Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 3, 5 febbraio 2000

Qualcosa di sinistra

Il Piano Regolatore di Rovereto. Per una città che ricerca se stessa: identità, rispetto dell’ambiente, nuovo sviluppo. Il tentativo di fare un Piano legato all’idealità, eppure pragmatico: riuscirà?

"Premetto che condivido il senso generale del Piano..." "L’idea di fondo mi trova concorde..." Era con queste parole che iniziavano più o meno tutti gli interventi dei cittadini ad una delle assemblee di illustrazione del nuovo Piano Regolatore. Poi partivano i "però", le critiche, le preoccupazioni: "Non è che siamo costretti a ristrutturare il nostro portico?"; "Ma come, lasciate che si alterino i cornicioni degli edifici storici?"; "Prevedete una nuova strada statale; non nasce già vecchia?"

Il consulente del Piano prof. Cervellati, celebre e celebrato, l’assessore all’urbanistica Manuela Bruschetti, donna forte dell’amministrazione roveretana, rispondevano decisi: "Stiamo dicendo la stessa cosa... le sue preoccupazioni sono superflue... non vorrei che nascessero leggende metropolitane..." Evidenziando idee chiare, sostanziale consonanza con le aspettative dei cittadini, ma cattive capacità di comunicazione.

Un Piano Regolatore è sempre la prova principale per un’amministrazione comunale: è lì, nel progettare il futuro della città e dei cittadini, il compito vero, il più alto; ma anche il più difficile: in tanti casi sono le pressioni degli affarismi a risultare vincenti; e in tanti altri, ancor più numerosi, i bei progetti disegnati sulla carta tali rimangono, e nella pratica viene poi avanti una città informe, senza anima e senza razionalità. E così a Rovereto, per la prima giunta di sinistra il Prg sarà il banco di giudizio vero: quello attraverso cui conta di lasciare un’impronta nella storia della città.

"Voi di QT che siete sempre così critici: fate un’inchiesta sul nostro Piano Regolatore - ci invitò alcuni mesi fa il sindaco Bruno Ballardini - E vedrete se stiamo o non stiamo facendo qualcosa di sinistra."

Il Piano poggia su alcuni puntibase chiari (e, come abbiamo visto, condivisi dai cittadini, una volta che sono stati loro spiegati. Primo punto: è finita la fase dell’espansione della città, che ha caratterizzato i decenni - e soprattutto i Prg - precedenti: nel ’70 si prevedeva una città di 50.000 abitanti, oggi sono 33.000 e le proiezioni demografiche prevedono per il 2007 addirittura una contrazione, a 31.000 abitanti. D’accordo, la frantumazione delle famiglie induce - e ancor più indurrà - il bisogno di nuovi alloggi: ma sarà un bisogno contenuto. Si può quindi lavorare non più per l’espansione, ma per la qualità.

Si può? Si deve. Perchè il problema di Rovereto oggi è quello dell’identità. Nei roveretani non c’è più quel particolare orgoglio, così distintivo fino a 15-20 anni fa, di essere della "città della Quercia" dell’ "Atene del Trentino". E questo dell’identità è un problema di tutti oggi, nell’era della globalizzazione, ma probabilmente lo è di più per i roveretani, che la propria identità l’hanno vista evaporare così in fretta e così di recente. "E noi ci riproponiamo di ricostruire l’identità dei luoghi, il senso di appartenenza" - spiega Bruschetti. Per creare un rinnovato senso di cittadinanza, "per riconquistare una forma di sentire comune"; per fornire la città di quel mix di cultura, ambiente, qualità della vita, che anche dal punto di vista economico rappresenta una carta in più, e non solo per il turismo.

Di qui tutta una serie di scelte. L’estrema attenzione - inusuale in un Prg - al "non costruito", a iniziare dai terreni agricoli, che acquistano un’insolita centralità. La valorizzazione dei centri storici (al plurale: non solo quello di Rovereto, ma anche dei quattro ex-Comuni - Sacco, Marco, Noriglio, Lizzana - unificati nel 1919, e ora a rischio di inglobamento in un’unica indifferenziata entità urbana: dinamica che il Piano vigorosamente contrasta).

La scelta strategica di "espandersi sul già espanso, costruire sul costruito" - come dice Cervellati.

