Ciechi: la voglia di fare da sè
Sono 120.000 in tutto Italia, 700 nella nostra provincia. I problemi, le richieste, il dibattito interno di una categoria poco "visibile".
Quando si dice "portatori di handicap" si pensa ad una lunga lista di possibili dita, che però potremmo raggruppare per comodità in due categorie: difficoltà di movimento e handicap psichici. Attorno ai problemi di questi due gruppi di persone abbiamo assistito, da una ventina d'anni a questa parte, a un continuo sorgere di associazioni, cooperative, iniziative, proteste collettive e individuali anche molto accese: basti per tutti il nome di Natale Marzari.
Forse proprio questo attivismo tende a farci dimenticare altre persone affette da menomazioni non meno gravi, come i sordomuti e soprattutto i ciechi. E' peggio non poter camminare con le proprie gambe o non vederci? Dovessi proprio scegliere, non avrei dubbi...
Ma le ragioni di questa dimenticanza sono anche altre: forse la natura stessa di questa disabilità, che in Italia interessa 120.000 persone (30.000 nella sola Sicilia: ma questo sarebbe un altro discorso...) induce alla pacatezza e all'introspezione e dunque da scarsa "visibilità" agli occhi dell'opinione pubblica; probabilmente c'entra il fatto che una buona percentuale dei non vedenti sono persone anziane, e dunque meno portate ad alzare la voce; di sicuro i ciechi hanno alle loro spalle una lunghissima storia di associazionismo che ha permesso loro di ottenere, prima di altri, certe garanzie. In tema di provvidenze pubbliche, in effetti, non si può dire che i ciechi civili (per quelli di guerra il discorso è diverso, ma il loro numero è ormai esiguo) siano una categoria privilegiata: se da un lato godono di un "assegno di accompagnamento" mensile attorno al milione (circa 300.000 in più rispetto agli altri invalidi al 100%), d'altra parte non possono per ovvie ragioni avere i benefici previsti per gli altri disabili nell'acquisto di automobili adattate (o per la carrozzella, che è gratuita), mentre nell'acquisto di tecnologie speciali (ad esempio, la scheda vocale o la riga Braille per il computer) hanno soltanto uno sconto sull'Iva. Per il resto - pensione di invalidità a chi è sotto un certo reddito e assegno integrativo provinciale - hanno lo stesso trattamento degli altri portatori di handicap.
Ma sotto questa superficie tranquilla, esiste un dibattito interno molto acceso, come pure un fiorire di proposte e di attività intraprese dai più giovani allo scopo di combattere la rassegnazione dimostrando come sempre più, grazie alle nuove tecnologie, sia possibile supplire alla mancanza della vista e condurre quindi una vita normale.
Il nostro primo interlocutore è Giuliano Beltrami, presidente del Consolida (il consorzio delle cooperative sociali), già consigliere comunale a Storo, nonché fondatore di un periodico locale (La civettii) e direttore di altri due organi di stampa incentrati invece sui temi dell'handicap: Punto di vista e La settimana in Braille. E, se non bastasse, collaboratore dell'Adige e, saltuariamente, anche di Questotrentino.
Beltrami comincia parlando dell'atteggiamento degli "altri" nei confronti dei ciechi: "La gente risponde agli stimoli che riceve: se tu dimostri scarsa dignità e ti esibisci in comportamenti lamentosi, ricevi in cambio la pietà. Se viceversa un eccesso di orgoglio ti impedisce di chiedere aiuto, nessuno ti aiuta. La via di mezzo, ovviamente, è cercare di raggiungere il massimo di autonomia e, quando occorre, saper chiedere l'aiuto degli altri."
Ma purtroppo, a volte sono le stesse associazioni di non vedenti a suggerire atteggiamenti pietistici, come la Associazione Privi della Vista, che raccoglie fondi offrendo rose per strada e nei ristoranti.
Beltrami introduce quindi un tema centrale nel dibattito sull'handicap, di qualunque handicap; qualcuno ricorderà che quando una decina di anni fa venne inaugurato nei pressi di Ala un campeggio per disabili, qualcuno protestò vivacemente contro un'iniziativa considerata come una consacrazione dell'handicap, un ghetto. "Non vogliamo - si diceva in sostanza - delle strutture apposta per noi: vogliamo che le strutture per tutti siano accessibili anche a noi. £" questa la vera integrazione."
