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QT n. 13, 27 giugno 1998 Cover story

Sono nato a Trento: mi è andata bene?

Neonatologia a Trento: un esempio di sanità che funziona. La ricetta? Monitoraggi, prevenzione e tanta attenzione per il bambino.

Si è soliti dire che la sanità, in Italia, è a macchia di leopardo, con situazioni all'avanguardia in campo mondiale ed isole caratterizzate invece da sprechi e disfunzioni. Poi però, nella comunicazione, si finisce per privilegiare quasi sempre quello che non va.

Nella nostra realtà provinciale, per esempio, c'è un settore la neonatologia che grazie ad un lavoro trentennale ha portato il Trentino all'avanguardia. Un primo dato: la mortalità infantile (quella che si verifica entro il primo anno di vita), che in Italia ha un'incidenza del 6.2 per mille, in Trentino sta scendendo sotto il 4, una percentuale che ci colloca, assieme al Friuli, al primo posto in Italia; in una comparazione con i Paesi più progrediti, da noi le cose vanno meglio che in Giappone (4.3), in Svizzera (4.8) o in Francia (4.9). I nostri concorrenti, in questa classifica, sono la Svezia (3.7) e la Finlandia (3.9), che hanno i dati migliori a livello mondiale.

E ancora: negli ultimi 10 anni è stato dimezzato il numero di bambini nati con gravi handicap dovuti alle modalità del parto; e i casi d paralisi cerebrale sono scesi anch'essi a livelli record per l'Europa: 1.5 per mille.

Per diminuire la mortalità infantile e gli handicap, è fondamenta le seguire con attenzione il momento della nascita, poiché la qua si totalità dei decessi nel prime anno di vita dipende proprio di quel momento. E per arrivare a risultati soddisfacenti non bastano le attrezzature sofisticate: ugualmente importante, se non di più, è l'organizzazione complessiva delle strutture.

Ma diamo concretezza al discorso vedendo come troppo spesso vanno le cose in Italia: un ospedale non perfettamente attrezzato sj trova a dover risolvere una gravidanza difficile, con nessuna open di prevenzione alle spalle. Il bambino nasce presentando gravi problemi e a quel punto lo si trasferisce in un altro ospedale in gradi di intervenire. Questo ritardo noi fa evidentemente bene al neonato che a quel punto, anche per supplire alle precedenti carenze, devi essere curato in maniera invasivi che può generare ulteriori disturbi. Risultato: una terapia lunga, pesante, non priva di rischi e molto costosa.

Facciamo un esempio concreto tratto dal giornale "Neonatologia trentina ": "In certi reparti vi sono strutture ed apparecchiature ad altissimo valore tecnologico, ma non ci si interessa a monte, spesso per problemi di ruoli e competenze, ma anche per problemi di prestigio; spesso, troppo spesso, per mero disinteresse. E così, di fronte ai gravi disturbi respiratori in prematuri (magari trasportati da altri ospedali, senza prevenzione con sferoidi), si applicano sofisticati sistemi di ventilazione; e se per questo si danneggiano i polmoni, si ricorre all'ossigeno e a formaci per mesi e mesi, e poi alla fisioterapia e poi a cure antibiotiche, ecc. ecc".

Il modello trentino, che cerca appunto di evitare questo per corso vizioso, comincia dopo l'apertura, nel 1967, del Centro immaturi (riservato ai neonati sotto i 2.600 grammi di peso), presso l'Ospedalino di Trento; e di questa storia è in larga misura protagonista il dott. Dino Pedrotti, già primario di Neonatologia al S. Chiara e in pensione dallo scorso anno; ma che tuttavia continua ad occuparsi con passione di neonati, tanto che il nostro incontro avviene presso il nido dell'ospedale S. Camillo.

Alla base di tutto, un meticoloso lavoro di monitoraggio, quello stesso che andrebbe fatto (e non si fa) anche per patologie quali gli infarti e i tumori: in questo modo, da anni sono a disposizione un'infinità di dati riguardanti non solo il numero delle nascite e delle patologie verificatesi nei singoli ospedali del Trentino, ma mille altre informazioni. Quanti parti cesarei? Quante madri allattano? Quante fumano? Dove vivono? Che età hanno? Qual è il loro li vello d'istruzione?, ecc. Informazioni indispensabili per capire la realtà, calibrare gli interventi, sapere dove e in che modo attuare campagne di prevenzione; un patrimonio di dati forniti dai vari ospedali e che a questi ospedali ritornano, una volta elaborati, fornendo loro forti motivazioni per proseguire la collaborazione.

Il passo successivo di questa strategia è il cosiddetto "trasporto in utero", bizzarra espressione con cui si vuoi dire che il bambino la cui nascita si prospetta difficile deve arrivare all'ospedale più attrezzato (nel nostro caso il S. Chiara di Trento) ancora nel ventre materno, per le ragioni che prima abbiamo esposto.

"Siamo partiti, 25 anni fa - ricorda il dott. Pedrotti - mettendoci a disposizione degli altri ospedali, offrendoci cioè di effettuare noi il trasporto a Trento. E il sistema ha funzionato, anche perché c'è stata comunicazione fra gli operatori e così non sono insorti problemi e intralci dovuti a gelosia professionale. Risultato: quindici anni fa solo il 40% dei bambini sotto il chilo e mezzo nasceva al S. Chiara, una percentuale arrivata oggi al 90% ".

A questo punto, interviene un altro principio, tanto ovvio quanto spesso trascurato: le terapie più sofisticate e pesanti vanno utilizzate solo quando sono indispensabili. Detto in altri termini: "La massima demedicalizzazione si può attuare solo se si applicano a monte tutte le più valide misure di prevenzione".

I risultati? Di solito, su dieci neonati sotto il chilo e mezzo, a otto devono venir praticate delle trasfusioni di sangue, il che, a Trento, avviene solo nel 25% dei casi.

Ancora, a proposito di alimentazione: altrove i neonati immaturi sotto un certo peso vengono nutriti esclusivamente via flebo, mentre a Trento si fa un largo uso anche del latte materno: "Cerchiamo di attuare una terapia distensiva, anziché intensiva - spiega il dott. Pedrotti - Al centro della nostra azione mettiamo il bambino, e dunque, prevenzione e pò un'azione terapeutica individualizzata, cercando di evitare l'eccesso di medicalizzazione e interventi troppo invasivi. Certo, se a tutti i neonati metti una flebo per ventiquattr'ore, dopo tè ne stai tranquillo, puoi anche dire di avere fatto il tuo dovere; se succede qualcosa, sei a posto. Ma se al centro del mio lavoro metto il bambino, devo fare di più e di meglio; il che è possibile, poiché aver attuato la prevenzione ci consente di avere neonati in migliori condizioni e di sfruttare dunque le loro risorse".

In definitiva, una visione profondamente etica della medicina (Pedrotti parla di "umanesimo"), al contempo meno dispendiosa, pii efficace e più rispettosa dell'individuo.

Per il modello corrente di sanitì (quello amante delle terapie complesse e costose anche quando evitabili, e poco interessato a prevenire), Pedrotti ha parole 'pesanti; "Una medicina che non opera valutazioni e non fa prevenzione è irrazionale e può stare in piedi sole grazie a due elementi: un 'abbondanza di risorse e l'appoggio dei sistema politico"