Malossini: oltre il folklore
Mario Malossini eletto presidente della Compagnia delle Opere: un rientro sulla scena clamoroso, che glissa sulle due sentenze definitive (corruzione e ricettazione). Eppure un ritorno fragile...
La Compagnia delle Opere trentina, modesto miscuglio di affarismo e integralismo, non è mai stata alcunché di veramente importante: del suo presidente, tal Stefanini, in pochi si erano accorti, almeno finché non ha ceduto la poltrona a lui, il Mario dalle 35.000 preferenze. L’evento che ha conquistato le prime pagine di domenica 22 ottobre, non è dunque la presidenza della Compagnia, ma l’incredibile ritorno di Malossini sulla scena pubblica.
Tralasciamo il folklore ("il perseguitato" "l’angelo ridisceso sulla terra" "due sono stati i valori che mi hanno permesso di andare avanti: la famiglia e la Compagnia delle Opere" - ma prima, il Mario, ’sta Compagnia, quando mai se l’era filata?) e arriviamo al sodo. Cosa significa la riemersione dell’ex-presidente? E che portata potrà avere?
Il primo significato è ovvio: un appannamento non solo della lezione di Tangentopoli, ma anche della stessa richiesta di moralità. Quando si passa sopra con non-chalanche a una sentenza di corruzione (villa di Torbole) e a una di ricettazione (tangenti dell’A22) vuol dire che non sono più necessari requisiti di pubblica moralità. Questo almeno è il metro di giudizio di buona parte dei politici; e di una parte dell’elettorato.
Quanto sia grande quest’ultima è un discorso tutto aperto; che riguarda la coesione etica della nostra comunità, i costi sociali del dilagante mito del successo; ma anche, a livello più bassamente elettorale riguarda il potenziale della candidatura Malossini: che sicuramente porterebbe molti voti personali, ma altri ne porterebbe via allaa lista. Con quale bilancio finale?
Di sicuro l’immagine di Malossini in questi ultimi anni e anche mesi ha molto recuperato: un po’ per merito suo (la sua naturale simpatia, la cordialità che ha continuato a esprimere sia nella polvere, come sull’altare; tutta un’altra cosa rispetto ai rancori e le arroganze dell’attuale inquilino di Piazza Dante). Ma anche per i demeriti, tutti politici, dei suoi successori: la sua epoca viene ricordata come l’ultima di una reale - anche se discussa - operatività dell’Autonomia, e viene impietosamente contrapposta all’attuale stallo dell’attività amministrativa, di tanto in tanto interrotto da incomprensibili decisionismi su questioni secondarie e controverse come la Jumela. In questo giudizio non si tiene evidentemente conto del fluire della storia (al di là delle capacità degli uomini, lo sfavillante doroteismo malossiniano, tutto immagine e contributi, possibile nei tardi anni ’80, oggi sarebbe improponibile); ma questo è un dato comune a tutte le nostalgie.
La rentrée fra i politici è stata accolta con accenti molto diversi. Nella sostanza ha prevalso, dietro le pacche sulle spalle, la freddezza. Perché se c’è chi in Malossini vede un partner, prevalgono quelli che scorgono in lui il concorrente, capace magari di portarsi dietro tanti voti per sé, e allontanarne altrettanti dalla lista.
E’ stato molto notata la presenza di Dellai, che per assistere all’incoronazione del Mario alla Compagnia delle Opere trentina, ha marinato quella di Rutelli a leader dell’Ulivo nazionale. Clamoroso. E significativo.
Di almeno tre cose. Primo: viene ribadita la nota allergia del presidente alla questione morale. Secondo: vengono confermate come illusorie le velleità di trasformare Dellai in leader nazionale; da Roma possono anche usare il nome "Margherita", ma a spartire le leve della partitocrazia con l’oscuro presidente di provincia, non ci pensano proprio, se anche resta a Trento non se ne accorge nessuno. Terzo: a Dellai dell’Ulivo non importa proprio niente, è uno strumento transitorio, e gli appuntamenti nazionali si possono tranquillamente marinare per presidiare invece l’elettorato della Compagnia e di Comunione e Liberazione, sicuramente di centro-destra (la sua espressione politica più autentica è Formigoni) ma appunto, non si sa mai…