Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

Com’era verde la mia valle …

Arredo urbano in val Rendena.

La val Rendena, una delle più belle del Trentino dal punto di vista ambientale e artistico, ha saputo in buona parte conservare le sue caratteristiche e la sua integrità. Nonostante l’esempio negativo della vicina Madonna di Campiglio, i paesi della valle hanno coniugato in modo sostanzialmente armonico esigenze abitative e turistiche con l’impianto urbanistico esistente e le tipologie edilizie tradizionali, grazie ad un’oculata regia dell’edilizia privata da parte dell’ente pubblico e, perché no, grazie al buongusto dei privati.

Quest’equilibrio tuttavia è stato alterato pericolosamente negli ultimi tempi e proprio dalle amministrazioni comunali della valle, quelle che un tempo gestivano i beni collettivi, boschi e pascoli, ma anche pubbliche costruzioni, gestione esemplare testimoniata dalle antiche carte di regola.

Negli ultimi tempi la rovinosa moda dell’arredo urbano ha portato a realizzazioni che fanno a pugni con il contesto a Strembo, Carisolo, Caderzone, Pelugo, Vigo Rendena….

L'arredo urbano a Villa Rendena: un raro esempio di discrezione, manufatti misurati, in materiale locale.

Solo a Villa Rendena l’intervento di arredo è avvenuto in maniera discreta ed equilibrata rispettando lo spazio attorno alla chiesa.

Le foto che corredano la rubrica sono eloquenti: tipologie astruse, alterazione degli spazi, materiali non pertinenti hanno introdotto nell’urbanistica dei villaggi rendenesi degli elementi di disturbo che si possono definire vere e proprie cacofonie.

"Cacofonie" è appunto il titolo dell’intervento realizzato da Carmen Chiomento al convegno di Italia Nostra in materia di arredo urbano del dicembre 1997, intervento che costituisce una lucida analisi del fenomeno dell’arredo urbano, dei criteri che dovrebbero ispirarlo e delle sue distorsioni. Ci pare utile riproporlo in questa sede.

Che cosa ci rafforza e ci dà un senso di sicurezza e protezione, che cosa è pronto ad accoglierci e ci rasserena l’animo quando la tempesta imperversa? La familiarità.

La familiarità con un tessuto sociale, ma anche con un luogo. Il luogo d’appartenenza raggruma sensazioni, ricordi, modi di essere, di vivere: ci àncora saldamente con le generazioni che furono prima di noi. E’ allora parte integrante della nostra identità.

Biologica: è accertato che vi è un’abitudine genetica all’assimilazione di determinate sostanze.

Psicologica : la geomorfologia del territorio ha condizionato e condiziona il modo d’essere e di comportarsi dell’uomo che vi abita.

L’ambiente dunque, sia quello naturale che costruito, interagisce vivamente con noi e può far vibrare con dissonanze e consonanze i nostri livelli di consapevolezza, sia fisico che psicologico e intellettuale.

L’impatto con il paesaggio, antropizzato o naturale, in fondo non è molto diverso dal penetrare in casa di una persona sconosciuta: l’arredamento e le scelte di gusto estetico ad un’attenta analisi possono segnalare le mille sottili sfumature della personalità di chi abita. (….)

Collocare oggetti nel territorio, scolpirlo, plasmarlo sono gesti di grande responsabilità, perché il manufatto irradia la propria personalità nel circostante e la sua forza intesse tutta una serie di relazioni che costruiscono il carattere dell’ambiente nell’interezza della sua complessità.

L’architetto dovrebbe interrogarsi sulle vicende politiche e sociali, ma ancor più umane e psicologiche, che hanno costruito poi parte integrante dell’anima di un progetto architettonico. La lettura attenta e scrupolosa di questi dati coniugata con l’umiltà intellettuale detteranno il "giusto" intervento, quello cioè in grado di svelare e dar voce al genius loci lì incarnato. Se ciò non riesce, allora si può parlare di saccenza ed arroganza che umiliano e sviliscono quell’aura che i secoli del passato ci hanno lasciato in eredità. Distruggere quell’aura alla ricerca della spettacolarizzazione ad ogni costo, degli effetti speciali che ci devono stupire e cogliere di sorpresa come al luna park, è far violenza a noi stessi prima che a quel luogo.

La riflessione metodologica allora arriverebbe ad orientarsi sulla linea di pensiero in cui opera la speculazione greca, fatta propria anche dall’architetto Louis I. Kahn. Vale a dire, il punto di partenza di qualsiasi ipotesi di intervento dovrebbe essere il "che cosa" è stata quella piazza o quel sito. Dalla profonda comprensione della natura di un luogo così come si è venuto a sedimentare nei secoli, dalla sua speciale identità architettonica, che riflette anche quella sociale, psicologica e storica, dovrebbe scaturire la soluzione.

Molto spesso invece - mi sembra si possa rilevare - ci si è chiesto soltanto il "come" doveva essere effettuato l’intervento, partorendo poi, con il nobile scopo di arricchire e valorizzare ulteriormente il sito, dei collages metafisici alla De Chirico, dove il sagrato di una chiesa medievale diventa un anfiteatro. L’improprietà e l’inadeguatezza allora non sono solo voce di un’estetica cacofonica, ma investono anche livelli di significato che fanno deflagrare l’essenza più profonda del manufatto più antico.

La giustapposizione di etimi diversi all’interno di un’opera - si pensi ad una cattedrale costruita nel corso dei secoli - è di potente forza espressiva soprattutto per due motivi: ogni intervento che viene stratificandosi è quasi sempre illuminato da un fondamentale rispetto per le forme esistenti.

Secondo: ogni forma costruisce il suo valore perché attinge al significato. Nell’esempio sopra riportato la tipologia dell’anfiteatro ridotta a scala infantile e schiantata davanti alla chiesa mi sembra un atto di abiura nei confronti della storia e un segnale della vacuità di senso che trova il suo cardine nell’estetica del post-moderno.

La nostra storia non è una bella fiaba di Walt Disney e le pietre di un manufatto architettonico sono lì da secoli a testimoniare la fatica e la sofferenza, ma anche l’orgoglio e la fierezza delle generazioni che le hanno interpretate, e per tutto ciò dobbiamo loro profondo rispetto.

Il sagrato di una chiesa o la piazza di un centro storico, riletti in questa luce, sono realmente spazi sacri non solo perché appartenenti alla memoria collettiva della comunità, ma anche in quanto si collocano nella sfera del sentimento che veicola la contemplazione e la riflessione piuttosto che l’azione. Essi riescono a concretare sia per il visitatore che per l’abitante un tempo sacro nel quale dar espressione alle vibrazioni della propria anima.

Concludendo, riteniamo fondamentale che ogni intervento di arredo urbano debba avere un fondamento etico e debba essere un omaggio al genius loci nel quale si connatura il principium individuationis di una comunità.