere l’Appello, nella pienezza del riesame del fatto, e ridurre invece drasticamente i motivi di ricorso per Cassazione, restituendo a questa la natura di giudice di sola legittimità (violazione di legge).
Bisogna avere il coraggio di fare delle scelte e vietare il controllo della motivazione in terzo grado. Non è vero che così facendo aumenterebbe il rischio di decisioni arbitrarie. Questo pericolo è praticamente azzerato dopo l’entrata in vigore del nuovo codice, che dispone la formazione della prova nel corso di un effettivo contraddittorio. In ogni caso c’è l’istituto della revisione, che il nuovo codice ha reso più flessibile e di più facile accesso, se non altro per la modifica della formula assolutoria.
Bisogna ricordare che volendo garantire tutti si finisce per non garantire nessuno; e che è inutile avere una macchina giudiziaria perfetta sulla carta, ma che in pratica non funziona.