Fra bastardi e mutande
Làthe biòsas (vivi nascosto) diceva il vecchio Epicuro esortando al contenimento dei desideri, alla moderazione, alla sobrietà. Un invito mai come oggi ignorato. Chi prova a riproporlo, ad esempio ipotizzando che possedere sette ville e seguitare a comprarne sia forse eccessivo, viene subito tacciato di invidioso. Bisogna enfatizzare, gridare, farsi notare, esaltare situazioni e persone, naturalmente cominciando da se stessi. Guardate Facebook: adoperato assennatamente è una grande risorsa, che però, in tempi di narcisismo, si trasforma spesso in una inutile, ridicola fiera di esibizionismi. "In quattro giorni scopro di avere 462 amici. Mi chiedo perché esco ancora con i soliti quattro stronzi" - recita su Youtube un aspirante rapper, perplesso per gli esiti inattesi del suo sbarco su Facebook.
La rincorsa all’enfasi vede naturalmente in primo piano l’informazione. Gli ormai famosi Bastard Sons of Dioniso sono quattro giovani valsuganotti bravini a cantare, ma l’Adige, che dedica una sorta di rubrica quasi quotidiana alla loro "emozionante avventura catodica", ne ha fatto dei fenomeni, che "dopo aver superato le forche caudine di Mara Maionchi" sono rimasti "umili, particolari e semplicissimi", con quel loro "look grezzo e diretto – camicioni da boscaioli e jeans", capaci di questa "dichiarazione cult: ‘Veniamo dal Trentino e siamo fieri di essere dei valligiani!".
Si dice che volessero entrare negli studi televisivi con due casse di birra, ma "forse è una leggenda che però rinsalda la loro nomea di duri e puri del rock". Anche qualche aspirante intellettuale ne rimane folgorato: la loro vicenda – scrive un lettore - "potrebbe addirittura dar luce alla marginale dimensione artistica trentina, a patto che la trentinità venga espressa come valore, come elemento distintivo dalla realtà massificata e non come immagine da commercializzare".
Il tutto accade nella trasmissione "X Factor", la cui sigla iniziale sembra preludere, più che a un reality musicale, ad un grandioso evento cosmico.
Dalla musica alla letteratura, ecco un nuovo mito sbocciare sotto i nostri occhi. "Dopo il successo dei Bastard Sons, ora il trionfo di ‘Rotte mutande’: che stia cambiando il Trentino?" si chiede il direttore dell’Adige Pierangelo Giovanetti.
"Rotte mutande" (il titolo furbetto va inteso, latinamente, come "percorsi da cambiare"), è il romanzo del giovane Pierluigi Tamanini, che proprio grazie a Facebook sta conoscendo un certo successo fra gli adolescenti, i quali scrivono al giornale parlandone in toni entusiastici: secondo Nicola, "Rotte mutande" descrive "con trasporto ed emozione l’animo della gioventù trentina... Qualcosa anche in Trentino si sta muovendo". Insomma, questo libro "mi ha convinto a cambiare vita".
Giovanni contrappone la condivisibile ideologia che permea l’opera ai "demagogici valori ormai svuotati di ogni contenuto". Quali? "Cooperazione, famiglia, fede, solidarietà, tutte istituzioni che sopravvivono grazie agli ingenti capitali elargiti per autoincensarle e perpetuarle, obsolete".
Ma diamo la parola all’autore, che così illustra la trama: "Jin è un giovane insoddisfatto della vita che conduce. Teme di consumare i suoi anni migliori in una monotona ed inutile routine. Lentamente precipita in un inferno artificiale fatto di alcool, sesso e solitudine. Scoprirà che solo cadendo ci si può rialzare. Cercherà la felicità in India, lontano da tutto e da tutti"; là potrà "riflettere, meditare sul significato della vita, sull’eterno dualismo tra spiritualità ed esperienza, tra l’accontentarsi e il ribellarsi". Ed ecco i propositi del protagonista: "Sento che ho bisogno di sfogarmi, di cercare, di non rispettare le regole, di fare lo stupido, di sbagliare, di vivere alla giornata (...) Voglio vedere come è fatto il mondo. Voglio viaggiare. Voglio scoprire. Voglio volare. Voglio". Non avendo letto le "Rotte mutande", non possiamo esprimerci sul loro valore letterario. Non ci vediamo, però, molto di nuovo: smanie giovanili, sesso, alcool, droga, India... Toh, son tornati gli hippies di quarant’anni fa! Ne sentivamo il bisogno?
Dobbiamo comunque riconoscere a Tamanini una notevole efficacia persuasiva: "Mentre lo leggevo – scrive Giusy - ho deciso di mollare tutto, il lavoro, l’università e il mio ragazzo per andare in India. Perché stare qui a penare in una vita senza senso, fatta solo di studio, casa e lavoro?"
E il Tamanini, tutto contento: "Se lo scopo della mia vita d’artista era illuminare il cammino altrui, credo di aver centrato l’obiettivo" . Congratulazioni.