In quest'ottica, Beltrami deplora certe iniziative, pubbliche e private: dal museo per ciechi a una guida della Cappella Sistina in cui si è cercato addirittura di rendere i vari colori degli affreschi con delle superfici di diversa consistenza, a un corso per sommelier riservato ai ciechi e ai sordi: "Sono sciocchezze - commenta - Il punto non è quello di creare qualcosa dedicato a noi, ma di consentirci di usufruire di quanto utilizzano gli altri: se invece di darci l'assegno di accompagnamento mettessero a disposizione di ogni cieco un obiettore di coscienza (un aiuto che oggi spetta solo ai ciechi di guerra), potremmo avere molta più libertà di movimento. La cecità è uno status, non una malattia: non mi interessa aver più diritti degli altri per quanto riguarda il part-time o i permessi di uscita dal lavoro. Mi diano invece più strumenti di autonomia! Anche garantendo una città a misura d'uomo, senza auto sui marciapiedi, ad esempio .
Gianfranco Vanzetta e Roberto Sommadossi, rispettivamente presidente e segretario trentino dell'Unione Italiana Ciechi (Uic), gli fanno eco, ricordando come da diversi anni vadano inutilmente chiedendo che negli autobus vengano segnalate con annunci le varie fermate (una misura che, fra l'altro, aiuterebbe anche altri utenti); ma è proprio nei confronti dell'Unione Ciechi che si appuntano alcune critiche.
Ferdinando Ceccato, presidente dell'Associazione Progresso Ciechi di Borgo Valsugana (vedi scheda) riconosce all'Uic, la storica associazione che da ottant'anni rappresenta la categoria nel confronto con le istituzioni, impegno e professionalità nelle funzioni di patronato, ma non è d'accordo con certe sue iniziative, come le vacanze e le gite riservate ai non vedenti: "Anche noi organizziamo gite, dove però i ciechi sono una piccola minoranza: è un modo per farci conoscere come persone "normali", capaci di muoversi come gli altri." Ed Eraldo Busarello, fondatore della cooperativa "Senza barriere" (vedi scheda), è ancor più critico: "L'Uic va bene per i problemi pensionistici, ma sene deì-l'altro: centri che producano materiali, e opportunità di fruire dei normali servizi presenti sul posto.
Anche in considerazione delle caratteristiche del nostro territorio, è sbagliato centralizzare a Trento corsi di nuoto o d'altro genere riservati ai ciechi; sarebbe più utile avere a disposizione degli obiettori di coscienza che dessero ai non vedenti maggiore autonomia."
E Beltrami: "Purtroppo, a differenza di un paraplegico, noi non abbiamo bisogno di vere e proprie protesi. La nostra protesi dovrebbe essere l'obiettore di coscienza o il computer. Ma su queste richieste, che riguardano soprattutto le persone più giovani e attive, l'Unione Ciechi non ci sente."
"Sono pienamente consapevole dell'importanza di conquistare l'autonomia - replica il segretario dell'Uic - Per quanto mi riguarda, io giro per Trento da solo: da piccolo, i miei genitori mi hanno sempre fatto fare le stesse cose dei miei fratelli, compreso tagliar la legna e raccoglier patate. Ma bisogna ricordare che su 700 ciechi trentini, 450 hanno più di 65 anni, quasi tutti hanno perso la vista con l'età (e di conseguenza ben pochi imparano il Braille, per non parlare del computer): dunque mi pare doveroso impostare l'attività tenendo conto di questo fatto. D'altra parte, anche le nostre gite non sono riservate esclusivamente ai non vedenti..."
Senza voler prendere posizione in questo dibattito, ci capita però di notare un particolare che è forse indicativo di una differenza di mentalità: sulla scrivania di Roberto Sommadossi, segretario dell'Uic, vediamo un piccolo computer di forma assolutamente inconsueta, appositamente costruito per le esigenze dei non vedenti, mentre Ferdinando Ceccato e Eraldo Busarello hanno una normale macchina, alla quale è stata aggiunta la scheda vocale: "Adattare un comune computer - ci spiegano - costa molto meno, e poi questo può usarlo chiunque."
La discussione ritorna quando si parla di scuola, anche se abbastanza condiviso è il giudizio negativo su come avviene l'integrazione dei ragazzi non vedenti.