La ricerca di tutte le aree marginali o degradate, per riprogettarle con l’obiettivo della riqualificazione; recependo, anzi enfatizzando la tendenza dell’urbanistica di questi anni, quella del "c’è una fabbrica dismessa, un grande deposito che non serve più? Ottimo, riprogettiamo l’area e ne facciamo il punto centrale del quartiere".

Tutto questo implica che non ci sono espansioni in aree vergini, non ci sono lottizzazioni: in parole povere, non ci sono margini per grandi operazioni immobiliari di tipo tradizionale. "Abbiamo soprattutto cercato di andare incontro, ove possibile, alle tante singole esigenze (ampliare la casa, alzare di un piano...) - ci dice Bruschetti - Seguendo però il principio di evitare lo sparpagliamento di case, e dare invece più l’idea di centro. Anzi, di più centri: passare per esempio da un nucleo di 7 case vecchie a uno di 12-13, rinnovando e aggiungendo, e dando così un’idea più di piccolo centro, di comunità. Il modello che vogliamo combattere è lo ‘svillettamento’ alla veneta: che annulla l’identità, manda in pezzi la solidarietà sociale."

Una siffatta impostazione della futura Rovereto ha raccolto, dicevamo, ampi consensi ("le premesse culturali sono senz’altro condivisibili" - ci dice, fra gli altri, Antonio Gurrieri, consigliere già di Forza Italia e ora di Rovereto 2000, lista civica che ambirebbe essere una sorta di Margherita roveretana del centro-destra). Ma parallelamente ha suscitato perplessità. Come era logico: quando si parla di "qualità", "attenzione", "identità", si suscitano timori di freni all’economia. E’ il dilemma qualità-quantità, a ragione o torto sotteso a tante diatribe.

Queste perplessità erano apparse nella stessa maggioranza di centro-sinistra, incrinandone vistosamente la compattezza: "Questo è un piano ingessato, conservativo", non consente cioè uno sviluppo economico in termini espansivi - dichiarava alcuni mesi fa Renzo Michelini, esponente di punta del Partito Popolare nonchè ex-sindaco. Poi, non sappiamo se in seguito ad una lettura più meditata del Prg, oppure a qualche contropartita politica, l’opposizione di Michelini è rientrata.

Più che a una dilatazione della residenzialità, il problema dello sviluppo sembra legato alle aree di espansione per industria e artigianato. "L’area industriale non si può espandere - afferma Bruschetti - però si può aumentare l’indice di copertura (ossia piazzali meno grandi, cosa praticabile solo in caso di industrie innovative n.d.r.). Ma soprattutto tra poco saranno pronte le aree ex-Alumetal e Casotte per un totale di 70-80 ettari: una localizzazione in comune di Mori, con il quale abbiamo già concordato la cosa." E su questo l’opposizione sparge scetticismo a piene mani: "Siamo sicuri che Mori è d’accordo? Che quelle localizzazioni in aree di pregio, che intercettano notevoli flussi di traffico, vadano bene? Mah..." - afferma Gurrieri.

Il Piano però non affronta il discorso-sviluppo solo sul versante (indispensabile ma riduttivo) delle aree per i capannoni. "Noi abbiamo una sorta di ‘collezione’ di imprese: dobbiamo avere invece un ‘sistema’" - afferma Bruschetti. E come? Attraverso il binomio servizi e formazione; e più in generale fornendo una città recettiva dell’innovazione e globalmente attrattiva: e quindi cultura, turismo, ambiente...

Su alcuni di questi fronti (turismo, attrattività) l’urbanistica può fare molto. Su altri può fornire delle precondizioni, "poi spetterà alla politica, alla società andare avanti" - dice Bruschetti, allargando un po’ le braccia.

Le allarghiamo anche noi: il Piano prevede una serie di attività di formazione, terziario avanzato, università e ricerca, localizzate in maniera che possano interagire tra loro e con la città, divenendone punto di riferimento. Bene. Di più a un Prg non si può chiedere: se poi il Mart risultasse un baraccone, l’università non decollasse, le industrie rimanessero tecnologicamente indietro, le responsabilità sarebbero altrove.

