La sterile ricerca della perfezione
Note sul caso Beltrami
Giuliano Beltrami lo conosciamo da una quindicina d’anni, ufficialmente è anche collaboratore di questo giornale (sia pure molto parco nei suoi interventi), e anche se non ci ha mai invitati a dormire a casa sua (come ha fatto con l’inviato delle "Iene") crediamo di saperne abbastanza di lui per apprezzarlo non solo e non tanto come un uomo attivo e pieno di interessi, ma come una persona acuta, allegra, auto-ironica: un gran bel tipo, insomma, e non scendiamo in ulteriori particolari per non ferire il suo pudore. E proprio partendo dal sacrosanto principio che l’interesse del minore va anteposto ad ogni altra considerazione, mi verrebbe da dire: fortunato il bambino che ha come genitori due persone come Giuliano e sua moglie!
Ma qui non vogliamo soffermarci su una testimonianza privata, né tanto meno riecheggiare i toni troppo emotivi di molte lettere comparse sui giornali che arrivavano ad insolentire gli autori di quel rifiuto. Vorremmo invece sottolineare una evidente stonatura che constatiamo in questa vicenda.
Sui giornali, nazionali e locali, che hanno raccontato e commentato quella vicenda, sono apparsi a più riprese dati e grafici da cui sembravano emergere due circostanze:
1. la netta sproporzione fra domande di adozione e adozioni andate in porto, e dunque la severità di chi valuta le coppie.
2. L’altrettanto netta sproporzione fra bambini italiani e stranieri oggetto di adozione, molto più numerosi questi ultimi, soprattutto nelle fasce di età più basse.
Riassumendo: le adozioni sono difficili da ottenere e riguardano soprattutto bambini stranieri.
Ebbene, da alcuni anni in qua abbiamo imparato a conoscere, grazie a numerose inchieste giornalistiche, quale sia il presente e il prevedibile futuro dei bambini rimasti soli in certe aree del mondo: che siano brasiliani o tailandesi, romeni o angolani, che vivano sulla strada o siano precariamente accuditi in brefotrofi, questi minori raccontano spesso storie di accattonaggio, di prostituzione, di piccola delinquenza, di degrado morale e materiale. Sono soprattutto questi - dicevamo - i bambini disponibili per l’adozione. E non vogliamo assolutamente concludere che, stando così le cose, in qualunque famiglia questi piccoli possano capitare si troveranno comunque meglio che non là dove sono ora. Ma il caso Beltrami e quelle cifre di cui dicevamo ci fanno sospettare che la (indispensabile) selezione degli aspiranti genitori venga fatta, a volte, secondo criteri astratti e categorie freddamente razionali che finiscono col fraintendere la realtà. Secondo un costume burocratico molto diffuso in Italia, per cui le cose o si fanno secondo un modello di perfezione formale inesistente nella realtà, oppure è meglio non farle per niente, non importa con quali conseguenze.
Quando parli con certi psicologi incaricati di valutarti, guai a te se non riconosci i trabocchetti, se non indovini le risposte esatte, se - putacaso - ti scappa detto che fra i motivi che ti fanno desiderare un figlio c’è il desiderio di fargli avere quello che a te la vita ha negato - sentimento tanto sbagliato quanto presente nel 90% dei genitori, naturali o adottivi che siano.
Il meccanismo può essere così rigido, che anche un Giuliano Beltrami, che è persona colta e avveduta, nonostante ogni sua prevedibile precauzione, ci è rimasto incastrato. Al punto che il suo impegno sociale è diventato - citiamo dall’interrogazione presentata fra gli altri dagli onorevoli Olivieri, Boato, Detomas e altri - "iperattività tendente a non affrontare compiutamente il problema dell’handicap e che quindi inciderebbe negativamente sulla sfera dell’adottato, dato che ‘fa pensare ad un reale blocco emotivo, costringendo la coppia in una condizione di congelamento emotivo in cui non hanno spazio necessario le proprie paure ed incertezze e le difficoltà che continuamente questi si trovano a confrontarsi e che li coinvolgono in prima persona".
Una valutazione davvero sorprendente, dove non sai se meravigliarti di più per il fraintendimento della realtà che vi si opera, la barocca, fantasiosa costruzione che si edifica fondandola sul nulla, o lo stile criptico con cui l’autore si esprime.
Quale meccanismo porti a simili operazioni davvero non capiamo.