"lo mi sono battuto per l'abolizione degli istituti e delle scuole speciali - racconta Beltrami - A Padova partecipai alle lotte per la concessione della libera uscita e ricordo ancora il senso di enorme leggerezza che mi diede quella prima passeggiata di due ore lungo una stradina costeggiata da un canale... Non mi pento assolutamente di quella scelta: ma è un fatto che allora i ciechi laureati erano in maggior numero rispetto ad oggi. Dagli istituti, in sostanza, o uscivi ridotto a una larva, o ti facevi le ossa. L'integrazione, così come avviene oggi, con insegnanti non preparati e senza gli strumenti tecnologici che pure ci sarebbero, è fallimentare. Alla fine il ragazzo non vedente viene magari promosso, ma in realtà è impreparato al proseguimento degli studi. La scuola tende a trattarlo come un handicappato psichico: siccome gli da poco, pretende poco. Gli regala il titolo per senso di colpa e compassione, ma non l'istruzione che gli servirebbe ".
"La scuola tende a liberarsi del problema handicap - aggiunge Sommadossi - rifiutando di affrontare i problemi specifici di ogni disabilità. Noi facciamo quello che possiamo: abbiamo un centro -"Libro Parlato " - che registra libri su audiocassetta, e soprattutto abbiamo ottenuto dalla Provincia il servizio del lettore a domicilio per la scuola dell'obbligo, che aiuta i ragazzi non vedenti nello studio; ma non è sufficiente ".
"Il lettore a domicilio? - commenta Busarello - Ma è una cosa aberrante, è la riproposizione in chiave moderna del giullare di corte, è un modo di legare il ragazzo non vedente a una singola persona, e dunque di impedirgli la conquista dell'autonomia. La soluzione, lo ripeto, sta nelle tecnologie: ma delle novità in questo campo, le autorità scolastiche - assessorato e sovrintendenza in testa - non sanno niente ".
Dello stesso avviso è Ceccato, che in tema di marchingegni ci fa un esempio strabiliante: quello dello scanner che trasforma la pagina del libro in caratteri Braille.
Con queste premesse, il cieco che voglia inserirsi nel mondo del lavoro non ha molte scelte davanti a sé, se si esclude quel paio di professioni che la legge esplicitamente gli riserva, e cioè il centralinista e il massofisioterapista. Anche nell'insegnamento il non vedente gode di qualche 'favore', ad esempio nella scelta della sede, ma abbiamo visto quanto sia difficile, per lui, arrivare alla laurea.
"Si tratta di nicchie garantite - dice Beltrami - in sostanza di ghetti al di fuori dei quali le possibilità sono poche. Certo, e 'è chi non si accontenta: e 'è quello che, proprio nel campo della massofìsioterapia, si è messo in proprio, riuscendo ad aprire tre studi, assumendo dipendenti e facendo i soldi. C'è qualche avvocato, qualche imprenditore... Ma è poca roba. Giornalisti, poi, pochissimi."
E bisogna stare in guardia, per far rispettare le leggi che tutelano queste modeste certezze: "In tema di collocamento - ci dice Roberto Sommadossi - la sensibilità è diminuita negli ultimi tempi, sia fra i privati che nel settore pubblico e questo ci costringe ad intervenire frequentemente per tutelare il diritto al lavoro dei non vedenti; finora, dobbiamo dire, con successo."
Qualche battuta, in conclusione, su un versante più privato, esistenziale: come queste persone la propria condizione?
E' un tema che non emerge spontaneamente nel corso delle conversazioni: sarà perché abbiamo a che fare con gente perfettamente inserita nel contesto sociale, che fa quanto umanamente possibile per condurre una vita "normale"; o forse vogliono consapevolmente evitare argomenti che rischiano di sconfinare in quel pietismo che tanto detestano. Così, a sollecitarli su questi temi, si ottengono risposte piuttosto sbrigative. Come quella di Ferdinando Ceccato: "Ho perso la vista a 18 anni per una malattia. All'inizio è stata dura anche perchè dovetti lasciare la scuola. Cosa dire? Essere cieco non mi fa piacere, ma neppure mi dispero. Ho moglie e un figlio, un lavoro e, oltre ali 'attività nell'associazione, coltivo l'hobby del legno..."
Più ironico Giuliano Beltrami: "Io ho avuto la fortuna di nascere cieco, così non ho nulla da rimpiangere. Poi ho avuto un'altra fortuna: mio padre, quando avevo 5 anni, mi comperò la bicicletta e mi incoraggiò a muovermi. Così oggi vado tranquillamente anche per conto mio: qualche settimana fa, ad esempio, sono andato a Roma in aereo da solo. Mi piacciono le gite in montagna e lo sci.
Il mio rapporto con i colori? E' di tipo letterario: so, ad esempio, che i colori dell'autunno sono 'tenni'. Ma che significa?"