Fuori Mozart da Bolzano
Le dimissioni di Mark Günther. Ossia, come i sudtirolesi non hanno bisogno di nessuno che venga da fuori.
La prima volta che lo sentii di persona, fu dall’assessore all’ambiente Achmüller. In risposta ad un mio invito a tener conto della legge sulla valutazione dell’impatto ambientale del Trentino, che era stata la prima tra le regioni a dotarsi di questo strumento importantissimo per una gestione intelligente e democratica del territorio - mentre Bolzano era rimasta una delle ultime in Italia: “Non abbiamo proprio niente da imparare dai trentini”- disse secco.
Come è noto, la legge sulla VIA di Bolzano fu poi fatta sulla falsariga di quella olandese (notoriamente un paese che ha caratteristiche fisiche molto simili al Sudtirolo) e nulla riuscì a smuovere l’assessore SVP, nonostante i ripetuti inviti della CIPRA alle regioni alpine affinché adottino strumenti di governo del territorio calibrati sulle limitate risorse del sistema ecologico delle Alpi.
Esiste una diffusa consapevolezza nel Sudtirolo di oggi, molto benestante e poco istruito, che “noi” siamo meglio di tutti, sappiamo fare tutto, e non abbiamo niente da imparare da nessuno. Succede che in alcuni casi si ritenga indispensabile, da parte di chi governa, di “importare” persone che sappiano dirigere o dare un impulso a settori in cui non esistono localmente competenze specifiche.
Il governo germanico ha invitato migliaia di esperti di informatica soprattutto dall’area asiatica, concedendo loro una green card, un permesso di soggiorno di cinque anni, per superare in tempi brevi il gap di informazione nel settore informatico. In Sudtirolo è successo con un medico altamente specializzato, proveniente da Francoforte e con un manager del marketing turistico. In entrambi i casi il tessuto sociale esistente ha reagito prontamente, isolando gli “estranei” ed espellendoli. Fra le polemiche, voci autorevoli hanno ricordato agli avventati amministratori che tra di “noi” c’è di meglio e che è inutile cercare all’esterno. Non abbiamo nulla da imparare.
Quando lo stesso è avvenuto con Mark Günther, chiamato due mesi fa per fare il direttore del nuovo teatro comunale, le persone non disposte a convincersi della superiorità intrinseca degli abitanti di questa provincia, hanno provato un senso di allarme. A differenza di tutti i dirigenti e di tutti coloro che ricoprono posizioni di responsabilità nella nostra bella provincia, Mark Günther aveva fin dal suo arrivo detto apertamente quali erano le sue intenzioni e le sue condizioni. Voleva creare un teatro dove potesse crescere l’alta cultura, il che significa iniziative culturali senza distinzioni di lingua e cultura. Oltre a diventare la “casa” per il Teatro Stabile e per il VBB, il teatro di lingua tedesca di recente formazione, il nuovo direttore, proveniente da una lunga e importante esperienza a Graz, voleva realizzare operette, musical e balletti, un genere in grado di diventare attraente per un pubblico indiviso etnicamente.
Forse ha fatto l’errore di dirlo con troppa chiarezza. Senonché nessuno nel baraccone politico-amministrativo della Fondazione fatta nascere per gestire insieme teatro e auditorium gli ha contestato i suoi obiettivi. Solo, alla fine, i soldi, pochi fin dall’inizio, non c’erano più. Beninteso, la Provincia di Bolzano investe più della media in cultura, non troppo di più, ma un po’ sì. Tuttavia sotto la voce cultura passano un sacco di cose. La necessità di drenare denaro per motivi clientelari tuttavia non spiega del tutto l’esito per ora desolante che ha avuto la vicenda.
Günther si è ritirato nella convinzione che non esistano le condizioni per lavorare per un direttore di teatro che non sia solo un impiegato. Durnwalder ha commentato: “L’ha fatto solo per soldi”. Gli altri hanno subito proposto - appunto - un impiegato.
Il fatto è che a Bolzano, una delle città del nord più distrutte dalla guerra, per vedere la ricostruzione, solo il teatro ha dovuto aspettare più di cinquant’anni. Ed è nato fra meschine polemiche, che ne mettevano in dubbio l’utilità, essendoci tante belle case della cultura in periferia, con i loro bei pavimenti di legno adatti al ballo liscio e tradizionale. Per la città poi erano stati gli stessi politici democristiani che avevano ritenuto del tutto secondario un teatro per la città, preferendogli il finanziamento dei teatrini parrocchiali.
Poi era arrivata la prima fase del governo Durnwalder. Apparso nel 1989, promise e mantenne un atteggiamento diverso da quello tradizionale verso la città capoluogo, vista dalla SVP per decenni con un sentimento fortemente antiurbano. E fu dato il via libera alla realizzazione di case, di cui la città con un numero impressionante di sfratti aveva disperatamente bisogno, e di infrastrutture culturali adeguate ad un capoluogo. Seguirono i palazzi provinciali e l’aeroporto.
In questo decennio di realizzazione di grandi opere pubbli- che, le polemiche della destra SVP si appuntarono feroci sul teatro. Franz Pahl faceva le interrogazioni in Consiglio provinciale, chiedendo quanto sarebbe costato e l’assessore Hosp rispondeva affermando di non sapere se mai sarebbe stato possibile riempirlo ed esprimendo preoccupazione perché magari sarebbe stato necessario perfino pagare degli stipendi a persone che ci lavoravano in pianta stabile. Il confronto con i teatri europei, soprattutto austriaci, svizzeri e tedeschi, situati in cittadine come Bolzano o grandi come un terzo di Bolzano, dimostrava un impegno pubblico e degli investitori privati verso la cultura di proporzioni consistenti.
Il teatro è stato costruito in poco tempo, il costo è stato ampiamente inferiore al preventivato e non è rimasto a chi lo aveva osteggiato che puntare a ignorare le necessità di una struttura che ha bisogno di essere riempita per non rimanere una pura realizzazione edilizia. Investire in modo adeguato in questo settore, significa infatti ridurre il finanziamento a pioggia e soprattutto spostare l’investimento pubblico dal settore amatoriale e folkloristico (e clientelare) a quello della cultura, che unisce ed eleva. Insostenibile, per chi come Hosp condivide l’orrore per il multiculturalismo e ha scritto un decalogo per il nuovo millennio ispirato al catastrofismo di Huntigton, immaginando invasioni musulmane per l’Europa e appellandosi alla necessità della cultura europea di difendersi dallo straniero.
Meno chiaro il percorso di Durnwalder, che dieci anni fa sembrava comprendere la necessità indifferibile di accompagnare allo sviluppo economico quello culturale e dell’istruzione, e che oggi invece sembra soddisfatto dei risultati ottenuti nel campo edilizio. A meno che la paura non sia quella di sempre: che nasca in Sudtirolo un Mozart che compone musica su libretto italiano.