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QT n. 4, aprile 2024 Servizi

“Il predatore”

Il racconto dell’involuzione sociale di un tranquillo, comunissimo, paese di montagna. Chiediamo ai lettori: le cose stanno così?

Una piccola comunità viene sconvolta dall’arrivo di un orso” è il sottotitolo del romanzo “Il predatore”, ultimo lavoro di Marco Niro.

Ne scriviamo dandogli un certo spazio, non perché Niro (come l’amico Mattia Maistri, con cui ha formato il collettivo di scrittura Tersite Rossi) sia stato redattore di QT, ma perché il tema è attuale, coinvolgente. Come mai le nostre comunità valligiane sono rimaste così scioccate dalla presenza dell’orso? Come mai, di fronte ai mille pericoli della montagna – non c’è week end invernale in cui non si contino i morti da sci alpinismo, o i morti in moto in quelli estivi –come mai il pericolo dell’orso, così remoto e statisticamente improbabile, è invece diventato un’ossessione?

Il predatore” non tratta il tema dal punto di vista antropologico (la paura dell’uomo verso la bestia selvatica) o politico-etologico (le trascurate buone pratiche di convivenza). Narra una comunità. Racconta la storia di ragazzini che vengono tenuti al margine di un paese. Come alcuni adulti, quelli che non si conformano. Il chirurgo di successo che reprime il figlio che manifesta comportamenti non più adeguati. Il prete che nella predica osa dire non quel che i fedeli si aspettano, ma quello che lui pensa.

Da questa morsa di un conformismo che tutto avvolge, i primi ad esserne schiacciati sono i giovani. Anzi, i giovanissimi, teenager e dodicenni, che si vedono imposta una linea di pensiero e comportamento che gli sta subito stretta. La prima parte del libro racconta le loro vite e i loro problemi, stretti tra una scuola impositiva e intollerante e una famiglia solo formalmente unita attorno al padre in carriera, oppure chiaramente sfasciata dal padre prima disilluso, poi alcolizzato. L’ossessione del successo, oppure lo stigma impresso dal conformismo, insomma i mali di una società sbagliata, hanno devastato le famiglie di questI giovani; che però in tale situazione, facendo gruppo, sembrano loro, i ragazzini, la soluzione, il germoglio di una comunità più aperta.

Non lo potranno essere. Il romanzo ha una cruda svolta, e si fa più cupo.

E’ allora la comunità stessa che diventa il fulcro della narrazione. Con le sue chiusure, le ossessioni, la dipendenza dal politico cinico, che le paure dei compaesani le alimenta, le sfrutta per rafforzare il proprio (schifoso) potere.

Non è un quadro idilliaco della gente di montagna, che ne esce fuori. I valligiani finiscono con l’essere vittime della propria grettezza, intortati dai profittatori.

Qui Niro calca un po’ troppo la mano (i paesani, babbei, si fanno infinocchiare perfino da un santone indiano). Però a noi pare che, a prescindere dalle esagerazioni, la storia recente confermi il giudizio di fondo: con il primo successo elettorale di Maurizio Fugatti dovuto non solo all’esaurimento del centrosinistra dellaiano, ma soprattutto ad una campagna tutta incentrata sul pericolo dell’immigrato, in una terra che aveva ed ha pressante bisogno di più manodopera; e il secondo successo, dovuto non solo alla latitanza degli avversari, ma ancora ad una campagna d’odio, tutta incentrata sul pericolo mortale dell’orso. Niro descrive una soggezione culturale di un paese smarrito, di fronte all’imbonitore di turno. Nel romanzo l’imbonitore è il più ricco e spregiudicato del villaggio, che sulla gestione della paura, e in caso di bisogno sul supporto del crimine anche organizzato, fonda il proprio successo politico ed economico.

E’ un estremista Niro? Esagera? Forse sì, anche se, a leggere in profondità i documenti di “Perfido”, non si direbbe, purtroppo. Poi ci sono alcune licenze: la carriera politica del cattivone è troppo fulminea, travolge anche le tempistiche legislative, e così i suoi provvedimenti (lo sterminio degli orsi) approvati ed eseguiti all’istante. Si entra molto nella fantapolitica. E per converso i (peraltro pochi) momenti di violenza criminale spostano il libro sul versante noir, non a caso preannunciato fin dalla copertina (fa vendere?), ma che ci sembra stridere con il taglio prevalente: il racconto disincantato eppur partecipe dell’involuzione sociale di un tranquillo, comunissimo, paese di montagna.

E’ appunto questo argomento che ci fa apprezzare il libro. E sarà apprezzato da chi in montagna ci vive? E magari si sente denigrato, deriso?

Vorremmo provare a fare un test: invitiamo i lettori delle valli a procurarsi il libro (Marco Niro farà delle presentazioni in diverse biblioteche) e farci sapere cosa ne pensano. A prescindere dai meriti o demeriti del libro, l’argomento di fondo è di grande importanza.

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