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QT n. 1, 10 gennaio 1998 Cover story

Diventare grandi: la sinistra trentina ci prova

Spinta dalla necessità (l'Ulivo paralizzato dai dorotei) la sinistra trentina cerca di unirsi e di crescere. Con la convinzione di avere le risposte giuste per il Trentino e di poter essere un esempio per il nord Italia. Ci riusciranno?

Quando a fine dicembre a Pergine le novanta persone riunite nella sala comprensoriale ("Solo a sentire il nome 'comprensorio' mi girano le eliche, proprio qui dovevamo trovarci?" "Ma è un'aula democratica, ognuno ha il microfono, può intervenire dal suo posto; l'abbiamo scelta per questo...") dopo i primissìmi, faticosi interventi, incominciavano a intessere il dibattito, il clima si faceva dapprima più sciolto, poi ritornava teso, ma era tensione ideale, soddisfazione a sentire gli altri che riprendevano i tuoi argomenti, sviluppandoli da altri punti di vista, allargando a tutti l'orizzonte.

Sembrava un piccolo miracolo: erano i tanti esponenti della pur frantumata sinistra trentina che stavano trovando non solo un linguaggio comune, ma soprattutto prospettive, voglia di fare, convinzione di essere l'elemento decisivo per salvare il Trentino dalla palude in cui sembra sprofondare.

Cos'era successo? Ed è una cosa realistica o un focherello di buone ma fragili intenzioni? O ancora, come sussurrano gli avversari del progetto, si tratta di un semplice restyling del Pds, con l'annessione di qualche cespuglietto?

A dare una mossa alla sinistra sono state, paradossalmente, le affermazioni del centro, che in pochi mesi, con il Pati di Tretter-Franzinelli e i neo-dorotei di Valduga & C., ha silurato le riforme (in primis quella elettorale e comprensoriale), ha costituito un governo provinciale contro la sinistra, ha riaperto i canali clientelari della spesa e delle assunzioni pubbliche: insomma, l'esatto contrario degli obiettivi conclamati del centro-sinistra, riforme e qualificazione della spesa.

Non basta: il capolavoro democristiano è consistito nel fare entrare i campioni di questa politica nell'Ulivo: non solo gli assessori Zanoni e Valduga, ma anche la vecchia volpe dorotea Tarcisìo Grandi. Di fatto svuotando l'Ulivo di qualsiasi credibilità: neanche all'elettore più sprovveduto si può parlare di riforme quando si è avvinghiati ai conservatori.

A questo punto per la sinistra l'orizzonte si è fatto di colpo buio. E c'è stato chi (l'ala ipergovernativa del Pds, rappresentata dall'ex consigliere Alberto Rella), preso dal vago timore di essere ricacciati nel limbo dell'opposizione del 5-10%, ha iniziato a proporre l'ammainabandiera: "Bisogna essere realisti, tener conto dei nostri alleati... con il centro occorre venire a patti... è inutile fare bei programmi che poi gli altri ci bocciano..."

Brutta aria. E invece c'è stata la reazione. "// centro? E' un farfallone, ha la sindrome da Don Giovanni - ha esordito a Pergine Giorgio Tonini, dei cristiano-sociali -Sarà nostro avversario o alleato a seconda della nostra capacità di leadership. Il problema non sono gli ex-dc, siamo noi. Come a livello nazionale: se c'è una sinistra riformatrice forte, il centro e / ' Ulivo marciano, altrimenti il centro va per le sue strade, e a noi non rimane che imprecare. "

Questa posizione a Pergine era già del tutto matura: è ora di smettere di lamentarsi di quanto è ribaldo Tretter, ambiguo Grandi, che forse di Dellai è meglio non fidarsi; siamo noi che siamo deboli perché sparpagliati, e quanto di buono abbiamo saputo fare, soprattutto in Provincia, non abbiamo saputo valorizzarlo e difenderlo. "Pensavo fossero maturi i tempi per il partito democratico, che fondesse il meglio dei valori dei cattolici, dei centristi, della sinistra riformista - ha dichiarato Sandro

Schmid, deputato, pidiessino - Ma mi sbagliavo: e credo sia giusto e produttivo che si proceda a delle aggregazioni, sul centro e sulla sinistra. "

Ed ecco quindi avanzare a sinistra la voglia di mettersi assieme. Un atteggiamento virtuoso indubbiamente derivato da uno stato di necessità; ma non solo.

APergine erano percepibili altri due sentimenti. L'orgoglio, anzitutto: di fronte all'evidente nullità del governo pattino-doroteo, la consapevolezza di avere invece idee, uomini, esperienze. E di qui un conseguente senso di responsabilità: "Non possiamo permetterci di perdere: vorrebbe dire lasciare che il Trentino vada alla deriva ".

Un osservatore smaliziato avrebbe potuto sorridere di questa classica dilatazione dell'io collettivo, riproposta tante volte, nel bene e nel male ( "dobbiamo vincere, perché solo noi siamo la salvezza "); ma chi in questi mesi abbia seguito anche solo di sfuggita le penose vicende della politica locale, non poteva non seguire con simpatia questo forte dibattito tra persone intelligenti e preparate.

E così a poco a poco i Tretter e i Grandi finivano sullo sfondo; ci finivano anche le contingenze della politica spicciola; e si cercava di ragionare in grande.

