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QT n. 18, 14 ottobre 2000 Servizi

“La seconda ombra”: ricordando Franco Basaglia

Turri Romano

"Quando gli infermieri mi massacravano di botte con la pretesa di curarmi, io mi rifugiavo nella mia seconda ombra, e non sentivo il dolore". Una frase come tante altre ascoltata dalla voce di un ex internato nel manicomio di Gorizia nel film di Silvano Agosti dal titolo, appunto, "La seconda ombra", proiettato nel corso del convegno di Trento. Una frase che rivela la brutalità e gli orrori perpetrati a persone internate nei manicomi, costituiti da cancelli, inferriate, porte e finestre sempre chiuse; luoghi dove catene, lucchetti e serrature imperavano sovrani. Luoghi dove le "cure" più comuni erano la segregazione nei letti di contenzione, la camicia di forza, il bagno freddo, l’elettroshock, la lobotomia (asportazione dei lobi parietali, cioè di una parte del cervello). Luoghi, infine, dove le giornate trascorrevano in immensi saloni tra il fumo delle sigarette, i canti e le preghiere imposte dalle suore.

Che cos’è quella seconda ombra nella quale si rifugiava quel malato mentale? Il significato ce lo spiega lo scrittore Paulo Coelho nel suo libro "Veronica decide di morire": "Il vero Io è quello che sei, non quello che hanno fatto di te". La seconda ombra rappresenta ciò che ognuno di noi avrebbe voluto essere e gli è stato impedito: le nostre aspirazioni, i traguardi mancati... L’Io superiore, non l’Io inferiore che siamo costretti a vivere. Un mondo irreale dove la persona vive felice, perché è il suo mondo, un mondo onirico. Ed immersi nei propri sogni molti malati mentali riuscivano in qualche modo a sopportare la detenzione in un ospedale che tutto era meno che un luogo di cura.

Tutto questo ci racconta Silvano Agosti nel suo film proiettato venerdì 6 ottobre nella sala della Regione, e questo è quanto constatò il giovane medico Franco Basaglia al suo primo incarico di Direttore dell’Ospedale psichiatrico di Gorizia.

"Un malato di mente entra nel manicomio come ‘persona’ per diventare una ‘cosa’. Il malato, prima di tutto, è una ‘persona’ e come tale deve essere considerata e curata (...) Noi siamo qui per dimenticare di essere psichiatri e per ricordare di essere persone" - ripeteva Basaglia ai medici ed agli infermieri del suo manicomio.

Con questi pensieri ebbe inizio la sua battaglia durata oltre dieci anni e che decretò la chiusura dei manicomi in quanto luoghi di detenzione, di isolamento e non di cura.

"Siete liberi di andare a passeggiare nel parco, e se non siete in grado di farlo da soli, un infermiere vi accompagnerà" - ripeteva ai suoi pazienti. Così furono aperti i cancelli ponendo i malati nella condizione di essere liberi di passeggiare nel parco. Per loro iniziò una nuova vita fatta di pranzi consumati all’aperto e di canti accompagnati dalle note di una chitarra. L’apoteosi di tutto questo culmina con un matrimonio fra due ricoverati, con la canzone "Vola colomba bianca vola" cantata da una paziente che non parlava da oltre un decennio ed un parto, simboli entrambi di nuova vita.

Ma rimaneva ancora l’alto muro di cinta che costituiva, di fatto, la loro detenzione. E Basaglia volle l’abbattimento di quel muro. Nell’arco di una nottata, con i falò che riscaldavano ed illuminavano la zona, i malati, armati di picconi e di badili, cominciarono ad abbattere il muro che, alle prime luci dell’alba, risultava appena scalfito. Sembrava un titano a guardia della detenzione manicomiale; ma una ruspa abbatté anche l’ultimo titano, mentre i malati gridavano "Liberi! Siamo liberi!".

Il film "La seconda ombra" nasce dalla convinzione che nel nostro Paese la figura di Franco Basaglia sia stata una delle più rilevanti nella seconda metà del secolo appena trascorso. Pochi come lui si sono proposti di liberare il maggior numero possibile di persone inutilmente e crudelmente recluse all’interno delle istituzioni manicomiali. Si trattava di 150.000 persone che venivano letteralmente segregate nei 144 manicomi, spesso per ragioni completamente estranee alla psichiatria, quasi sempre solo per giustificare sovvenzioni pubbliche e talvolta senza la possibilità per il malato di essere dimesso dopo la sua guarigione, in quanto la legge allora in vigore (legge Giolitti, 1906) attribuiva al direttore del manicomio la piena responsabilità civile e penale del paziente anche dopo la sua dimissione. L’opera di Basaglia sfociò nella legge 180, che mise fuori legge i manicomi.

Anche su questo provvedimento si è fatta un’inutile confusione: si è detto che questa legge ha buttato sulla strada persone bisognose di cure, creando ai familiari non pochi disagi. In realtà la legge prevede strutture ben precise per affrontare il disagio della malattia mentale e in centri come Trento e tanti altri, dove la legge viene applicata, la situazione è soddisfacente.

Il film, inoltre, presenta un momento fondamentale dell’azione riformatrice di Franco Basaglia quando, per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica e dello Stato sul problema dei manicomi, decide di abbattere fisicamente le strutture che rinchiudono i malati per costruire un rapporto più diretto con la comunità.

In questo senso la strada è senz’altro lunga e difficile, ma quando l’opinione pubblica si sarà scrollata di dosso i pregiudizi che da sempre avvolgono la malattia mentale e sarà più sensibile a questi problemi, anche la legge voluta da Basaglia sarà più attuabile.