Equi arriviamo al secondo grosso punto: la realizzabilità, il realismo del Piano; che è l’aspetto - come dicevamo in apertura - su cui l’urbanistica ha spesso fallito, disegnando tante bellissime ipotesi, rigorosamente rimaste sulla carta. L’arch. Bruschetti, donna pratica, ha fatto della realizzabilità un punto di partenza. Ponendo tre obiettivi: gli interventi previsti devono essere calibrati rispetto ai soldi investibili; la normativa deve essere immediatamente operativa, nel senso che, approvato il Piano, il cittadino deve poter muoversi presentando domanda di concessione edilizia, senza dover aspettare piani attuativi, regolamenti, ecc; attorno al Prg occorre far crescere un consenso.

Bruschetti e Cervellati - e qui sta l’aspetto più innovativo - hanno pensato di affrontare questa serie di problemi collegandoli a un punto di eterno dibattito tra i tecnici del settore: la riunificazione del momento dell’urbanistica con quello dell’architettura. Il Piano non deve essere solo norma, vincolo, ma anche proposta architettonica, nuova fisionomia. Deve elevarsi dalla bidimensionalità delle mappe, per svilupparsi in altezza, acquistare la terza dimensione, quella del progetto architettonico: e così diventare anche esigenza estetica, mezzo per rafforzare l’identità dei luoghi, strumento comprensibile al più vasto pubblico.

Okay. Ma come? Il Piano nelle sue fasi iniziali ha individuato otto aree dismesse o marginalizzate, ma in realtà in posizioni strategiche e che si prestano, perché già pubbliche o facilmente acquisibili, ad opere di riqualificazione, attraverso progetti che stiano a cavallo tra l’urbanistica e l’architettura. Su queste otto aree (e conseguenti otto progetti) ci sono stati altrettanti concorsi, cui hanno partecipato 32 gruppi di professionisti, mobilitando capacità e mettendo in circolo idee.

Questi i presupposti. Oggi abbiamo i risultati, con gli otto progetti (intendiamoci, non sono progetti definitivi, si tratta di indicazioni, prescrizioni volumetriche, indicazioni di obiettivi, del tipo "il tale edificio deve essere progettato come fondale dell’asse stradale pedonale"). Comunque gli elaborati effettivamente danno il senso della città che cambia, degli obiettivi che si vogliono raggiungere (per esempio, la riqualificazione del Leno con un parco urbano in località Baldresca; una nuova grande piazza pedonale con parcheggio interrato all’attuale centralissima autostazione, per connettere gli adiacenti edifici storici e creare un luogo di aggregazione; la bonifica della zona retrostante la stazione, con la creazione di un nuovo asse stradale, in gran parte interrato, su cui andrà spostato il traffico della statale del Brennero, con una serie di connessioni che sottopassano la ferrovia, attestamenti verso la stazione ferroviaria e un nuovo terminal delle corriere, e percorsi pedonali a livello differenziato, cioè al suolo nei tratti di strada interrata, e altrimenti su passerella).

"Il giudizio finale su quest’esperienza decisamente innovativa non può essere che positivo - ci dice l’arch. Bruno Sandri, progettista dell’area ex-Merloni - Questa riunificazione di urbanistica e architettura è stata una nostra esigenza rivendicata ormai da anni. E credo che il lavoro delle varie équipe sugli otto progetti sia riuscito a porre delle ragionevoli basi per interventi di qualità."

In queste aree effettivamente tutte le procedure saranno immediate: approvato il piano, basterà la licenza edilizia (mentre per il restante della città alcuni tecnici avanzano dubbi sulla snellezza della normativa). Sul fatto invece che i progetti siano commisurati alle risorse c’è qualche dubbio: "Se in queste aree l’Ente Pubblico resta fermo, cosa succederà? - si chiede l’arch. Sandro Aita - Si muoverà il privato? Non si farà niente?"

Da ultimo il problema della mobilità, su cui in Trentino ci si accapiglia, anche se talora è in realtà l’ultimo dei problemi. La rissosetta Rovereto di questi anni è stata all’avanguardia nell’inventarsi un problema-traffico. Affondato a furor di popolo il piano Oikos (perché "le automobili andavano troppo veloci", ossia il traffico era troppo scorrevole), è subentrato il piano Gelmini-Bruschetti, basato su presupposti opposti (spostamento dei flussi sulla statale, e semafori a gogò) e anch’esso è stato subito bersagliato da critiche ferocissime. Ora, dopo alcuni mesi, ci si è abituati, le proteste si sono notevolmente affievolite e - pur con tutte le riserve sull’orgia semaforica, sadicamente protratta sull’arco delle 24 ore - il piano funziona.