"Oggi la sinistra trentina è in grado di mettere in campo proposte politiche e rapporti interregionali che possono togliere il Trentino dall'isolamento in cui si trova - commenta Walter Micheli, socialista, già vice-presidente della giunta provinciale - Da tempo abbiamo indicato sbocchi positivi ed attuali per la crisi del Trentino e della Regione {il progetto della confederazione delle due province, i progetti federalisti rispetto allo stato nazionale) e abbiamo intessuto rapporti con le forze che oggi hanno in mano il futuro dell'Europa: con la socialdemocrazia austriaca, con le altre forze socialiste dell'arco alpino. Dev'esserci consapevolezza della nostra qualità politica: noi possiamo e dobbiamo porre le questioni del Trentino - dall'ambiente alle comunicazioni ai rapporti istituzionali - in una prospettiva europea, perché questi sono gli scenari in cui oggi si deve operare. "

Un livello alto del dibattito e delle prospettive, che proprio per la sua qualità aiutava ad affrontare il nodo più ostico, l'eterno problema dell'organizzazione, dei partiti, partitini e loro rapporti: se si hanno i mezzi, gli uomini, le capacità per navigare in alto mare trovando nuove rotte, non si può mandare tutto a catafascio perché non si trova una formula societaria per la compagnia di navigazione.

Tutta la questione fa capo al Pds, socio di maggioranza di qualsiasi aggregazione della sinistra: un socio ingombrante, per molti, e indigesto per alcuni.

Di questo c'è consapevolezza fra i pidiessini, che di fatto stanno dando vita alla Cosa 2, nel tentativo di aggiornare una forma-partito dallo scarso appeal, e aggregare l'insieme della sinistra. Il tutto, a livello nazionale, approderà a risultati indicativi ma non rivoluzionari: il cambio del nome (da Partito a Federazione della sinistra democratica, a indicare una pluralità di soggetti, i cespuglietti oltre la Quercia) e la scomparsa della falce e martello (dall'evidente significato storico-ideologico).

Tutto questo al progetto della sinistra trentina non basta. Se si vuole aggregare un insieme di forze, personalità, culture diverse, non si può proporre la confluenza in una realtà molto strutturata, con una forte dipendenza centro-periferia, e caratterizzata da un'ingombrantissima leadership: non si può chiedere a un Gregorio Arena di mettersi a sostenere le variopinte uscite di D'Alema.

In sostanza sono in discussione due principi: il rapporto centro-periferia e la democrazia interna. Le due questioni sono collegate, perché molti dei convenuti di Pergine pensano di poter avere un peso nel determinare la linea a livello locale; ma a ragione ritengono di essere assolutamente ininfluenti sul piano nazionale, da cui anzi temono possibili imposizioni (ancora bruciano le candidature dei "rospi" Andreolli, Boato e Robol alle ultime elezioni). E ancora: non si possono aggregare forti personalità in un organismo dominato da meccanismi interni strani, con i funzionari o i boss che fanno, disfano e emarginano secondo le loro personali convenienze di carriera; il che non è il caso del Pds trentino attuale, ma il pericolo - come in tutti i partiti - può essere dietro l'angolo.

"Non è riproponibile il partito centralizzato - ci dice Giorgio Tonini - occorre tentare nuove strade, nuove forme confederate di realtà periferiche, un partito che nasca in periferia e poi abbia la sua sìntesi al centro. E dovranno sperimentarsi forme nuove di democrazia interna, dalle primarie ali 'elezione diretta del segretario. Per una cosa del genere tanti sono disponibili a spendersi: per una cosa tradizionale no. "

E' questo il "partito catalano" che propone il sindaco di Venezia Cacciani. E non è che Cacciari sia oggi molto popolare a Botteghe Oscure.

"Per il Pds, tradizionalmente radicato nel centro Italia, ora in espansione anche al sud, c'è il problema del nord, dove non va oltre il 20% - prosegue Tonini -Sarebbe quindi nel suo interesse fare più attenzione al progetto di Cacciari. Ma se vuole esser prudente e non rischiare di mettere a repentaglio la propria organizzazione, perché non fa un esperimento in Trentino? Favorendo qui la nascita di una realtà nuova: se la cosa funziona, è un esempio per tutto il nord. "

La palla quindi è al Pds. Al segretario trentino Albergoni va riconosciuto il coraggio di aver dato il via a una dinamica che mette in discussione il suo stesso partito, per di più in un momento in cui potrebbe vivere di rendita.

"Ma questa non ci basta: con 4-5 uomini di fede pìdiessina doc in Consiglio provinciale, poi che facciamo? A noi interessa una sinistra unita e grande, in grado di condizionare gli alleati, di governare, di fare le rifanne. " E' questo l'assunto albergoniano: per questo il Pds ha dato il via all'operazione Pergine, su questa linea è pronto a sperimentare nuove formule organizzative.

"Intendiamoci - dice Albergoni - Noi siamo e restiamo un partito nazionale: l'ancoraggio italiano, anzi quello europea, è indispensabile. E così sull'organizzazione, che deve avere stabilità nel tempo, non essere perturbata da emotività, deve comportare vincoli, e perché no, disciplina, quando si fanno insieme delle battaglie. L'esempio al contrario è stata l'esperienza della Rete, un movimento poco strutturato, che ha selezionato classe dirigente in maniera frettolosa, e che poi si è sciolto come neve al sole. "

E allora, tutto come prima?

"Come militanti Pds, siamo coinvolti in prima persona nel ribaltare l'attuale ottica centro-periferia, nel costruire il partito federale, l'autonomìa da Roma. Io immagino anche che i compagni di Solidarietà, come altri, non smanino dalla voglia di aderire al Pds nazionale. La soluzione potrebbe essere che l'adesione alla nuova formazione trentina non implichi quella a una formazione nazionale. Su questo siamo apertissimi, proprio perché vogliamo che la nuova forza abbracci la molteplicità delle esperienze riformiste trentine. "