Il Prg comunque deve prevedere degli interventi. A cominciare da una sempre promessa metropolitana Trento-Rovereto, di cui sono indicate le stazioni, connesse con il contesto urbano.

L’intervento più rilevante è però quello sulla SS 12 del Brennero, in pratica spostata ad ovest della ferrovia, sempre a due corsie, su cui andrebbe il traffico di attraversamento di Rovereto (che poi è solo il 15% di quello supportato dall’attuale sede); mentre l’attuale statale verrebbe declassata a strada urbana (anche se con limitati interventi di "umanizzazione", si preferisce convogliare i pedoni su assi pedonalizzati più interni).

Sul lato est della città, c’è invece l’annosa questione della cosiddetta "strada di gronda", collegamento sempre evocato o paventato, e mai seriamente impostato. Bruschetti è chiara: "Non c’è bisogno di una tangenziale est, siamo in presenza di traffici modesti."

Il problema viene visto sotto due aspetti. Il primo è l’accesso ad una serie di luoghi turistici (ossario, campana, zona paleontologica, zona naturalistica, i sentieri della pace), attualmente raggiungibili solo dal centro e non collegati tra di loro. Per ovviarvi si prevede una strada che dal casello di Rovereto sud li ragiunga collegandoli, e poi, in sinistra Leno, un modesto parcheggio con collegamento pedonale con piazza Podestà e il castello.

Il secondo problema è l’accesso dalle valli in città, che attualmente piomba brutalmente in centro, in piazza Rosmini e piazza Podestà, con un traffico limitato ma molto disturbante. Si prevedono due bypass: dalla Vallarsa un ponte sul Leno che sposti il traffico verso via Benacense; da via dei Colli un collegamento (sotterraneo?) direttamente in corso Bettini, evitando il traumatizzante atterraggio in piazza Rosmini.

"Sono proposte dalla non semplice realizzabilità" - è il commento dell’arch. Aita.

"Probabilmente non ci sono stati i tempi per verificare queste ipotesi, che sembrano difficilmente praticabili" - concorda Gurrieri.

Giudizio finale? I nostri interlocutori parlano di piano innovativo ("ma non nel dare indicazioni sulla qualità delle costruzioni - rileva Aita - Forse perché ci si è incentrati su un lodevolissimo recupero dell’esistente e non si è posta attenzione alla qualità del nuovo, che altrove viene incentivata con premi in volume per le costruzioni che rispettino standard di consumo energetico, di inserimento nel verde, ecc").

Di sicuro siamo in presenza di un grosso sforzo per coniugare alcune idee-base: rispetto dell’ambiente, riuso dell’esistente da una parte; nuovo sviluppo basato su formazione-cultura-ricerca dall’altra; identità, cittadinanza dall’altra ancora. Il tutto con un occhio ai limiti di spesa.

I cittadini, da quanto abbiamo visto, sembrano apprezzare quest’impostazione. L’opposizione pacata, rappresentata da Gurrieri, non solleva pregiudiziali, e preferisce interloquire. Ma in Consiglio comunale, per una serie di ragioni, ormai tra la maggioranza e l’insieme dell’opposizione si è sempre allo scontro frontale. Su tutto, figuriamoci su un Prg che la Giunta ritiene la propria realizzazione più significativa.

Il sindaco Ballardini ha comunque una via d’uscita: una (demenziale) legge del ‘98 stabilisce una serie d’incompatibilità, per cui se un cugino è proprietario di un qualche cosa (area, appartamento) il cui valore viene in qualche maniera modificato dal Piano, il consigliere non può votarlo. Risultato: il Prg non l’approverà il Consiglio comunale, bensì un commissario.

Non è il massimo della democrazia. Ma non lo è nemmeno un (altrettanto demenziale) regolamento del Consiglio comunale che permette la paralisi per ostruzionismo.

C’è solo da sperare che tutto questo non incarognisca un dibattito che altrimenti potrebbe essere proficuo.